Il caldo e il metodo Sottocorona
Giocare con il senso di colpa, sul clima, significa ignorare una realtà fatta di successi (anche italiani)
L'Italia e l'Europa nel corso degli ultimi anni hanno ridotto l'emissione di gas e aumentato le percentuali di riciclo. Ecco perché bisognerebbe smetterla di affrontare la crisi climatica in maniera ideologica
Responsabilità sì, senso di colpa no. Paolo Sottocorona, formidabile meteorologo de La7, due giorni fa, l’avete visto, ha rilasciato al Foglio un’intervista illuminante. Sottocorona dice di non essere un negazionista, cosa che probabilmente penserà Repubblica che con simpatia ha deciso di trasformare tutti coloro che invitano a non fare allarmismo sui temi ambientali in emuli dei No vax. E dice di contestare “il modo impreciso, poco chiaro e iper allarmistico con cui viene presentata una situazione che, fosse davvero quella minacciata, sarebbe certo pericolosa”. Il riferimento di Sottocorona è legato all’annuncio fatto da molti giornali relativo all’arrivo di temperature “infernali”, con una “drammatizzazione”, dice ancora il nostro eroe, “che può portare a una inutile diffusione del panico e a una sorta di autosuggestione presso una certa categoria di persone che per età e abitudine, o perché non è abbastanza smaliziata, tende a fidarsi, come si diceva un tempo, di ‘quello che dice la tv’ o, oggi, il web”.
Lo spunto offerto sul tema da Paolo Sottocorona ci permette di ragionare con realismo su un altro tema direttamente legato a quello suggerito dal meteorologo de La7: il senso di colpa. Non solo fa caldo, si dice, ma dobbiamo anche necessariamente sentirci in colpa tutti, noi italiani, noi europei, noi occidentali per il modo schifoso in cui trattiamo il pianeta. Il messaggio completamente sballato che la colpa del caldo sia attribuibile a noi, noi italiani, noi europei, noi occidentali, meriterebbe di essere accompagnato, oltre che da una pernacchia, anche da un tratto di verità, contenuto in un saggio interessante scritto dall’ex ministro della Transizione ecologica, oggi a capo di Leonardo, Roberto Cingolani (Riscrivere il futuro, edizioni Solferino). Il messaggio di Cingolani è così sintetizzabile: fare di tutto, e anche di più, per occuparsi di cambiamento climatico è importante, ma fare di tutto, e anche di più, per non darsi martellate in mezzo alle gambe dovrebbe essere altrettanto cruciale.
Qualche dato per capirci. Lo sapete, per dire, qual è l’apporto offerto dall’Italia, nel mondo, alla produzione di gas serra globali? Meno dell’uno per cento. Lo sapete, per dire, che in Italia, tra il 2008 e il 2021, è stata registrata una riduzione del 28,7 per cento di emissioni di gas serra, un dato che rende il nostro paese uno dei più virtuosi in tutta l’Unione europea? Lo sapete, ancora, che assieme a Germania, Romania e Francia, l’Italia è stata responsabile della riduzione netta del 66 per cento delle emissioni dell’Ue degli ultimi trent’anni? Lo sapete che secondo i dati dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) tra il 1990 e il 2019 la riduzione di CO2 dell’Italia è stata del 19 per cento, passando da 519 milioni di tonnellate di CO2 a 418 milioni di tonnellate? E lo sapete, ancora, che l’Italia è il paese leader in Europa nel riciclo dei rifiuti, sia per quanto riguarda il tasso di riciclo (percentuale di materiale a riciclo su totale rifiuti) sia per quanto riguarda il tasso di circolarità (percentuale di materiale riciclato su totale materiali usati nei processi produttivi), con un tasso totale di riciclaggio dei rifiuti (dei rifiuti!) pari all’83,2 per cento (media Ue 39,2 per cento)?
E lo sapevate, come diceva la mitica Vulvia interpretata da Corrado Guzzanti, che l’Italia ha un tasso di riutilizzo del materiale riciclato pari al 21,6 per cento contro una media del 12,8 per cento dell’Europa? E lo sapevate, infine, che l’Unione europea, che rappresenta circa il 19 per cento del pil mondiale, produce l’8 per cento dei gas serra globali? E lo sapete, e con questo chiudiamo, che l’Italia per il terzo anno consecutivo – i dati sono di ieri – è campione d’Europa nel riciclo della carta e del cartone, con una soglia di riciclo che viaggia tra l’81 e l’85 per cento che ci ha permesso di raggiungere i target previsti dall’Europa nel 2030 con molti anni d’anticipo?
Se si sceglie di considerare, per l’Italia e per l’Europa, il rapporto con la transizione ecologica in modo non ideologico, in modo non fideistico, si dovrebbe dunque fare, sottocoronamente parlando, un passo ulteriore. Si dovrebbe riconoscere, per esempio, che le misure drastiche che mettono a dura prova il tessuto industriale del nostro paese sono misure pericolose e non necessarie (la fine delle auto a motore a scoppio è un sogno per tutti, ma porsi come obiettivo la fine del motore a scoppio senza fare i conti con i tempi necessari di cui ha bisogno un settore industriale come quello delle auto per riconvertirsi è altrettanto una fesseria con il botto e con lo scoppio). E si dovrebbe riconoscere che l’Europa, più che entrare nel dettaglio delle politiche energetiche di un paese, imponendo in modo dirigista le tecnologie da usare, dovrebbe semmai indicare degli obiettivi da raggiungere lasciando la possibilità a ogni stato “di utilizzare le fonti di energia e di tecnologia che gli consentano di decarbonizzare alla massima velocità garantendo però il miglioramento della vita dei cittadini e predisponendo per questo a fare i conti con tutte le infrastrutture necessarie a sostituire le fonti più inquinanti con altre fonti ancora più pulite in un prossimo futuro”. Con la consapevolezza che tra le nuove fonti energetiche non esistono tecnologie più belle delle altre, per così dire, ma esistono, semmai, tecnologie più convenienti delle altre.
Le tecnologie più convenienti quali sono? “Devono essere quelle – scrive ancora Cingolani – in grado di soddisfare entrambi i requisiti che dovrebbero essere al centro di un’agenda di tutela dell’ambiente non incompatibile con il benessere dei cittadini: tutela sociale, tutela economica, tutela ambientale”. Per ragionare in modo laico sull’ambiente, sul clima, sulla transizione, occorrerebbe utilizzare anche qui il metodo Sottocorona: non drammatizzare. Chi drammatizza evoca un’emergenza. Chi evoca un’emergenza evoca una necessità di agire con urgenza. Chi evoca una necessità di agire con urgenza di solito ragiona in modo ideologico. E chi ragiona in modo ideologico tende a perdere di vista la realtà. Responsabilità sì, senso di colpa no. L’urgenza esiste, ovvio, ma questo non significa agire in modo sconsiderato. Viva il metodo Sottocorona.