Audience difficile
Fenomenologia del Solito Stronzo che brama di diventare Venerato Maestro
Scrittori bullizzati dal pubblico, ora la brillante promessa è una rarissima rarità. Una volta si risolveva il problema con l’onestà intellettuale ma nell’èra dei like-progresso-in-carriera quanti si possono permettere il lusso di essere odiabili?
Per i soliti stronzi s’è fatta durissima. Il paradigma è noto. Dev’essere stato Alberto Arbasino, quel giocoliere insigne, a diffondere nei giornali e nei reportage il paradigma fondamentale che impronta e regola la società culturale, cinematografica, teatrale, filosofica e, insomma, generale e totale della nostra scena pubblica. In Italia c’è un momento stregato in cui si passa dalla categoria di “bella promessa” a quella di “solito stronzo”. Soltanto a pochi fortunati l’età concede poi di accedere alla dignità di “venerato maestro”.
Faccio veloce. Che succede a un certo punto? La brillante promessa è lì che disegna i suoi gingillini, i suoi cazzetti… Quand’ecco che comincia ad avvertire intorno a sé una strana freddezza, qualcosa che muta nel clima, gli astanti che lo guardano con occhi diversi. All’improvviso, crac, arriva un fenomeno imprevedibile, una catastrofe, la rottura del pack, il ghiaccio che comincia a fendersi tutt’intorno a raggiera, e la giovane promessa si sente mancare, avverte qualcosa nelle ossa, un brivido: un languore e un dolore, tutti i sintomi del passaggio da dottor Jekyll a mister Hyde. Con orrore si guarda allora allo specchio, e vede il miracolo a rovescio, il prodigio nefasto del ritratto di Dorian Gray che vira verso una orrenda quanto banale vecchiezza, e una insopportabile quanto prevedibilissima stronzaggine. Anche se la metamorfosi sembra inavvertita, se in apparenza niente è cambiato nelle sue fattezze, anche se le sue forme risultano praticamente intatte, la bella promessa in quell’istante dannato ha già capito: si è trasformata nel solito stronzo. (E. Berselli, “Venerati Maestri”). Così accadeva fino a pochissimo tempo fa, prima del cortocircuito. Ora la brillante promessa è una rarissima rarità: in troppi hanno promesso e brillato in passato, si sono chiusi i rubinetti delle croci. La banca dell’accoglienza culturale non fa più credito a nessuno. Si comincia dal secondo livello: soliti stronzi. Col rischio concreto di restare Solito Stronzo a vita. Il pubblico s’è fatto aggressivo, suscettibile, pronto a tirare sberle. Arriva già nervoso da casa.
Si dice da anni che la critica ormai non esiste più, una fotocopiatrice benevola di bravo! per tutti, non si vedono i bei calci negli stinchi di una volta. Ma la faccenda non è tanto da conventicola quanto sindacale. Rectius: è la mensa dei poveri. La verità è che nessuno si piglia la briga di insultare nessuno intanto perché sarebbe una crudeltà inefficace. Ci pensa il pubblico. Un pubblico mai stato così esigente, così severo, così in cerca di pidocchi. Avrete notato che non c’è più nessun esordiente carino che vien preso a pacche sulla spalla, una faccia da secchione a cui dare fiducia, un ragazzotto introverso vestito male da lisciare, illudere, perdonare. Una brillante promessa. Il malcapitato esordisce in campionato con la penalità, meno dieci punti, il saluto del pubblico in curva è al grido di: e mo che vuole questo? Chi è?
Così pensate a questo povero cristo, il Solito Stronzo, che si sveglia ogni mattina e pensa a come fare il suo dovere nell’industria culturale, provare a essere originale, a copiare con grazia, a non infastidire nessuno, garbare un minimo, fare cosa gradita al pubblico. Quel mostro di pubblico. Una volta si risolveva il problema di farsi amare con l’onestà intellettuale: cerco di non piegarmi sotto il peso delle pressioni e delle reclame, e mi vorranno bene. Ma ora come si fa? Nell’èra dei like-progresso-in-carriera quanti si possono permettere il lusso di essere odiabili? C’è stata una regressione, una diminuzione di forze, non ci sono più nemmeno le energie per dire la verità gentilmente su questi tempi moderni.
Questo non lo devi più scrivere, questo è meglio evitare, quell’altro ti farà passare per insensibile reazionario o vecchio che non capisce. Il nostro ha imparato la lezione: che il pubblico legge col bastone in mano. E tu Solito Stronzo vuoi continuare a vivere, giusto? Come pensi di arrivarci a venerato maestro? Si interroga molto, il Solito Stronzo. Sarà una questione di genere, che sbaglia? Indaga sui temi caldi che piacciono alla platea: la psiche delicata, la solidarietà, l’intersezione culturale, la fluidità di genere. Una parola buona per tutti. No sfottò. Pigliarsi e pigliare sul serio pure il passero che fa le uova nella cassetta della posta. Solo che il Solito Stronzo barra tutte le caselle, ci prova, rilegge la sua produzione culturale benintenzionata e gli pare lo sciroppo per la tosse, melassa artificiale, una porcheria infinita.
Insegnare catechismo ha mai fatto grande qualcuno? – si chiede. Il Solito Stronzo osserva il mercato per capire cosa fa flop. Sii distopico, gli suggeriscono.
Che parola disastrosa, uno schiaffo sulle orecchie, mi rifiuto, risponde. Alternative? Il pubblico sta diventando molto appassionato di racconti di dissociati con le moraline sottostanti. Avere quarant’anni e contrabbandarsi con le fragilità del liceo, hai presente? Ce la fai? Oltre a essere perfidi, sono parecchio tristi, questi del pubblico. E allora il Solito Stonzo decide di darsi per vinto, prende una pausa, s’eclissa e non produce più, studia, chiede asilo alle pagine dei luminari. Apre un libro di Calvino cercando consolazione, lumi, la seconda stella a destra che indichi il cammino. Apre una pagina e legge:
Diciamo subito che un mutamento di questo genere non entrava nei nostri piani, nelle nostre profezie, nelle nostre aspirazioni; ma ormai non si tratta più di accettarlo o di rifiutarlo; già ci siamo dentro. Così arriviamo agli anni Settanta. All’assuefazione al peggio della società, una risposta della letteratura che non sia mimetica, a rimorchio dell’esistere, ancora non si vede. Sapessi ora, Italo, sapessi ora che guai sta passando il convento.