Sesso contemporaneo / 3
Tra castità e libertinaggio, si vede ben poco eros all'orizzonte futuro
Modi per castigare il corpo tra gnosticismo e fantascienza
Il futuro del sesso ce lo ha indicato Tuzzi. Badate bene, non sto parlando di Tootsie, il film in cui Dustin Hoffman si traveste da donna, ma del caposezione Hans Tuzzi, alto funzionario del ministero degli Esteri, personaggio dell’Uomo senza qualità di Robert Musil. A margine della sua attività Tuzzi coltiva una sua eccentrica erudizione, e in una magnifica pagina del romanzo passa in rassegna gli stravaganti costumi sessuali delle sette gnostiche dei primi secoli cristiani. Alcune erano contrarie al matrimonio e praticavano l’astinenza, altre perseguivano una castità misteriosa per il mezzo insolito dei riti orgiastici. Gli adepti di una setta si castravano, ritenendo la carne femminile un’invenzione del diavolo, mentre in un’altra setta uomini e donne partecipavano nudi, insieme, alle cerimonie religiose. Cordiale e compendioso, il caposezione Tuzzi concludeva così: “Gli uni facevano una cosa e gli altri l’esatto contrario, ma tutti più o meno per le stesse ragioni e convinzioni”. E’ una questione arcinota agli studiosi dello gnosticismo, la compresenza paradossale di ascetismo e libertinismo, e un modo persuasivo di sciogliere il paradosso è appunto quello di Tuzzi: quando si odiano il corpo e la materia, come la massima parte degli gnostici antichi, castigarlo con l’astinenza o oltraggiarlo con lo sfrenamento sono due vie altrettanto legittime.
Ma queste sono vette speculative circondate d’aria purissima, e io sono meglio equipaggiato per volare a quota bassa. Qualche settimana fa, su una bancarella in riva al lago, ho trovato un libro di fantascienza curato da Zeno Ghiringhelli, uno dei molti pseudonimi dello scrittore Giuseppe Pederiali. S’intitola Il fantaerotismo. Amore e morte oltre le stelle, pubblicato dall’effimero editore Sharmly di Milano alla fine del 1968, ossia alla vigilia dell’année érotique. Eppure, in quei racconti che tentavano di indovinare il sesso prossimo venturo, di erotico c’era ben poco. Nel racconto che apriva il volume, Eva, quale Eva? di Mike Banzi, altro pseudonimo di Pederiali, un industriale di nome Cantalopus rievocava la storia della Sexymatic, la ditta all’origine delle sue fortune. Poiché agli uomini su Marte mancavano non già le donne in quanto madri, mogli o sorelle ma le donne in quanto amanti, Cantalopus aveva prima provato a riaprire le case chiuse sul pianeta rosso, poi, davanti alla resistenza dell’opinione pubblica benpensante, si era messo a produrre concubine robot indistinguibili in tutto e per tutto dalle donne reali, lanciandole sul mercato con lo slogan: “Le vostre mogli per la prima volta non saranno gelose!”. La soluzione aveva messo d’accordo tutti (e qui sembra quasi di sentire l’eco del caposezione Tuzzi): “I moralisti erano dalla nostra parte, i libertini pure (anche se per ragioni opposte)”. Inutile dire che le cose s’ingarbugliavano quando ci si accorgeva che le mogli non erano affatto disposte a dividere i piani dell’amore e del sesso, e che i mariti erano capacissimi d’innamorarsi come scemi di una replicante. A chiudere il piccolo volume era invece un racconto di Inìsero Cremaschi dal trobadorico titolo L’amore da lontano. Sul pianeta Arret – retrogrado di terra – le cose vanno alla rovescia, e ogni contatto è bandito: è dato amare solo ologrammi tridimensionali per mezzo di uno schermo e di conduttori elettrici. Il protagonista terrestre è spazientito: “Senti, non ho nessuna voglia di far l’amore per corrispondenza”, sbotta alla sua amante incorporea, che gli risponde: “Ma siete dei trogloditi, dei volgarissimi trogloditi… Su Arret anche l’amore si è evoluto scientificamente, tecnologicamente. Come tutte le altre manifestazioni umane, del resto. Noi di Arret non accettiamo quel realismo”. Se Marte era un giardino delle delizie sensuali, Arret era un’utopia erotica tutta mentale.
I due racconti non sono indimenticabili, se non per quel poco o tanto che ne risuona sull’attualità. Ascoltavo giorni fa un’intervista a Mo Gawdat, ex direttore commerciale di Google X e ora scrittore di argomenti tecnologici e futurologici, che proviene dall’Egitto (la culla dello gnosticismo antico, detto di passaggio). Gawdat annunciava i “sex robot” di un avvenire imminente, indistinguibili dagli umani. Pareva di ascoltare un altro scienziato celebre della letteratura, il sensista Morel di un romanzo breve di Adolfo Bioy Casares che si chiama appunto L’invenzione di Morel: se gli amanti animati dall’intelligenza artificiale saranno identici a quelli reali per tutti e cinque i sensi, e per la loro capacità di rispondere alle sollecitazioni, diceva Gawdat con un tono in bilico tra euforia e terrore, “a che servirà incontrare un altro essere umano?”. Le app di dating del futuro, pronosticava, potrebbero metterci in contatto con ipotetici partner virtuali. La congettura è affascinante. Molti, si può prevedere facilmente, vorranno poi incontrare gli avatar con tutti i sensi, e seguire con essi la via dello sfrenamento orgiastico; ma altrettanti – prevedo perfino più facilmente – anche allora sceglieranno l’amor de lonh, e preferiranno intessere nel chiuso delle loro stanze relazioni per corrispondenza con esseri immaginari: nemmeno dagli amanti immateriali vorranno farsi toccare, ostentando disprezzo per la misera carcassa deperibile e mortale in cui siamo tutti intrappolati. “Gli uni facevano una cosa e gli altri l’esatto contrario, ma tutti più o meno per le stesse ragioni e convinzioni”. Il futuro del sesso ce lo ha indicato Tuzzi.