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Temptation Island più che un'isola è l'arci Italia. Fenomenologia (ed estasi) del pecoreccio tv

Ginevra Leganza

Il programma in onda su Canale 5 è vincente per il mezzo e per lo stile. Non per il messaggio e la trama, che sono sempre quelli da molte estati

"Estasi del pecoreccio”, svago del piccolo sociologo… Chiamala come vuoi questa Temptation Island che ci tenta e ci strega. Forse perché più che un’isola è l’arci-Italia. Vincente per il mezzo e non per il messaggio. Non per la trama, che è sempre quella da molte estati, ma per lo stile. Siamo sull’isola dell’amore. Universo Maria De Filippi, galassia Mediaset. Sette coppie in crisi vengono spedite nel resort Is Morus Relais, a Pula, vicino Cagliari. Stessa spiaggia, stesso mare, e sette coppie che da undici edizioni fanno più o meno le stesse cose. Si separano – maschi con maschi, femmine con femmine – si fanno sedurre da decine di “tentatori” e a volte fornicano a volte no. Dipende. Tutto è poi filmato e mostrato al fidanzato spaiato che dà di matto. E fin qui niente di nuovo: l’occasione fa l’uomo ladro: l’occhio non vede, il cuore non duole… Il messaggio, appunto, è sempre quello. Sul mezzo, invece, si possono aprire faldoni. Sulle interiezioni, sul vernacolo, sulla geografia degli insulti e su tutti i tic dell’arci-Italia… Come quelli di Gabriela con una “elle” che apostrofa il fidanzato Giuseppe con improperi in napoletano (e già qui si spalancano universi, mondi di genitori e figli cresciuti con Dallas, che hai voglia a fare i cosmopoliti con una “elle” sola). Gabriela con una “elle” c’insegna che più forestiero è il nome, più feroce è la lupa di periferia. “Puerc”, “stu zuzzus”, “omm’ e merd”, dice Gabriela al fidanzato Giuseppe che non l’ha fatta studiare e l’ha tradita su Tinder. In sintesi: Gabriela, che quand’è nata si pensava moderna e padrona del mondo, vive ancora nel dopoguerra. Un po’ come Vittoria di Roma, che odia il fidanzato Daniele – “un troglodita col septum” – perché non la mette incinta. Lo disprezza, questo “troglodita” culturista: uno che “nun c’ha le skills” e che parlando dei muscoli e del suo cuore dice: “Io so’ grosso ma so’ bono; so’ un bonaccione”. E insomma Vittoria lo disprezza perché anche lei vuol comprarlo e incastrarlo per sempre a mezzo prole, come in una storia di vecchie zie. 

 

Sono uomini e donne che si odiano e stanno insieme. Di maschi disgustati da femmine impacciate con le stoviglie eppure volenterose di spignattare. Perla da Salerno, per dire, si lamenta del suo Mirko da Rieti, che lumacheggia con le tentatrici sull’isola: “Pure i calzini e le mutande gli lavo, e lui mi ripaga così! Ma amò – e qui si rivolge a una camerata parimenti cornuta – di ragazzi belli, napoletani e coi soldi, sai io quanti ne posso trova’…”. Che musica l’amore di provincia! E che incantesimo! Fra tutti i cliché dell’Italia profonda sbuca infine Milano, con la bocconiana che vive in centro e s’innamora del tranviere di Cesano Boscone. Manu, poco ambizioso, è pungolato dalla ragazza: “Tu per me sei super importante, io con te voglio creare ricordi. Perché non crederci?”. Creare ricordi cioè raggranellare, andare in vacanza, instagrammare e smetterla di fare il tranviere. 

 

Ed ecco racchiusa su un’isola quell’arci-Italia che somiglia al suo protettore. Al Berlusconi degli Anni Zero che in troppi dicevano non votare, che tutti prendevano in giro per la plastica e il nylon anti-rughe intorno all’obbiettivo, ma che poi vinceva le elezioni perché ci somigliava. Stesso format, dunque: “Orrore!”; “Mai visto in vita mia”, “Schifo”. E tutto per un risultato che è il 27 per cento di share. Stesso adagio, dunque, e stessa filosofia d’impresa: chi disprezza, compra. E chi compra si rispecchia. È il viaggio nell’Italia profonda, questo. Che se pure si chiama Gabriela con una “elle” sola, se pure è cresciuta con Mediaset e ha sognato l’America, ancora si accoppia in un tinello. È il viaggio nella provincia dei sentimenti e nella glottologia. Ed è bellissimo perdersi in quest’incantesimo.

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