estate con ester
Tutti vogliono un lavoro sostenibile: alcuni lo trovano, ma c'è un problema
Esisterà, alla fine? Un lavoro bello, pieno di sole, il lavoro che ti garba sempre? Quello che renderebbe lieve l’ambizione, e ti ci potresti pure spaccare la schiena?
Gli aggeggi novecenteschi stanno cadendo a pezzi uno a uno. Dopo la morte della nostalgia, la morte dell’ambizione. Nostalgia era quella facoltà di sparire per farsi rimpiangere. Convivenza forzata collettiva sui social, e addio misteri per farsi ritelefonare dagli ex.
Lavoro, ora si parla sempre di lavoro. Lavoro schiavista ovunque, lavoro troppo demoralizzante, Grandi dimissioni, Quiet Quitting (che sarebbe lavorare ammosciati in spregio al capitalismo).
Intanto, la favoletta della nuova generazione impiegata che si piega e si spezza pure, è appunto una favoletta. Quelli che se ne fregano del sistema e fanno il minimo indispensabile sono ancora quella maggioranza (storica) dei dipendenti per cui far carriera è una non-necessità.
Se i tuoi dipendenti si presentano al lavoro e fanno i compiti senza ambizioni, non stanno facendo Quiet Quitting, stanno lavorando. Alcuni resteranno più sensibili ai soldi, alla carriera, saranno portati – per convinzione o insicurezza o calcolo – a fare più dell’ordinaria amministrazione, ma se ti aspetti che lo facciano tutti, sei tu l’illuso, caro imprenditore.
E fin qui, cose vecchie. Ma l’anelito adesso è tutto nuovo. Fateci un mercato del lavoro sostenibile, per piacere! – chiedono. E’ il nuovo sindacato silenzioso, la longa manus del proletariato laborioso è stanca e s’è messa in tasca. Arrangiatevi, a noi dateci lavoretti minimi, basso impatto, bassa responsabilità e bassa retribuzione. La generazione Zeta vuole lavori senza stress, con cartellino da timbrare alle cinque spaccate del pomeriggio e volare altrove, a casa, a vivere.
Hanno bell’e capito che non esiste realizzazione, senso di riuscita, progetto, scala sociale. Esiste solo farmi i cazzi miei contro quelli del padrone. Hanno abbastanza ragione.
Trovatemi uno che non detesta il lavoro che fa. Almeno mezz’ora al giorno. Frequenza quotidiana rende odiabile chiunque e qualsiasi cosa, viene in odio pure un terrazzo vista mare e vuoi tornare a Milano.
Ma esisterà, alla fine? Un lavoro bello, pieno di sole, il lavoro che ti garba sempre? Quello che renderebbe lieve l’ambizione, e ti ci potresti pure spaccare la schiena. Dice la vulgata che è quello artistico. Vediamo questo lavoro artistico come funziona. La faccenda è more pescatorum, butti la lenza nell’oscura oscurità e tiri su un’idea, marìti bene le parole, suoni una canzone. Chiaramente non lo fai per te, non sei solo tu in questo lavoro. C’è un pubblico. A cui si farà una domanda precisa: vi piace? Non vi piace? Sono vivo? Sono morto? Stai sempre nel Colosseo. A misurare il lavoro in termini di “gradimento”. Tutto il giorno tutti i giorni sotto il “sì o no” degli sconosciuti. Come dire sotto i piedi. Sei il pozzo di petrolio di te stesso, ti devi trivellare. E ci vuole fortuna, mica basta l’impegno. Il pubblico cambia, sono mille piume al vento. Hai voglia a rincorrere. Senza contare che se ti va bene, è peggio ancora. Resti sotto il giogo del primo colpo andato a segno. La creazione è niente senza mantenimento. E’ una brutta bestia, il lavoro artistico, e te la metti in casa.
Diciamo però che esiste, il lavoro fatto apposta per noi. Lo si fa con calma, in pigiama, senza affanni e lupi cattivi. Un lavorino piccino senza agitarsi, senza risultati, magari due giorni in azienda ci vengo pure. Venerdì per favore libero.
Esiste! Li ho visti. Solo che c’è un problema. Il cedolino. Sono millecento euro al mese, li vuole, Fantozzi? Potrebbero perfino bastare, permetteteci di sperare. Andando a vivere a Luzzano (BN) basterebbero sicuro. Meglio sarebbe nascere sotto una costellazione precisa, quella dei proprietari di palazzi. L’esattore di pigione è il completamento perfetto del lavorino piccino picciò. Allora sì che ti godi la vita e sciali e non hai pensieri. Trovai una frase stupenda nell’Anche le formiche nel loro piccolo s’incazzano che diceva così: “I risparmi sono un’ottima cosa, specialmente se i tuoi genitori li hanno fatti per te”. Come mi faceva ridere al liceo.
Ma proseguiamo senza divagare. Eravamo ai millecento euro. Il Lavoratore Sostenibile è molto riposato e con un buon life-work balance e millecento euro però cominciano a fare schifo. Perché ora ha ventinove anni, non sarà più neanche generazione Zeta, sarà già un poco più boomer pure lui, ha visto il mondo e ha capito: gli garba la bella vita. Non tanta come i milionari, ma una ’nticchia sì. Senza fare gli asceti perbene, quelli che camperebbero con pane e olio, la vita la si vorrebbe proprio insostenibile: viaggi, ristoranti, casa in centro, casa al mare, Miami-Bahamas a Capodanno, sciare e una barca. Piccolina, bastano sei metri. Io voglio la pacchia, che me ne importa di essere balanced, mica la mia vita diventa felice e gasata perché in ufficio l’ambiente è gentile. Ma dove stanno gli ambienti gentili? Saranno quindici in tutto il mondo.
Allora si impone una scelta, pensa il Lavoratore Sostenibile. Farò il professionista! Partita Iva! Sopporterò la gavetta criminale in una delle big four! Dieci ore al giorno, con nervosismi eccellenti, scaricabarile criminali e stanchezza.
Tieni, sono diecimila euro. Ti piacciono? Sì. Li paghi anche di nervi? Eh.
Se non si può contare su nessun talento particolare per imporsi, o sui denari ereditati, c’è solo lavorare. Lavurà, lavurà, lavurà.
Mi sposto da questo bianco contro nero, o qualcuno mi darà della vecchia molto megera che non capisce i giovani. E’ vero – prendendo la questione dall’angolo non sarcastico – che è un’economia a favore di ricco. Milleduecento euro per spezzarti la schiena ai tavoli di un ristorante, stipendio altrettanto ridicolo per un ricercatore, e centomila euro a Chiara Ferragni per 15 secondi di “ehi guys un po’ d’attenzione, provate questo gelato all’amarena!”. Non è che sono le sproporzioni, il bersaglio sensato? Stanno diventando troppo libere le volpi nel libero mercato, sarà quello?
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