Estate di liberazione
Prima la fine della scuola era uno sgomento, oggi è un sollievo un po' amaro
Addio registro elettronico che divora la libertà, addio infernali chat con delirio di controllo. Scusateci, ragazzi, e andate in vacanza
Finalmente, ho detto piano, tra me e me. Finalmente che cosa, ha gridato mio figlio dall’altra stanza: quando lo chiamo per apparecchiare o per dirgli ma che voto hai preso, ma sei pazzo, ha i timpani inservibili, non sente niente, se urlo sente ancora meno, ma per tutto il resto delle cose della nostra vita domestica ha ventisette orecchie sensibilissime. Una volta ho detto, in bagno, parlando con il gatto: certo tu fai una vita meravigliosa, vuoi fare a cambio con me per un po’? Mio figlio mi ha preso in giro per mesi, io ho negato di averlo mai detto, ma mi ricordo benissimo l’espressione del mio gatto acciambellato nel bidet: mi fissava con sovrano compatimento. Finalmente che cosa, ha ripetuto lui, che non molla mai pur non essendo secchione come Barbra Streisand. Finalmente niente, finalmente che c’è il sole e oggi è festa, andiamo al mare, stiamo mezz’ora e poi torniamo indietro. Ha sogghignato perché non mi crede. Sa benissimo che cosa penso questa volta, sa anche che non posso ammetterlo davanti a lui. Finalmente è finita la scuola. Finalmente nessuna professoressa mi chiamerà da numero sconosciuto sgridandomi perché la settimana scorsa non le ho risposto, sempre da numero sconosciuto. Finalmente non dovrò dire: mi scusi tanto, è tutta colpa mia, vengo domattina alle 7:50, ma certo, sarà un piacere.
Non avrei mai creduto che sarebbe andata così: ho riletto anche i diari di qualche anno fa e mi è tornato addosso lo sgomento che provavo all’inizio dell’estate: e adesso? dicevo con la testa tra le mani in mezzo alle zanzare, e intanto l’insalata di riso, il campo estivo che chiude sempre troppo presto, la nostalgia della campanella e di settembre, il desiderio di abbracciare tutte le maestre e di affittare una casa vicino alla loro, la piscina gonfiabile in salotto, gli spaventosi pic nic di fine anno con gli altri genitori, la maestra che cade nel fosso, il padre che mi chiede insistentemente per che squadra tifo e non ci può credere che non me ne frega niente e mi guarda attonito, allora mi chiede che macchina ho, e io non ho la macchina, e se ne va scuotendo la testa e scivola anche lui nel fosso ma io non rido, perché è finita la scuola e quindi sono disperata.
Invece adesso. Adesso sento un sollievo un po’ amaro. Come quando ci si lascia per delusione reciproca e si finge di non voler recriminare: credevo fossi diverso, credevo fossi più simpatico, credevo mi amassi. Lasciamo stare dai, non rifacciamo un letto ormai disfatto. Pensavo che questo verso di Vasco Rossi fosse cinico, ma “tu hai le tue ragioni ed io son forse troppo stanco” è il manifesto di questi giorni di giugno. Tu hai le tue ragioni, scuola, figuriamoci: però adesso finisci, che io non ne posso più.
Parlo solo per me, non per i genitori entusiasti e non per gli esaltati dei confronti tra le scuole, non parlo nemmeno per mia figlia che ha cambiato scuola o per mio figlio con udito supersonico che sta suonando il flauto per le prove di uno spettacolo ed è allegro in un modo quasi insostenibile: io sento solo queste note acutissime che mi trapanano il cervello ma non importa, perché la scuola è finita, vorrei urlarlo, è finita! Nonostante sul registro elettronico continuino a spuntare voti e il cerchio tirannico della media aritmetica tra tutte le materie non smetta di girare e cambiare colore a seconda del risultato in scienze o in inglese, è uguale. Nonostante tutti i genitori che incontro per strada, alle feste, sul treno, mi parlino solo del registro elettronico: con gli occhi sbarrati, compiaciuti oppure umiliati. E tutti, tutti, mi chiedono: e voi come va? sperando, lo so, che io risponda: una merda. In modo che loro possano sbarrare gli occhi ancora di più e dire: ma come? E poi correre a casa e consolarsi, guarda che anche quella del secondo piano ha problemi, rischia il debito, anzi di più. Cari genitori, io non rischio proprio niente. Non sono io che vado a scuola, non siete voi che andate a scuola e prendete 4 in Mate, metterla sul personale non salverà i vostri figli, costruire una comunità di spionaggio internazionale non vi darà la sufficienza in Latino. Capisco però che questo controllo da Unione Sovietica sulle giornate scolastiche dei vostri figli faccia sentire in diritto di controllare anche le vite degli altri, i voti degli altri, le assenze degli altri, o almeno di poter contare sulla delazione. Ma se c’è una cosa che ho imparato a scuola, è che non si fa la spia.
