Estate con Ester
Da “felicità” a “permacrisis”: vocabolario estivo per sfuggire al “cringe”
Esempi pratici per muoversi nel difficile labirinto delle etichette moderne: dal cat calling all'appropriazione etnica, dai boomers all'intensive parenting
D’agosto buttarsi al mare da una barca si chiama felicità.
Stare soli in casa liberi da tutti si chiama felicità. Pure lavorare senza scocciatori intorno si chiama felicità.
Dividere un toast in due e farti pagare il taglio, offrire un bicchierino d’acqua vicino al caffè al prezzo di 50 centesimi si chiama servizio ma si chiama anche pezzenteria, dipende da quale lato del bancone stai.
Quando ti rassegni e concludi che solo i soldi faranno altri soldi si chiama turbocapitalismo.
Quando dici però un momento, aiutiamo pure i più deboli si chiama ancora comunismo.
Quando stamattina ho offerto un caffè ai due operai di Salerno che avevano ventidue anni e si lamentavano ridendo della schiena distrutta anzitempo e stavano asfaltando via Vivaio, mi sono chiesta se lo dovevo considerare “gesto volgare dei peggio plutocrati” o “carineria perché stamattina nel raggio di 500 metri a faticare eravamo solo noi tre” e poi uno ha detto “signora, grazie” togliendomi dai guai mentali perché poi ho pensato solo “mi lancio sulla luna” ma a questo plotone di “signora” sfuggirò. Io ho ventisei anni, tutti ci sentiamo ventisei anni perché non ce lo diciamo.
Farsi fare le treccine africane dalla ragazza igbo si chiamerebbe appropriazione culturale, ma in spiaggia a Bordighera chi ti dice niente.
Avere diciott’anni e dire “uè bella” alla ragazza che passa con le amiche si chiama cat calling, allora bisogna trovare un metodo alternativo perché sennò questi adolescenti come fanno.
Ridacchiare un poco trionfante perché sei tu l’unica destinataria del cat calling si chiama essere serva del patriarcato.
Essere l’amica meno carina a cui “uè bella” non viene detto mai si chiama trauma, che poi diventerà lack of self confidence.
Essere l’amica in mezzo, quella lettrice di libri, che vede una compiaciuta e l’altra avvilita e trova qualcosa di cui sparlare per rimettere le cose a posto si chiama sisterhood.
Sfruttare il prossimo tuo (o la prossima) finché il prossimo è disposto a starci, essere brutale e distante perché conviene si chiama narcisismo.
Crescere i figli orrendi viziati si chiama intensive parenting.
Non depilarsi le ascelle si chiama attivismo.
Stare sul divano a fare storie Instagram puntando alla redenzione mondiale si chiama attivismo.
Prendersela con i monumenti si chiama attivismo.
Sdraiarsi in mezzo alla strada bloccando il traffico per la povera gente in tangenziale si chiama attivismo.
Dare fastidio a tutti tranne a quelli che davvero inquinano si chiama attivismo.
Dire quello che ti pare si chiama libertà di opinione.
Pensare che vorresti dire alcune cose ma non le dici perché ne vanno di moda altre generatrici di consenso si chiama ancora disonestà intellettuale.
Pensare che ti piacerebbe dire quello che ti pare ma ultimamente non è cosa si chiama autocensura. O anche “chi me lo fa fare”.
Mazzolare quelli che dicono cose sgradite qualcuno lo chiama wokeness, altri cancel culture.
Il fatto che siamo in una fase storica comodissima e quieta, disuniti, confusi e rimbecilliti dagli schermi, si chiamava società liquida ora è cambiato il filosofo e si chiama società della stanchezza.
Le cose che arrivavano dall’America una volta si chiamavano americanate.
Il vecchio “che ne sarà di noi” ora si chiama permacrisis.
Toxic environment sul luogo di lavoro si chiamano i soliti stronzi che comandano, la differenza è che ora contro di questi si deve fare qualcosa, sì ma che?
“Che figura!” ora si chiama cringe, tra i giovani.
Non andare a scuola si chiamava filone, sega, fughino. Ora si chiama per forza dire alla mamma che sei malato, perché c’è il registro elettronico e il professore telefona subito a casa.
La pubblicità si chiama fare contenuti. Contenuto una volta voleva dire che c’era qualcosa dentro.
Le cose che ti piacciono di più– le fritture di pesce, la pizza, la parmigiana di zia Teresa – ora si chiamano comfort food. Ma perché comfort, da cosa mi devo ripigliare, io stavo bene avevo solo lo sfizio.
I vecchi ora si chiamano boomer, millennial, generazione X, è tale e quale a prima ma ci dividono a cinque anni per volta, così ci possono insultare con varietà.
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