In Liguria
Com'è triste Portofino
Yacht cafoni, turisti ciabattanti e grandi marche che nessuno può permettersi stravolgono la faccia della “piazzetta”
All’inizio di settembre, una di quelle belle burrasche che nel Golfo del Tigullio durano almeno tre giorni, di cui due di acqua veramente sporca, hanno impedito a due navi da crociera di far sbarcare i soliti settemila turisti quotidiani sul molo di santa Margherita e da lì di traghettarli con le navette fino a Portofino per il giro in piazzetta acquistato sul dépliant e comprensivo di selfie scattato davanti alla boutique di Loro Piana con il suo berceau di verzura perché la salita fino al Castello Brown è ripida e di caffè bevuto dal cestino-pranzo, gentilmente offerto dalla compagnia per risparmiare la spesa accessoria che, come dimostrano i molti scontrini vanagloriosi postati sui social (è un gioco sottile: denunciando il presunto abuso, dimostro ai follower che posso permettermi di scialare), possono toccare anche i dodici euro. Lungi dal lamentarsi, i ristoratori di piazza Martiri dell’Olivetta, questo il nome corretto dato in memoria di un eccidio nazista del 1944, hanno tirato un sospiro di sollievo: l’assalto quotidiano a quell’elegante tappeto di ciottoli e lastroni di pietra che può accogliere al massimo mille persone, sta raggiungendo infatti per numero quello dei disperati che attraccano ogni giorno a Lampedusa, con la differenza che qui siamo in pieno open to meraviglia e non solo perché il suo autore ha casa sul monte, da dove peraltro si guarda bene dallo scendere fino a fine stagione e che, anzi, tende a frequentare solo fuori stagione proprio per evitare la massa ciabattona che ha invitato indirettamente ad affollare caruggi e calate e a riempirne i cassonetti di spazzatura eterologa.
A Portofino, la massa può transitare o, per usare un verbo al momento molto dibattuto ma adeguato a definire la situazione, “transumare”: per speciale disposizione in vigore dallo scorso weekend di Pasqua fino al prossimo 15 ottobre, il turista non può infatti “sostare” se non seduto al bar, dove appunto non vuole andare per non spendere e perché comunque non troverebbe posto: può solo “passeggiare”. Vietato “lo stazionamento di persone in punti di aggregazione e ritrovo di gruppi e croceristi in attesa di imbarco su battelli o altro”, per evitare “gravi intralci o potenziale pericolo derivanti dall’eccessiva densità di persone in rapporto alla superficie disponibile”. Il Comune potrebbe istituire il numero chiuso come si sta pensando di fare a Venezia e come sarebbe auspicabile, invece no: open to meraviglia, ma con disposizioni da stato di polizia. La lenta trasformazione di Portofino in uno showroom di nautica da diporto, B&B di lusso presunto e di marchi della moda senza soluzione di continuità e ad esclusione di un unico panificio al quale è stato sostanzialmente ingiunto di tenere aperto in inverno perché i pochi residenti rischiavano di dover fare due chilometri al giorno per una striscia di focaccia, è iniziata infatti ben prima che il suo sindaco Matteo Viacava, è cronaca di queste settimane, ne diventasse testimonial indiretto per via di certe borsette griffate vendute nella sua tabaccheria che risulterebbero false, così come altri novanta articoli trovati nel magazzino di cui è rappresentante legale e per i quali risulta indagato dalla Procura di Genova. I vigili urbani, che hanno il comando proprio accanto al suo negozio di “bibite, souvenir, artigianato”, aperto da molti anni dalle parti del parcheggio sempre “completo”, pare non se ne fossero mai accorti.
Secondo la formula consolidata, il sindaco ha gridato al complotto anzi al sabotaggio, sostenendo che si tratti di un attacco politico per via dei suoi successi nella toponomastica: primo comune in Italia, Portofino anzi lo stesso Viacava, che possiede sì la tabaccheria ma è soprattutto imprenditore immobiliare ed edile di successo, aveva infatti ottenuto da poco la deroga per intitolare una via a Silvio Berlusconi, storico frequentatore della piazzetta e, negli anni d’oro, del Carillon di Paraggi. Certamente contava di farne doveroso omaggio al figlio Pier Silvio che, dopo lunga residenza al castello di Paraggi, meglio nota come “villa Bonomi Bolchini, quelli del Postalmarket”, un torrione quadrato secentesco austero e bianchissimo che “fa” molto Repubblica di Genova e che domina i bagni Fiore riallestiti da Dior, ha comprato infatti l’elegante villa di Luca Bassani della BTicino, una delle poche provvista di elisuperficie su quel monte protetto dal FAI, dalla Regione e da mille altri divieti pare in aumento. Da tempo va riammodernandola a suo gusto, in attesa di trasferirvisi con tutta la famiglia. Adesso che l’opposizione chiede le dimissioni di Viacava, questi festosi programmi potrebbero complicarsi, ma per certi versi c’è da capirlo, il sindaco di quel villaggio da cartolina di cui tutti vorrebbero possedere un pezzetto ma che a tutti si nega.
