l'editoriale dell'elefantino
L'ossessione igienista per le città ci farà brutti, sporchi e cattivi
Lo sporco ha il suo posto garantito, specie nella vita urbana. Si possono condividere i lamenti per il malfunzionamento dei servizi di igiene e pulizia, ma è insopportabile il punto di vista purista, fobico e moraleggiante che li ispira
I topi al Colosseo: e dove altro dovrebbero stare, poveretti? L’ossessione igienista per le città sta diventando grottesca. Bisogna rimuovere l’immondizia in eccesso, bisognerebbe produrne di meno, il comportamento civico elementare è da lodare specie da quando si è rarefatto, da quando è in via di estinzione per eccessi di totalitarismo ideologico, da quando si sacrifica al totem o al tabù della Differenziata analitica e specifica, metallo per metallo, plastica per plastica, carta oleosa per carta oleosa. Ma, come per altri aspetti della cattiva religiosità o superstizione contemporanea, il sesso o il clima, stiamo diventando il prodotto delle nostre fobie. A forza di igiene del mondo, stiamo diventando brutti, sporchi e cattivi. Le chiese di una volta erano un ricettacolo di miseria, santa miseria, dunque di sporcizia. Quelle oggi sconsacrate in nome del commercio delle loro mura e facciate, riempite di prodotti patinati di Gucci, sono orrende.
La fatta delle bestie era il corredo panoramico abituale delle grandi città dell’Ottocento, e nessuno pensava di doversene lamentare con toni tignosi e piccolo borghesi, infatti erano città operaie e molto borghesi, erano palcoscenici adatti al rifiuto, al ricambio in ogni sua forma, erano legittimamente sporche.
Lo sporco ha il suo posto garantito, specie nella vita urbana. Parigi è sporca, allegramente sporca nonostante il caniveau irrigato mattina e sera. I mercati all’aperto lasciano materiale che viene in parte ripulito dopo l’orario delle vendite, e spesso anche con efficienza, ma gli olezzi, le macchie oleose, i rimasugli di verdura non fanno paura a nessuno. New York è sporca, non solo per i cumuli di immondizia in bella vista molte ore al giorno, anche per certi androni infestati dai residui di auto, condizionatori, e altre produzioni umane generiche, e lo sporco vagante tinge palazzi sempre in ristrutturazione, produce gas e scarichi, scorre nei sottopassi di Central Park, risale i sagrati delle chiesuole protestanti e avventiste con le dormite ansiogene dei tanti, troppi senza casa. La Roma antica era sporca, sporchissima, polverosa, fangosa, disgustosa a tratti, secondo molte testimonianze. L’età di mezzo una cloaca a cielo aperto, l’impressione che Roma fece a Lutero in viaggio per il suo ordine agostiniano fu atroce. Singapore e Salisburgo, e forse anche Torino, chissà, sono meno sporche. Ma i topi trovano anche lì da mangiare, e non solo i veleni a loro destinati. Il corpo umano è passabilmente sporco, vive del ricambio a mezzo di sporco e batterio. Ma il corpo, l’anima e il mondo sono belli, vanno guardati senza igienismo, se non si voglia soccombere, intristirsi, deprimersi.
Non ce l’ho con chi si lamenta per il malfunzionamento dei servizi di igiene, profilassi e pulizia, che sono spesso carenti da lasciare di stucco, anzi condivido, ma non sopporto l’ossessività dei commenti, il punto di vista purista e fobico che li ispira, un certo oltranzismo Lindor che li connota, quel non so che di piccino, meschino, intransigente e moraleggiante che ci si vede. E’ un’altra versione del Nimby (Not in my backyard), si grida scandalo perché qualcosa di turpe avviene In my backyard. Weber avvertiva: chi vuole visioni del mondo vada al cinema. Bisogna duplicare l’avviso: chi vuole città integralmente pulite, decorose (un aggettivo che per le città belle è solo un decoroso insulto) vada a vivere in campagna o al mare, nella natura (che per sua fortuna e sopravvivenza è anch’essa una perenne produzione di scorie e sporcizia).
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