Non sparate sul tassista
Li abbiamo eletti a nemici della modernizzazione, ma quasi sempre usano il pos. Sono anche arruffoni, molti si lamentano e protestano, ma sono nella buona compagnia di certi piccolo-borghesi esigenti e a volte minacciosi
Ma quanto è maleducata Selvaggia Lucarelli, quanto fastidiosa la sua prepotente squinziaggine. Ora questa cronista tutta glamour e distintivo fa girare un clip vanitoso in cui intimidisce un tassinaro pugliese che accampa il malfunzionamento del pos e chiede il pagamento in contanti, lei gli fa la lezioncina legale, “è obbligatorio!”, mette in dubbio sgarbata la sua parola timida e educata di uomo e lavoratore di mezza età, “non va, non funziona”, aggiunge che sono sul Lungomare di Bari, il pos deve funzionare, e si pone nel ruolo della cittadina, del cliente, del consumatore che protesta in modo sgraziato. Il pos naturalmente dovrebbe funzionare, ovvio, il tassinaro è sempre in torto quando lo mostra come una macchinetta arrugginita e scarica di linea, ma la buona creanza nel richiederlo, se non il decentissimo compromesso di cacciare dieci euro in contanti dopo un rilievo compito e formale, non dovrebbe latitare.
E la ricattatoria ripresa con il cellulare è porn revenge, pura iattanza giornalistica da reporter dei miei stivali. Io ce l’ho su con chi ce l’ha su con i tassinari. A volte chiacchierano troppo, mettono musica e calcio fastidiosamente e a volume alto, c’è chi fa il giro lungo, non sempre la macchina è adatta a un decoroso servizio pubblico, nella media però sono corretti, onesti, ti portano dove devono, non ti importunano, a volte ti intrattengono con notizie più interessanti di quelle dei social, rispondono alle domande sulla zona della città che si attraversa, colgono senza indugio la fretta del passeggero, quando ci sia, spesso trovano soluzioni di inimmaginabile efficienza.
Andrea Panzironi, taxi-writer per autodefinizione, ha mandato al Foglio, dopo una corsa iniziatasi a piazza Barberini, microsaggi di un certo interesse, ben scritti, anticonformisti. Ti accorgi che non solo scrivono ma spesso leggono, sanno di politica. Travis, il De Niro di “Taxi Driver” di Scorsese, è un tipaccio ex legionario, confuso e paranoico nella Manhattan notturna, ma alla fine la comunità gli fa un monumento perché ha usato violenza ai violenti. Mi gira sempre nella testa il ricordo visivo di una tassinara di Parigi con il suo canuzzo al fianco e, tanti anni fa, la sigaretta pendula, meglio di Jean Gabin o di Lino Ventura, e le tassinare romane o milanesi sono invariabilmente perfette nel ruolo, si coprono di gloria professionale e precisione al millimetro. Per un leghista che te le ammoscia con le tasse e contro lo stato, ce ne sono quattro che ti spiegano la storia del traffico, delle licenze, dei periodi di magra e di vacche grasse, i perché della rarificazione delle vetture in certi periodi, la questione delle licenze, hanno le loro opinioni, i loro interessi da difendere, famiglie, schiene spezzate dai turni, sonno, ma funzionano, come farebbe una città moderna senza di loro non si sa.
Li abbiamo eletti a nemici della modernizzazione, questi meravigliosi molisani inurbati da generazioni che a Roma sfrecciano come lumache per il Tridente e trafiggono senza danni folle immense di sfaccendati che guardano le vetrine e tracannano bottigliette di plastica, spesso amano i cani e i gatti e li ospitano, sopportano in certe stagioni attese epiche, altro che Termini, quasi sempre dispongono del pos e lo usano.
Certo, come dimostra la storia dell’eroe bolognese del fisco, il tassinaro redsox che dichiara il reddito reale e sbeffeggia il collega avido dei soldi della collettività, sono anche arruffoni, molti di loro si lamentano e accampano false certificazioni dei redditi, non sono soli, tra di loro nasce la sindrome di fronte del porto, protestano contro il municipio e il governo, spettegolano, condividono il luogocomunismo di tanta gente comune poco informata, ma sono nella buona compagnia dei miserabili piccolo-borghesi che esigono con sprezzante insolenza eurogallonata prestazioni svettanti, scattanti, e che sono inflessibili e minacciosi quando subodorano una loro debolezza e possono impugnare un bestiale cellulare per dar loro fastidio nel nome della solita moralina che non c’è.
I guardiani del bene presunto