oltre la pesca
Il caso del libro di Melissa Kearney, quasi una glossa allo spot dell'Esselunga
“La fine della famiglia? Un disastro per la società e l’economia”, scrive la studiosa americana nel suo nuovo saggio. Una specie di assist alla pubblicità della catena di supermercati, che tanto sta facendo discutere in questi giorni
A metà degli anni Sessanta, il celebre psichiatra scozzese R. D. Laing, autore di quell’“Io diviso” che ha animato il Sessantotto e oltre, paragonò la famiglia a una “camera a gas”. Un po’ esagerato, ma di queste esagerazioni la cultura occidentale si sarebbe imbevuta a lungo. Negli stessi anni di Laing, un sociologo eretico come Christopher Lasch scrisse un altro libro di segno diverso, “Rifugio in un mondo senza cuore” (Neri Pozza), in cui accusava che la famiglia era l’ultima grande istituzione da espugnare. Uno dei capitoli del libro di Lasch si intitola “al capezzale di una società malata”. Quella che il celebre studioso mise sotto accusa per spiegare la fine della famiglia, col suo “nuovo vangelo fatto di relativismo, tolleranza, sviluppo personale e maturità psichica”.
Ora il libro di economia più atteso dell’anno sostiene che avere genitori sposati fa bene ai figli. Banalità? “Per anni, gli accademici che studiano la povertà, la mobilità e le strutture familiari hanno evitato questa verità evidente”, scrive l’economista Melissa Kearney in “The Two-Parent Privilege”, pubblicato questa settimana e recensito da tutti i grandi quotidiani che contano. Un tentativo di spiegare l’importanza del matrimonio ai colleghi intellettuali. Purtroppo, Kearney ha il suo bel da fare. L’autrice è un’economista formatasi al Mit e scrive: “L’assenza di un padre dalla casa di un bambino sembra avere effetti diretti sui risultati dei figli – e non solo a causa della perdita del reddito genitoriale”. Per questo dobbiamo “ripristinare e promuovere la norma di una casa con due genitori per i bambini”. Daniel Patrick Moynihan lo disse nel suo rapporto del 1965 sulla famiglia. George Gilder ci ha scritto “Sexual Suicide” (1973) e “Men and Marriage” (1986). E Charles Murray, che ne aveva parlato nel suo studio fondamentale, “Losing Ground” (1984), ha avanzato argomentazioni simili in “Coming Apart” (2012).
“Le prove sono schiaccianti: i bambini provenienti da famiglie monoparentali hanno più problemi comportamentali, hanno maggiori probabilità di finire nei guai a scuola o con la legge, raggiungono livelli di istruzione più bassi e tendono a guadagnare redditi più bassi in età adulta” scrive ancora Kearney. “I ragazzi che vivono in famiglie senza papà sono particolarmente inclini a finire nei guai a scuola o con la legge”. In una intervista-podcast con il collega economista Stephen Dubner, Kearney dice anche che scrivere il libro è stato correre “un grosso rischio” a livello professionale, perché i suoi colleghi tendono a evitare di affrontare il ruolo della struttura familiare nelle discussioni sulla disuguaglianza sociale e a guardarli dall’alto in basso. Sfida “le conversazioni progressiste sul benessere dei bambini”. Nel 1960 solo il cinque per cento dei bambini nasceva da madri non sposate negli Stati Uniti. Nel 2019 era quasi il 50 per cento. Abbiamo fatto il vuoto e lo abbiamo chiamato progresso.