I DANNI DEL PORNO VIOLENTO

Dallo stupro di Palermo a Billie Eilish. L'autodifesa domestica contro l'impero hard non basta più

Marina Terragni

C’è chi si vuoterebbe le tasche per poter vedere il video della violenza di gruppo. Dobbiamo consapevolizzarci di come il cyberporn stia cannibalizzando e imponendo una sessualità fatta di dolore fisico, umiliazioni e sottomissione "consensuale"

"Credo che il porno sia una sciagura. Ne guardavo parecchio. Ho iniziato quando avevo qualcosa come undici anni. Credo che mi abbia distrutto il cervello, mi sentivo devastata. Le prime volte che ho fatto sesso non dicevo no a cose che non mi avrebbero fatto bene. Le facevo perché pensavo di doverne essere attratta". L’autocoscienza di Billie Eilish, ventunenne autrice di What was I made for per la colonna sonora di “Barbie”, popstar da 70 milioni di ascolti mensili su Spotify, spiega come con il nostro strumentario boomer – parole come “consenso”, “desiderio”, “piacere” – non arriveremo da nessuna parte. 

 
Storie come quelle di Palermo, ragazza trascinata come un agnello da sette coetanei fino allo stupro finale di gruppo rigorosamente filmato; ma anche gli abusi collettivi su due dodicenni il Capodanno scorso in una villa del Fiorentino, filmetto pure qui; o le violenze di un altro Capodanno in una villetta di Primavalle, il branco addosso a una sedicenne che finirà poi in un gorgo di depressione e autolesionismo. Ecco: di queste storie non capiremo niente se non diventeremo consapevoli di come il cyberporn stia cannibalizzando da troppo tempo il libero e gioioso immaginario perverso-polimorfo di bambine e bambini dai 10 anni in su per imporre una sessualità fatta di dolore fisico, umiliazioni e sottomissione “consensuale”. “Pensavo che se non ti piacevano le cose hardcore – strapparsi i capelli, sculacciare – era perché eri noiosa a letto. Allora ho fatto finta che mi piacessero”, ha raccontato una ragazza al Guardian. “Quando gli uomini sullo schermo fanno un sacco di cose violente alle donne con cui fanno sesso l’effetto è sempre lo stesso: le donne inarcano la schiena e gemono più forte. Il porno prende qualcosa che prima era considerato di nicchia e continua a mostrarlo e rimostrarlo in un contesto mainstream finché non viene normalizzato”. 

 

Non è una festa nemmeno per i giovani maschi, alle prese con immagini di punizioni, snuffing (soffocamento) e clip di morte (“trombata e uccisa”): più lontano possibile dall’amore. C’è gente che si vuoterebbe le tasche per poter dare un’occhiata al video di Palermo: solo se filmi allora è vero, la scena del sesso diventa un set, la carne è virtuale e ha bisogno di prove di realtà. Ma c’è anche gente che dopo la porno-scorpacciata del lockdown non ne è più uscita: dipendenza, consumo ossessivo-compulsivo, depressione, indifferenza alla banale tenerezza dei corpi reali, disfunzioni erettili. Se non posso squartarti o almeno provocarti una cianosi con un collare a strozzo non mi diverto. Alcuni studi evidenziano che il cervello dei porno-consumatori abituali ha un sistema di ricompensa più piccolo da cui consegue il bisogno di materiale sempre più estremo per eccitarsi. Sono addirittura nati software e app per autobloccare i siti porno, come Remojo del giovane imprenditore inglese Jack Jenkins, oltre a servizi di salute mentale dedicati. 

 

“Penso spesso che se ci fosse stato un filtro su internet quando avevo tredici anni ora sarei sposato con figli e non dovrei sostenere questa conversazione”, confessa un paziente alla psicoterapeuta inglese Paula Hall, specializzata in dipendenza da sesso e da pornografia. Anche per Jenkins, l’inventore di Remojo, “non possiamo dare ai bambini la responsabilità per avere interagito con questi contenuti. È vergognoso che accettiamo la situazione così com’è”. Hai voglia a proporre educazione affettiva e sessuale a scuola e a richiamare quei poveri disgraziati dei genitori alle loro responsabilità: il grooming della porno-industria è troppo pervasivo e potente, l’autodifesa domestica non basta

   

L’arma potrebbero essere le Age Verification Law, leggi che introducono l’obbligo di verifica dell’età per accedere ai siti porno. In Virginia l’accesso sarà consentito solo dopo aver esibito il proprio ID digitale, la responsabilità di applicare le nuove norme ricadrà sui siti. In segno di protesta Pornhub ha bloccato gli utenti dello stato e la Free Speech Coalition sta considerando un’azione legale. Sono state anche sollevate preoccupazioni per la privacy e la sicurezza. L’Arkansas ha seguito Utah e Mississippi nella limitazione l’uso dei social media da parte dei bambini e un’altra decina di stati, California compresa, sta discutendo normative per il controllo dell’età. 

 

Nel Regno Unito si potrebbe arrivare a una legge entro il 2024 con il favore, secondo un sondaggio di GB News, del 78 per cento dei britannici. La biometria – sia vocale sia facciale – potrebbe costituire uno dei dispositivi di controllo. Anche in Germania, Spagna, Belgio e Francia, dove un terzo dei minorenni a partire dai dieci-undici anni naviga sui siti hard almeno una volta al mese, sono allo studio normative del genere. Oltralpe, la nuova norma potrebbe entrare in vigore entro l’anno, nonostante il braccio di ferro con i giganti dell’hard. Ma, dicono i francesi, servirebbe un’azione europea coordinata. C’è altra strada? Al momento non si vede.

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