l'editoriale dell'elefantino
Vita e famiglia queer, un mondo di favola bello ma non sempre
Bisogna vivere nell’apertura eccentrica, rifiutare i codici prescritti, matrimonio, gender, corpo, anima: è quello che Murgia ha celebrato vivendo scrivendo e morendo. Ma i codici aiutano. Senza inibizioni non resta che la favola
Vivendo scrivendo e morendo Murgia ha celebrato la vita e la famiglia queer, che una volta era un brutto insulto e ora è un mondo di favola di cui il mondo celebrante evidentemente ha bisogno, si ha sempre bisogno dell’esperienza e della morte degli altri per nutrire il proprio amore, la propria vicinanza. Bisogna vivere nell’apertura eccentrica, queer, rifiutare i codici prescritti, matrimonio, gender, corpo, anima, tutto va rimescolato in nuovi ruoli che aspirano a non essere ruoli, i figli non sono figli se non dell’anima, i sessi non sono sessi se non per scelta, i riti sponsali sono triste occasione e necessità burocratica, l’importante è amarsi multidisciplinarmente, l’importante, come dice il mantra della felicità contemporanea, è volersi bene, vecchio adagio che torna utile. La famiglia allargata è già tradizione, vecchiume, una finzione di fatto e di diritto, la famiglia e la vita queer sono un nuovo orizzonte.
Sarebbe facile obiettare che la comune è già stata provata negli anni Sessanta e che è fallita per tanti ovvii motivi. Ma sarebbe anche miope non vedere che ogni tempo ha la sua prova, e si può prendere sul serio l’ansia credente e diversamente credente di sottrarsi a stato chiesa famiglia proprietà filiazione paternità maternità in favore di un sogno alternativo. Il difetto del progetto non è nel suo carico d’amore, che può ben essere testimoniato con audacia e fortuna; il difetto, si può presumere, è nell’idea stessa che si viva meglio, si sia più liberi, creando norme che sfidano la norma accertata e riverita per secoli. La famiglia Lutero era queer a suo modo, sovvertiva la norma delle norme addirittura con sposalizio e figli del monaco spretato (nel senso della chiesa di Roma) e della suora Katarina. Nel convento nero di Wittenberg i ruoli c’erano, la tradizione si combinava con l’eversione, ma presto anche lì fu battaglia per imporre nuova ordinarietà, nuova normalità, e le vere trasgressioni degli anabattisti e delle estreme derive protestanti vennero soffocate in favore della retorica del pastore che ama e filtra nel suo amore teologico la vita di una famiglia e della sua comunità. Più vicino temporalmente alla queer family è forse il dandysmo che sceglie fior da fiore i fiori del male, però anche quello è un codice, molto severo per giunta, e in un caso finì a pistolettate tra un adulto, Verlaine, e un adolescente (Rimbaud).
Spiace essere vecchi, con tendini che indolenziscono la camminata, cuori che battono e non battono come pare a loro, energie in dissipazione giorno dopo giorno, amici e amori che scompaiono alla vista rapidamente, troppo. Ma c’è il vantaggio di sapere che i codici aiutano, tra questi la proprietà privata, il bollo del notaio, l’amore codificato dal prete o dal sindaco, la chiusura anche, l’alleanza contro il resto del mondo, il lucchetto che Murgia detestava. Senza inibizioni non resta che la favola, la favola diventa inevitabilmente chiacchiericcio, i valori nuovi e intolleranti del conforme si trasformano in valori vecchi e conformisti, è un rio destino, cinico e baro, che fa parte della natura umana. Confermo che l’intervista scoop al Corriere di Cazzullo sul tema della sua morte mi ha fatto, per semplicità esemplare del non sentimentalismo, pensare che con il queer Murgia non agganciato mi ero perso qualcosa. Ma confermo anche l’obiezione, che non sempre conduce a conclusioni scontate e tristi.