l'editoriale dell'elefantino
L'affaire Seymandi-Segre dice che è meglio lasciarsi prima che dopo
La straordinaria festa in collina e il confine del preadulterio dei giorni nostri. Perché l’antitesi del matrimonio non è il divorzio, ma il non-matrimonio
Non è così triste come si dice la storia di Massimo Segre e Cristina Seymandi. La si può considerare un apologo scherzoso sui rischi del bovarismo più sfrenato, il preadulterio. Qualcuno doveva pur fissare il concetto popolarizzato in una campagna contro l’abbandono degli animali: non abbandonare chi ti ama. Vale anche per i cristiani. Sono tutte fantasie, certo, queste del farsela con un altro o con un’altra, e si ha il diritto femminile di considerarle una violenza privata, bolli carte e tribunali, ma sono anche testimonianze festaiole del fatto che alla reciproca fedeltà in amore è possibile tenere il giusto. Gli invitati si sono lamentati per essere stati coinvolti in una sceneggiata che in fondo, pensano, non li riguardava. Hanno le loro ragioni, forse non li riguardava. Ma chi non era invitato e ha solo sentito e visto via media e social non può umanamente non aver sorriso di quella promessa di matrimonio saltata, della sua squisita inattualità, con omelia in cui il presunto fedifrago anticipato, addirittura una femmina, e bella, e libera, è invitato a farsi una vacanza a Mykonos, non già con il commercialista destinato a questo da progetti di nozze, ma con il suo avvocato presunto moroso. Perché amare vuol dire volere il bene dell’altro, ha detto il promesso in un gustoso intermezzo oratorio. Inutile arrabbiarsi o moraleggiare. Tutto sommato, meglio prima che dopo, con più carte più bolli e magari dei pupi in ecoansia da scoppiamento della famiglia. Lui e lei poi hanno visi interessanti, curriculum impeccabili, nella Torino di Fruttero stanno a pennello. La prevalenza dell’adulterio, magari pre, doveva pure un giorno trovare un piccolo confine gogoliano in una festa in collina. Il teatro cittadino subalpino, per chi lo conosca anche poco, sembra fatto apposta per questo. Tiette, dicono a Roma. Oppure: stacce. Sono arronzamenti indegni di un codice più adatto a quella stupenda provincia francese piena di charbovary e di Madame e Madamine Bovary e di Léon e Rodolphe con annessi farmacisti Homais. I sensi e il divertimento, lo scaccianoia, sono princìpi del nostro tempo, come dimostra l’inchiestina sul sesso in corso qui, come è chiaro dalle statistiche matrimoniali e sacramentali a ogni latitudine. E non solo per le generazioni più giovani e più confuse. Anche per un maturo Ganimede e la sua promessa Signora. In fondo questo atto mancato, questa festa parecchio a sorpresa, dimostrano quanto qui argomentato da tempo, a titolo strettamente personale, in proposito del matrimonio e del divorzio. L’opposto logico del matrimonio, heri dicebamus, non è il divorzio, è il non-matrimonio. Come il non-concepimento è una soluzione migliore dell’aborto o interruzione volontaria, volontaria per alcuni ma non per altri, della gravidanza. E la celebrazione di un non-matrimonio ha qualcosa di succoso e impegnativamente didascalico. Salvo per quel riferimento alle ferie a Mykonos, già tutto pagato dal dottor Segre, che non è propriamente da gentiluomini, e che la categoria dei commercialisti dovrebbe rimarcare, visto che anche loro hanno un’anima e un codice cavalleresco, come una storpiatura.
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