no rain o no music
Da Springsteen a San Siro, i “nimby del rock” parlano di ambiente ma vogliono divieti
Il concerto al Parco di Monza, dove il maltempo tropicale ha fatto disastri, si farà anche se c’è chi grida che “è da incoscienti”. Ma il Boss non lo volevano anche prima del tornado, così come volevano bloccare Ligabue e Papa Francesco. Sono quelli che a Woodstock avrebbero preferito la pioggia
"No rain! No rain! No rain!”, gridavano sotto la bomba d’acqua di Woodstock e poi in dozzine di concerti allagati in ogni dove. Stasera, bizze delle amministrazioni e del tempo permettendo (più temibili le prime) Bruce Springsteen canterà a Monza, su un pratone dell’Autodromo infangato ma atto alla bisogna (niente che meriti una tutela dell’Unesco, checché certuni ne dicano), in mezzo a una Brianza dove negli ultimi giorni il maltempo tropicale ha fatto disastri. Il Parco di Monza è chiuso da tre giorni per essere messo in sicurezza, e se sicurezza sufficiente ci sarà il concerto si farà. Anche se c’è chi grida che “è da incoscienti”, e sono gli stessi soloni secondo cui “gli unici a ricavare vantaggi dal concerto sono gli organizzatori”. Ma va? Questa sì che è analisi economica. Ognuno, ovviamente, si augura che non succeda alcunché, e che chi ha il dovere vigili e valuti.
Ma si potranno davvero in futuro vietare tutti i concerti (e le partite, e le corse podistiche) perché il meteo sarà sempre più imprevedibile? Ovvio che no, non almeno nei termini da setta di Waco dello sbarramento contro il Boss (già coperto di accuse per il concerto a Ferrara, nella Romagna alluvionata, in cui peraltro andò tutto bene). La verità è che tutto era iniziato molto prima. Il Comitato per il parco aveva già chiesto nei mesi scorsi di non tenere il concerto nella “delicata oasi verde” (ma esistono le foto per smorzare l’enfasi). La storica capa del comitato, “l’ineffabile Bianca Montrasio” come l’hanno definita gli Amici dell’Autodromo, è del resto famosa per le sue guerre preventive: nel 2017 aveva tentato di vietare il “prato della Gerascia” a Ligabue e lo stesso anno aveva addirittura scritto a Papa Francesco pregandolo di non celebrare la Messa all’ex ippodromo. Maltempo o no, la mania di vietare la musica per salvare l’erba (Woodstock non sarebbe mai esistito) viene prima e va molto più in là.
Sotto le raffiche dell’ambientalismo proibizionista il buon senso spesso viene travolto peggio degli alberi sotto un tornado brianzolo. E l’idea di un rigorismo ambientale astratto, per il quale nessuna misura precauzionale, e nessuna tecnica in grado di coniugare evento spettacolare e tutela dell’ambiente, è sufficiente. “Quando ci fu lo spettacolo di Ligabue a nostre spese abbiamo fatto eseguire due perizie agronomiche che hanno confermato la concezione di una fruizione quotidiana del polmone verde monzese, ma non certo eventi con tanto impatto di pubblico. Purtroppo i danni in passato sono stati sotto gli occhi di tutti”. Non è vero, ribattono gli organizzatori della kermesse, per i quali le cose non sono incompatibili. Ma forse basterebbe studiarsi il “Legacy Report” certificato sull’impatto ambientale dei grandi concerti che Jovanotti realizzò lo scorso anno proprio a margine del suo tour (ne scrisse il Foglio). Da cui emerge come sia possibile oggi, anche grazie alle tecnologie e alle misurazioni d’impatto, coniugare grandi eventi e tutela del territorio.
Ma a Milano è sorto addirittura un comitato del No a prescindere dai tornado e persino, udite udite, dal disturbo del “rumore” che poi sarebbe la musica. Ad armare i comitati è stata la stagione dei molti concerti svoltisi quest’estate nel “triangolo” tra il Meazza, l’ippodromo di San Siro e quello della Maura, che secondo una immaginifica cronaca del Corriere sarebbe “contestatissimo” (da chi?). Un dossier è stato spedito non solo a Beppe Sala, ma ai sindaci delle principali città del mondo che fanno parte di C40, la rete delle cento città contro l’emergenza climatica. Insomma non le orecchie né il traffico: “Il primo danno dei concerti è ambientale”, dicono. I “danni” sarebbero, nell’ordine: “Auto parcheggiate sui marciapiede impedendo così il passaggio delle persone”, “autobus rimasti bloccati nel traffico”; “stazioni della metropolitana chiuse per ragioni di sicurezza”. Niente insomma che non si possa curare con un buona gestione amministrativa delle serate a rischio. Ma i comitati scrivono: “Quello che abbiamo voluto documentare è l’invasione che noi residenti abbiamo subìto in occasione dei vari concerti che si sono tenuti”. Sono nuovi Nimby del rock. Quelli che a Woodstock avrebbero preferito la pioggia.
generazione ansiosa