magazine
Contro i convenevoli. La buona educazione patologica che ti frega e la bocciatura che ti salva
Quanto tempo deve passare prima di riuscire a dirci qualcosa di interessante? Forse tutta l’estate, forse la vita intera. “Buon giorno, professore. Come sta la sua signora? E i gatti? E questo tempo che non si rimette ancora”
Quante conversazioni innocue e inutili dovremo ancora affrontare prima di arrivare alle vacanze eremitiche in cui nessuno chiede: come sta la sua signora? – e non solo perché qui non c’è nessuna signora. Come sta la sua signora? è il verso della canzone di Guccini, “Il pensionato”, in cui si parla di antica cortesia. Apprezzo l’antica cortesia, anche a me dà un piacere assurdo, e sono grande fan dell’ipocrisia, ma sono affaticata da tutto il tempo perso in convenevoli. Come sta la sua signora? Come sta tuo marito? E i ragazzi, quanti anni hanno adesso?
Quanti anni possono avere secondo te, un anno in più di un anno fa quando me lo hai chiesto e io ti ho risposto gentilmente e ti ho chiesto gentilmente quanti ne hanno i tuoi ragazzi. Ma la verità è che a te non interessa, infatti te ne sei dimenticato, e a me del resto nemmeno. Ricordo vagamente che tuo figlio urlava moltissimo sotto l’ombrellone, lanciava la sabbia negli occhi e dava la colpa a mio figlio, quindi me ne infischio se adesso studia a Cambridge e sta nei giovani del Rotary Club, non lo voglio vedere mai più per tutta la mia vita. Spero che stia bene là al Rotary, anzi ne sono certa, ma non ho voglia di passare dieci minuti a parlare dei suoi master e delle sue iniziative di beneficenza. Invece passiamo insieme questi dieci minuti a parlare del suo master e delle sue iniziative di beneficenza, e so che fra tre secondi sentirai il bisogno di raccontarmi l’itinerario delle vacanze di questo tuo figlio, compreso lo scalo dell’aereo, e mi chiederai che cosa fanno i miei. Quanto tempo deve passare prima che riusciamo a dirci qualcosa di interessante? Forse tutta l’estate, forse la vita intera. Anzi, la vita non basta. Alla fine delle nostre esistenze ci incontreremo da qualche parte, in cielo, e mi parlerai di queste nuvole che non promettono niente di buono. E allora io dirò: ma a questo punto, francamente, che ti importa delle nuvole? E’ tutto finito, vogliamo raccontarci qualcosa di vero? Mi vuoi dire della donna che hai amato segretamente per tutti questi anni e che sul più bello si è stancata di aspettare? Mi vuoi dire almeno qualcosa di meschino, risentito, disperato, sincero? E invece no, poiché non sono per niente coraggiosa dirò: certo c’è un’umidità, ma i ragazzi come stanno? Nella nuova stagione di And just like that, che tutti giudicano orribile, grottesca, inconcepibile, e io invece ogni volta ci trovo qualcosa che mi piace, Carrie Bradshaw è pentita di avere accettato l’invito a una festa del suo produttore di podcast, con cui si vede ogni giovedì dopo il podcast. Solo sesso, chiacchierare, cose così, non una relazione. Lui, che vuole una relazione, le propone un’uscita il martedì sera, la festa di qualcuno sul tetto di un palazzo. Lei dice sì, anzi dice: oh sì, certo, con un gran sorriso imbarazzato. Poi si dispera. Le basta il giovedì, “sesso di uscita dal dolore”, lo chiama: non ha nessuna voglia di aggiungere il martedì e quindi una serie di strazianti convenevoli con il racconto reciproco delle proprie infanzie. Chiede consiglio alle amiche, tutte più o meno le dicono che tanto i maschi non capiscono, non hanno sentimenti, quindi può tranquillamente dargli buca, ma una invece le dice: ma allora perché hai accettato? Lei risponde: “Perché sono patologicamente beneducata”.
