Estate con Ester
In città ci si consola tra afflitti, augurando la grandine
Vacanze ad agosto: massimo due tacche di ricarica, a chi rimane in città non resta che tirare iella a chi è partito. Magari fossimo Natalia Ginzburg, indifferenti alle stagioni, menefreghisti della partenza, disdegnatori di Mediterraneo
Agosto in città non si augura manco ai piccioni. E’ quasi ora di migrare, tra poco qui sarà solo un deserto di nessuno, dai vuoti bisogna salvarsi. Si fugge tutti, con le macchine impacchettate, coi treni regionali, con le carriole. Agosto è per andarsene, non per restare. Tempo di tregua. Di chiudere la baracca, perlomeno. La pacchia per qualcuno non comincia neanche, prevista una misera settimana verso Ferragosto, e tutto qui, te la fai bastare. Sempre solida e più ampia invece la fazione estiva, la quota abbiente e gaudente dell’utenza umana, già impegnata a farci invidia coi post dal mare anzitempo da giugno. Sulle isole. Con le barche e senza pudore. Certi con gli aerei privati, sfacciati e inquinanti, beati loro. Ci si potrebbe incazzare con questi invece che con la fontana di Trevi. Gioventù, pensiamoci. Agosto te lo pigli come viene, qualcuno anzi non lo può proprio vedere, gli garba l’oscurità d’autunno e le castagne tappati in casa, e vorrei tanto essere una di loro. “Io non trovavo il mondo triste, lo trovavo bellissimo, solo che a me per qualche ragione oscura era vietato di celebrarne le radiose giornate”.
“Così non potevo che cercare e amare l’autunno, l’inverno, il crepuscolo, la pioggia e la notte. Scopersi, in seguito, che una simile sensazione non ero io sola a provarla, che era una sensazione comune a molti, perché molti come me in qualche istante della loro esistenza si sono sentiti esclusi e mortificati dall’estate, giudicati per sempre indegni di raccogliere i frutti dell’universo. Molti come me allora hanno odiato lo splendore abbagliante del cielo sui prati e sui boschi. Molti come me ai primi segni dell’estate si sentono in angoscia come all’annuncio di una disgrazia”. Magari fossimo Natalia Ginzburg. Indifferenti alle stagioni, menefreghisti della partenza, disdegnatori di Mediterraneo. Insensibili ai tuffi a mare. A noi un poco di vacanza invece piace, dormire sulla sdraio senza neanche leggere, né romanzi estivi né saggi invernali, niente. Dormire, morire, spellare. Più tardi spaghetti e vongole. I Marcovaldi rimasti in città s’affacciano alle finestre degli uffici, controllano il meteo per vedere se magari viene aria di tempesta, tirano iella a quelli partiti. Che ti piovesse sulla vacanza! Con la grandine. Ci si tiene compagnia tra afflitti. Tu fino a quando resti a Milano? Il tredici agosto, e tu? S’affaccia serpigno un pensiero depresso: quasi sarebbe meglio non partire. E che partiamo a fare? Ormai quel Rubicone è passato, non c’è riposo possibile, la vacanza doveva essere già cominciata, la ricarica delle batterie non funzionerebbe più, al massimo riprendiamo due tacche. L’estate ci ha scorticato, è troppo tardi per spassarsela. Servirebbe prima la rianimazione.
Inizio agosto, ancora in ufficio e senti che qualcosa nella vita l’hai proprio sbagliata. Lavorare ad agosto è come finire il libro delle vacanze. I ragazzi benestanti il libro delle vacanze lo finivano la domenica prima di tornare a scuola. Certi il libro l’avevano perso in mare. Signora maestra sulla barca tirava un vento e i compiti sono volati via. E infatti cominciavano l’anno più contenti, più vitali. Mi pareva che quelli che sapevano nuotare riuscissero meglio in tutto. Tornavano dalle vacanze più intelligenti perché avevano preso lo iodio in mare aperto, a prua. Chissà se era vera la storia dello iodio, chissà che era, lo iodio. Di sicuro quelli ripartivano meglio di noi stentatelli rimasti al paese, bianchi bianchi. Avevamo pure finito il libro delle vacanze, letto Calvino “Fiabe italiane” edizione Einaudi primo secondo e terzo volume, ma a che era servito, se invece quelli erano così felici e in salute? Che cosa di destra, pure questa. Forse è servito a sopportare meglio l’estate in città. L’apostrofo scocciato tra le parole “questo ci sarebbe da finirlo ma il cliente non risponde fino al 27 agosto” e “comunque è urgente”. Siamo tutti il chirurgo cardiaco di qualcuno, ad agosto.
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