Facendo un calcolo spannometrico, il novantasei per cento di chi approda a Portofino con le crociere o con un erede di quei traghettoni che nella nostra infanzia rispondevano al nome collettivo di “Primero” grazie al primo della loro specie, varato ancora negli Anni Quaranta, non può infatti permettersi nessuna delle griffe esposte, mentre un altro due per cento ne è il legale proprietario, dai Loro Piana che oggi hanno deciso di lasciare casa fino a Bernard Arnault che a Portofino non riesce ad attraccare per via della stazza del suo Symphony. Il due per cento restante, cioè quello che sulla carta potrebbe comprare, fino all’anno scorso era composto in gran parte da magnati russi, oggi ovviamente spariti anche se l’altra sera ci è sembrato di sentire distintamente due delle tre parole che conosciamo dell’idioma di Putin proferite dal ponte illuminato a giorno di uno degli yacht che riescono a superare le secche e la stretta imboccatura del porto e, va da sé, a pagarne l’ormeggio del quale, come per i gioielli, se chiedi il costo significa che non puoi permettertelo. Per la cronaca, sono comunque circa quattromila euro al giorno, cosa che fa dei circa quindici posti barca disponibili un oggetto dei desideri superiore perfino a quello di una borsetta o di una notte allo Splendido, oggi hotel della catena Belmond, dove un tempo ci si fidanzava in terrazza in allegria e poteva capitare che Richard Burton si avvicinasse per fare gli auguri agitando il tumbler raso di whisky mentre adesso si scattano foto a raffica le influencer coll’assistente isterico, il vestito in prestito, la cena pagata e i tacchi alti (la scarpa, in piazzetta, è una discriminante mica da ridere non solo per via dell’acciottolato che rende precaria l’andatura, ma anche dei molti milanesi che la frequentano e che, come si sa, sono ostili per natura ai centimetri posticci e sanno snidare gli intrusi con uno sguardo).
Sulla gestione del Belmond Portofino e in genere dell’hotellerie del gruppo Lvmh si dice siano nate le incomprensioni fra Arnault e Andrea Guerra, oggi ai vertici del gruppo Prada con il compito di traghettarne le fortune nella mani di Lorenzo Bertelli, molto abile e capace ancorché davvero giovane, ma anche in questo caso c’è da capirlo. Portofino è un oggetto del desiderio sì, ma limitatissimo anche morfologicamente, e poi tutelatissimo, curatissimo, difficilissimo da percorrere e per tuffarsi, a meno di possedere una barca cioè un gozzo (la soluzione elegante contro lo yacht cafone) o una delle pochissime discese a mare, fra le quali l’Olivetta, dove si affaccia la torre dei Dolce&Gabbana, raggiungibile solo a piedi o con l’Apecar, oppure posizioni fantastiche per salire al monte o percorrere il sentiero fino a Punta Chiappa come quella offerta dalla meravigliosa villa san Giorgio, per tutti “il castello”, con discesa a mare purtroppo molto erosa causa cambiamenti climatici ma sempre bellissima, acquistata da poco dalla catena Four Seasons che ha invitato i fortunati affittuari , fra i quali Rosanna Armani, sorella minore di Giorgio Armani, lasciare gli appartamenti in vista della ristrutturazione e dunque dell’assestamento di un’altra picconata alla distruzione della magia sulla quale hanno investito. Ristrutturazione che non sarà comunque semplice perché, a dispetto degli obiettivi di Bill Gates che del Four Season è socio di maggioranza, la destinazione d’uso del “castello” al momento è ancora residenziale e Viacava non sembra intenzionato a cambiarla.