Patologicamente beneducata è la definizione giusta. Patologicamente beneducata è lo stato mentale che permette il trionfo dei convenevoli, ovvero quelle conversazioni che possono durare anche per un’intera cena, con il sorriso immoto sulle labbra e il talento per schivare qualunque argomento spinoso e quindi interessante. E’ il genere di cena, anche, in cui di solito mi viene fatto notare che mangio molto lentamente. E’ vero, mangio molto lentamente, non sono in grado di parlare e mangiare allo stesso tempo, e se mi vengono fatte molte domande su come stanno i ragazzi e com’è il clima a Roma e come vanno le cose al giornale, ad esempio (che cosa significa? Qual è il vero senso della domanda? Ti interessano i miei orari di lavoro, oppure la diffusione, il piano ferie, la tredicesima, che cosa? Dimmelo, dai: che cosa vuoi sapere?), devo necessariamente e patologicamente rispondere in modo educato e quindi non riesco a mangiare a velocità normale. Nel senso che non ne ho le capacità. Ora, i non convenevolisti mi prendono in giro, fingono di andarsene, dicono al cameriere che resterò anche la notte per finire gli spaghetti e che ho bisogno delle chiavi del ristorante, i convenevolisti dicono, con un sorriso inclusivo: comunque è questo il modo giusto di mangiare, lo dicono i nutrizionisti, così si digerisce meglio. E io invece di rovesciargli gli spaghetti in testa dico: ma infatti, lo faccio per questo. Sono gli stessi, che se qualcuno nel raggio di seimila chilometri sta traslocando o ha traslocato sei anni prima, ci tengono a spiegare che il trasloco è un evento traumatico al pari del divorzio (se sono convenevolisti di secondo livello aggiungono: meglio il divorzio), sono gli stessi che parlano delle previsioni del tempo per la prossima settimana, sono gli stessi che hanno bisogno di “ricaricare le batterie” o anche di “staccare la spina”, sono gli stessi che mi fanno l’occhiolino chiedendo di consigliargli un libro, io glielo consiglio, loro dicono, di nuovo strizzandomi l’occhio: ma quindi è bello? (no, è orrendo, te lo consiglio solo perché ti odio e perché comunque so che non lo leggerai), sono gli stessi che mi chiedono: e allora i ragazzi? I ragazzi è il convenevole universale, perché permette di restituire la domanda ed eventualmente di parlare anche di nipoti e di liceo classico, ma comunque tiene il convenevole lontano da zone pericolose come l’immensità del non volerci dire mai niente di vero, per niente al mondo. “I ragazzi stanno bene” quindi basterebbe, generico, educato, non invadente, convenevolista e cortese, ma poiché chi fa convenevoli non vuole dire niente di sé ma sapere il più possibile di te, ecco la domanda successiva: e gli studi? E le fidanzate, i fidanzati? Che è la modalità intrigante ma socialmente accettata di ottenere informazioni pettegole su qualcuno che non può difendersi perché è assente.
Con mia grande (non esageriamo con le smancerie) soddisfazione, quest’anno per la prima volta ho infranto i convenevoli, restando comunque patologicamente beneducata. E gli studi, e il liceo classico, e la pagella? “Tutto bene, mio figlio è stato bocciato”. Silenzio, sgomento, sguardo sospeso. Quando le cose interessanti si infilano a sorpresa nella banalità degli ossequi e dei salamelecchi, c’è sempre un vuoto confuso, necessario a trovare al più presto il giusto convenevole per la situazione. “Ah, ma come mai?”, “Ah, ma tu come l’hai presa?”, “Ah, ma proprio non studiava?”, “Ah, ma anche il figlio di un mio ex vicino di casa in montagna è stato bocciato”. Tra l’altro niente, neanche la bomba della bocciatura, ha evitato la domanda successiva, già evidentemente programmata nell’elenco: e le fidanzatine? Ho invece molto apprezzato, tra i non convenevolisti, il nonno che ha promesso al più presto al nipote un regalo di bocciatura, saltando così in un secondo dieci gradi di sguardi contriti. Perché anche i convenevoli sono una questione di passaggi, di passetti. Quanti passetti servono per arrivare a dirci qualcosa di diverso, di non noiosissimo? C’è forse un itinerario preciso, fatto di dieci gradini, e all’undicesimo se non si è ancora morti di frasi fatte, dopo aver danzato intorno alle smancerie, alla diffidenza, alle misurazioni di credibilità, si può cominciare a parlare di qualcosa di un po’ più eccitante della differenza tra Bergamo alta e Bergamo bassa, o del tempo necessario a fare il cambio di stagione negli armadi, o della pur drammatica assenza di taxi in città e alla difficoltà di trovare una brava baby sitter che non entri in competizione con la vera madre?
Perché se è troppo difficile, se pensiamo di non farcela, se dobbiamo dirci solo che Roma è invivibile (ma quando mai?) o che mio marito lavora troppo, e che anche io dovrei proprio staccare la spina, avverto che, oltre all’eremitaggio e a quella favolosa funzione “archivia”, che si usa con i contatti whatsapp troppo noiosi (i messaggi in arrivo vanno direttamente in archivio e non verranno letti mai più), io parlerò per tutto il tempo solo di gatti. Non delle fidanzate di mio figlio, non di pagelle scolastiche, non di meteo, non di film che non avete visto ma di cui volete comunque parlare o peggio scrivere: se devo scegliere un convenevole tutto mio, una cosa innocua che faccia desiderare al mio interlocutore di scappare almeno quanto lo desidero io, scelgo i gatti. Animali superiori, sprezzanti dei convenevoli ma patologicamente beneducati, gente felina che non direbbe mai niente di sciocco, se solo parlasse. I miei tra l’altro parlano e ieri quando è arrivato il temporale hanno fatto dei commenti di approvazione e stupore molto appropriati, hanno ucciso due mosche, me le hanno portate, hanno con grande dignità chiesto un premio per la caccia, si sono sdraiati a pancia in su per comunicarmi la loro gioia per il fatto che io fossi lì con loro e non a un convenevolario. Ho allungato una mano per fare una carezza, in un attimo mi hanno graffiato in coro e poi hanno ricominciato a fare le fusa. Perché ci sono molti modi per difendersi dall’invadenza, e ci sono anche molti modi per non dire la verità, se non si vuole, e io ammiro chi ci riesce saltando tutti i convenevoli.