Estate con Ester
Dibattiamo su ogni cosa perché non c'è alternativa al tempo libero infinito
Siamo più fermi che mai, impegnati in una partecipazione che non esiste, non esiste neanche una sola possibilità che in tutto questo scrivere ci sia l’embrione del cambiamento
Bei tempi, bei tempi, bei tempi. Quando ad agosto era una cosa, una e scema, a occuparci quattro settimane. 2009, Clooney-Canalis, e ci bastava. Ora dobbiamo ingozzarci come le anatre, non si butta niente, grufoliamo dappertutto.
Prendete quest’ultimo mese affollatissimo. Come abbiamo investito il tempo, anche quando è solo ora di spegnere tutto e dormire? In partecipazione. E da dove viene tutta questa partecipazione? Perché il quisque un minimo scolarizzato (io, tutti) esige di saperne sull’abbattimento di un aereo e la probabile morte del mercenario ex amico di Putin? Perché passiamo mezz’ora a leggere e scrivere post sul generale autopubblicato che tra due settimane sarà inghiottito dal nulla da cui viene? Perché esiste gente occupata con Giulia De Lellis influencer in vacanza mentre il suo cagnolino è gravemente malato (e spira) in clinica? Perché un fatto di cronaca bruta – uno stupro disumano – innesca chilometri e chilometri di pensiero? Inni alla vendetta, chi invoca l’educazione sessuale, chi propone la riforma del porno. Ma perché, se lo sappiamo che è tutto inutile, inutile, inutile e il prossimo fatto orribile arriverà lo stesso? Non esiste neanche una sola possibilità che in tutto questo scrivere, attivarsi da seduti ci sia il raggio, l’embrione, il pulviscolo primordiale di un cambiamento. Niente. Tutto ridotto a un impasto senza frutto che ci occupa ore, tutti. E insisto sulla malafede collettiva: lo sappiamo. Nessuno si illude che quello che facciamo sui social – qualunque cosa sia – sia impegno civico in altre forme.
Ma allora, se lo sappiamo e non siamo tutti fessi, da dove ci viene?
Torniamo indietro. Non di tanto, facciamo 2005. Che non è un secolo, è l’altroieri. Parlo di me solo perché è più comodo, ma vale per qualsiasi mestiere. Al tempo ero una praticante avvocato addetta alle cose da praticante avvocato, primaditutto. Fotocopie, tantissime, pacchi di carte, centinaia, da scegliere, impilare, ordinare a mano e fascicolare. Spesso galoppino tra le varie cancellerie e archivi, dove la regola era: aspetti, bellina. Annoiata e in coda mandavo qualche sms alle amiche, ma a un certo punto ciao e ci vediamo sabato, perché intrattenersi scrivendo costava. I messaggi li pagavi. Non aravo certo i campi a braccia, facevamo tutti più o meno le stesse cose. Ci si spaccava discretamente la schiena, e ci lamentavamo pure noi. Se davvero esistesse il burnout a quest’ora dovrei essere morta.
Prendiamo proprio una delle mie giornate. Capitava a volte di dover andare da Benevento a Roma per iscrivere un tipo particolare di causa al ruolo. Voleva dire depositare in tribunale pallocchi di documenti per avviare un processo. Alcuni di quelli che erano affidati a me si chiamavano giudizi per equa riparazione (per durata eccessiva dei processi).
Alla ricezione atti, sportello unico cause di lavoro, Corte di Appello Roma, ci trovavo gente in fila già alle 7.30 di mattina. E dovevo mettermi in fila pure io. Per varie decine di metri. Potevano essere anche – scala di valore mattinata normale – quattro ore di coda. E poi prendevo la metro, il treno, tornavo in ufficio e il pomeriggio si tornava a lavorare, scrivere, studiare.
La stessa operazione adesso si farebbe online per ogni tribunale d’Italia. E tenetevi forte: dura al massimo quindici minuti. QUIN-DI-CI-MI-NU-TI.
E’ chiaro. Il tempo libero non è un poco in più, il doppio, o il triplo. E’ una quantità enorme rispetto al passato. Per questo imperversa il dibattito, ogni dibattito. Il criterio di scelta è “uno qualsiasi”. L’undicesimo comandamento: te ne dovrà fregare di tutto. Perché non c’è alternativa, perché non c’è niente da fare. Manco stiriamo più.
Ora tutto questo mai visto traffico di opinioni, dato per certo anzi certissimo che non ha effetto pratico, nessuno manco se paghi, sulle cose del mondo, sulle decisioni, che cosa sta per generare? A parte i profitti dei proprietari dei mezzi di diffusione? Forse la domanda epocale “Dove stiamo andando” ha la risposta. Non andiamo da nessuna parte, da nessuna parte. La sentite questa velocità percepita di tutto? Siamo più fermi che mai, siamo impegnati a perdere il troppo tempo che ci avanza, paludando in una partecipazione che non esiste.
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