Gentile (è satira) registro elettronico, vorrei dirti solo una cosa: sai dove devi andartene adesso, per tre mesi? Sai che cosa puoi farci con quel cerchietto decimale? Una bella vacanza, te la meriti, ce la meriteremmo tutti, anche i professori che per tutto l’anno hanno ripetuto ai genitori durante i colloqui: questa scuola ha degli standard alti. Cari standard, non vi conosco e non vi saluto, ma vi auguro buone vacanze. Cari standard, non è nemmeno colpa vostra, è che vi usano a caso quando non sanno che cosa dire. E’ stato stancante, è stato strano, è stato un po’ allarmante venire guardati dall’alto in basso dallo scorso ottobre fino a ieri pomeriggio. Come se fosse un combattimento tra adulti, ma sulla pelle di questi ragazzi che abbiamo privato di qualsiasi autonomia. Non possono neanche prendersi il rischio di marinare la scuola o di non rispondere a una domanda in classe: ecco immediata la notifica dell’assenza, ecco il “meno” che compare sul registro elettronico in tempo reale, ecco la professoressa che mi telefona e io non riconosco il numero e non rispondo, metterà un meno anche a me, me lo merito, mi interrogherà in Scienze, non so niente, non ho mai saputo niente.
La cosa assurda è che negli anni precedenti, forse a causa del Covid, non mi sono quasi accorta di questo atteggiamento. L’emergenza giustificava tutto, copriva tutto, esasperava tutto. Leggevo nella chat dei genitori che i nostri figli non “si meritavano” di andare in gita perché indisciplinati e pensavo: dai, siamo tutti molto stressati. Leggevo che i risultati delle riunioni scolastiche con i professori erano sempre negativi, che serviva più impegno, più serietà, che i telefoni cellulari sono un problema grave (un problema grave su cui fondiamo tutta la nostra vita, un problema grave senza il quale non riusciamo neanche a trovare la strada del ristorante, un problema grave di cui qualche ospite televisivo parla con foga, prima di controllare sul telefono quanti like ha ricevuto il suo intervento sul problema grave dei telefoni cellulari in classe). Pensavo: eh già, che problema grave. Adesso penso che c’è qualcosa di eccessivo, in tutte questa negatività, in tutti questi problemi causati dai ragazzi e dai loro telefoni, o dai genitori con le loro manie di controllo, o dai professori con le loro rigidità.
Come se la scuola fosse una palla avvelenata che ci tiriamo addosso, così ci tiriamo addosso l’uno con l’altro le responsabilità scolastiche. Senza il wifi non siamo esseri umani, senza lo Spid non siamo cittadini, senza una connessione internet non possiamo fare niente, neanche l’autorizzazione all’uscita anticipata sul registro elettronico (senza autorizzazione, cioè senza internet che segnali alla professoressa che io ho firmato l’autorizzazione, mio figlio resta in classe e la professoressa di solito colpevolizza o lui o me), eppure la grande questione dei nostri figli a scuola è che vogliono usare internet? Ero confusa, forse lo sono ancora, ma almeno adesso è finita la scuola. Almeno adesso ritorna la libertà di sbagliare ognuno per conto proprio.
Per tre mesi (nessuno osi dire che sono troppe vacanze) ci ricostruiremo un’idea del mondo e dell’impegno e io non saprò che voto ha preso mio figlio in “uovo al tegamino”, ma gli dirò bravo lo stesso, anche senza registro elettronico. Vorrei aggiungere libertà di movimento a loro, capacità di relazione, e togliere a noi stessi (a noi adulti) questo delirio di controllo e di giudizio che serve solo a scaricare le responsabilità. Ci siamo stupiti e indignati perché una ragazzina di undici anni ha scritto un messaggio a Chiara Ferragni su Instagram e l’abbiamo inondata di prediche, di voti, di lezioni di vita, di sarcasmo, sempre su Instagram e dappertutto, sempre con le nostre foto di adulti in primo piano che condannano la sovraesposizione sovraesponendosi pieni di sussiego. Se arrivasse il solito noiosissimo marziano, gli daremmo 3 ancora prima che riesca a scappare terrorizzato: onnipotenza travestita da libertà di opinione, e intanto un registro elettronico per ogni cosa. Ma adesso che è finita la scuola, possiamo calmarci per favore? Fin adesso i nostri figli, oltre ai loro problemi, si sono fatti carico anche dei nostri. Del nostro sgomento, del nostro stupore, della nostra incredulità davanti ai fallimenti scolastici (tutti secchioni coi registri degli altri), perché la nostra reazione di genitori è sempre egocentrica: ma perché mi fai questo? Ma ti fai bocciare con tutto quello che ti do, con tutta la mia disponibilità? Vuoi rendermi infelice? Vuoi darmi anche questa angoscia? Siamo ancora genitori degli anni Cinquanta, però ricattatori e adolescenti.
In quanto adolescente attempata, non posso che esultare per la fine della scuola, per la fine della dittatura. Voglio lanciare i gavettoni ai professori, ma soprattutto ai genitori delle chat di classe, quelli che sanno sempre tutto e che hanno sempre il primo posto ai colloqui individuali perché passano la notte sul registro elettronico in attesa che si apra la finestra. Voglio lanciare i gavettoni anche a mio figlio, che continua a suonare il flauto ma adesso glielo spacco e gli urlo di andare in vacanza. E’ finita la scuola, che cosa vuoi di più? Vuoi forse rendermi infelice? Con tutto quello che ti do?
Viva la scuola insomma, anche quando proprio va tutto a rotoli: promessa di un’estate di liberazione.