Se la posizione geografica protetta, e soprattutto le molte tutele ambientali e paesaggistiche, hanno evitato a Portofino il processo di rapallizzazione occorso a Capri e soprattutto a Positano, deturpata da una cementificazione selvaggia come quella che negli Anni Sessanta trasformò la bellissima cittadina ligure dove ai primi del Novecento si riunivano le potenze europee in una distesa di case del geometra e suggerendo a Indro Montanelli il neologismo poi codificato anche dalla Treccani (“rapallizzazione”, sostantivo femminile: stravolgimento edilizio a fini speculativi dell’assetto urbanistico dei piccoli centri urbani, in spregio a ogni criterio di pianificazione e alla tutela dei valori paesaggistici”), la strategia di marketing e comunicazione delle grandi griffe ne ha non di meno stravolto l’aspetto quotidiano, azzerandone la “tipicità” che perseguivano. La Portofino della nostra infanzia era un posto dove si arrivava appunto in gozzo per un bagno oltre la punta, paradiso dei sub, o a piedi, con una passeggiata sostenuta da Santa, a trovare gli amici che avevano casa sul monte, oppure per gustare il paciugo, un micidiale e sontuosissimo accrocchio di sapori gelati, e fare due chiacchiere con le signore già anzianissime, sedute sulla soglia di casa col tombolo, nella speranza di farsi vendere una tovaglia a buon prezzo. Nessuno pretende di ritrovare le ricamatrici in grembiule e pantofole nel 2023, peraltro anche Chiara Squarcina che governa il Muve di Venezia tutela il gruppetto delle artigiane di Burano che bazzicano il Museo del Merletto come una specie in via di estinzione e se mai doveste vedere un documentario su quest’arte vedrete sempre e solo loro, altre non ce ne sono. Negli anni il cosiddetto “take over del lusso” è stato però così importante e definitivo che, arrivando oggi in piazzetta, si ha l’impressione di trovarsi in uno degli anfiteatri costruiti ex novo dagli outlet per assomigliare a un villaggio di pescatori originale. Il vero che assomiglia al falso che vende il vero delle collezioni passate a prezzi ribassati: uno scontro di semantica da capogiro nel quale, oggettivamente, possono stare anche le borsette false che i visitatori occasionali comprano dopo aver ammirato impotenti quelle vere.
A gennaio, seguendo i flussi del turismo aperto alla meraviglia, lo showroom-Portofino chiude, i B&B si svuotano, i proprietari di case svernano a Sankt Moritz, e a febbraio potreste trovarvi a dover mendicare un caffè al baracchino costruito da un cantiere edile impegnato in una nuova costruzione, visto che anche i bar della Calata Marconi chiudono per ferie in genere fino a Pasqua. Che la municipalità abbia imposto l’attività continuata almeno a uno spaccio di alimentari era insomma non solo un atto dovuto, ma anche l’unica soluzione per evitare ai pochi residenti la carestia e l’effetto di straniamento angosciato che coglie chi ascolti il suono dei propri passi in una città fantasma. Da pochi mesi, chi vive sul monte, area appunto protetta e dove in estate la vita si svolge in genere in modo ben diverso rispetto al fitto brulicare pop della piazzetta, talvolta visibile anche dalla terrazza di casa e oggetto di molte ironie, si è trovato anche a dover comunicare alla polizia municipale, con il dovuto anticipo, la targa, e dunque per diretta conseguenza le generalità dei propri ospiti. Il Parco Naturale Regionale del Monte di Portofino è tale dal 1935, fino a pochi anni fa l’accesso all’area era segnalato da una semplice sbarra, i mountain biker sapevano e rispettavano i sentieri percorribili su due ruote o a piedi che sono comunque pari a ottanta chilometri, insomma c’è spazio e non è mai successo niente. Attorno alla nuova regolamentazione, che di fatto impedisce di invitare un amico a casa all’ultimo minuto, la scorsa estate sono invece accaduti non pochi qui pro quo e sono fioccate decine di multe. Abbiamo provato a telefonare alla polizia municipale per avere delucidazioni (c’è anche un numero di cellulare), ma nessuno ha risposto. Anche di fronte a questa palese ingerenza nella vita privata di tutti, e per tutti intendiamo anche Natalia Grosvenor, duchessa di Westminster, che finora non ha mai richiesto trattamenti speciali nonostante sia la più ricca proprietaria terriera del Regno Unito dai tempi di Giorgio I Hannover, ma anzi ha iniziato a produrre localmente un vino molto apprezzato, il Vermentino della Cappelletta, i possidenti delle ville e dei giardini tacciono e, all’occorrenza, pagano le multe. Incredibilmente, considerano anche questo un privilegio.
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