Anche oggi sputerò su Hegel
Cinquant'anni dopo Carla Lonzi possiamo non sentirci più oppresse
La figlia che detesta la Storia dei maschi, e gli uomini che dicono “ma io che c’entro” (vi meritate di lavare i piatti)
La figlia che detesta la Storia dei maschi, e gli uomini che dicono “ma io che c’entro” (vi meritate di lavare i piatti). “Non esiste la meta, esiste il presente. Noi siamo il passato oscuro del mondo, noi realizziamo il presente” (Carla Lonzi, estate 1970)
Poche sere fa, per la prima volta, mia figlia ha cominciato a parlare di università e di speranze. Poiché non era mai successo, e anzi a ogni mia goffa domanda sulle idee per il futuro lei rispondeva sempre tirandosi il cappuccio della giacca sulla fronte e scappando in un’altra stanza, sono rimasta in silenzio: ascoltavo e basta. Per non innervosirla, per non rovinare tutto, ma anche perché stava arrivandomi addosso l’evidenza: maggiorenne, partire o restare, partire partire, valigia che si rompe, aereo, Amsterdam forse, vivere da sola, copriti che fa freddo, morire di fame, lavorare, barista, babysitter, troppo vino, strade buie la sera tornando nella stanza in affitto, mai un messaggio a tua madre. Tra pochi mesi cambia tutto, quindi, è così che succede. E poi sapevo già che non avrebbe detto: meccanica razionale. Sapevo già che non avrebbe detto: economia aziendale. Infatti ha detto: a me piace capire quello che fanno le persone e perché, voglio studiare le storie delle persone. Mio marito non ha nascosto la sua felicità e le ha detto: certo, filosofia, devi studiare filosofia, lì dentro c’è tutto. Io muta, perché almeno questo l’ho imparato con i figli adolescenti: non fare altri danni, prendi tempo, no spontaneismi, intervieni solo alla fine e non dare idee che potrebbero essere usate contro di te.
Benedetta aveva in mano un bicchiere pieno di Coca Cola, l’ha appoggiato sul tavolo. Sembrava improvvisamente una donna. Vado a memoria adesso, dovete fidarvi di me: “No, non voglio studiare il pensiero di tutti quei maschi che hanno escluso le donne dalla storia e dalla vita. Non mi va e mi rende infelice, mi dispiace proprio per loro e per me: a scuola studio quello che dicono questi uomini e le donne non ci sono mai. Al massimo muoiono, oppure sono l’amante di qualcuno, o partoriscono. Come in Storia: quanto devo aspettare per trovare le donne? Dico a parte Saffo e Giovanna d’Arco se fai il classico. È troppo ingiusto. Studio e mi sento esclusa, ti sembra bello?”. Ha aggiunto poi: greve. Greve non significa solo greve, significa molte cose, non necessariamente negative. Fa parte del nuovo dizionario in movimento della lingua italiana. Non voglio dire qui l’orgoglio che ho provato. Lì ho detto soltanto, battendo una mano sul tavolo: sputiamo su Hegel. Lei mi ha guardato senza capire e ha detto: massì, pure su Hegel anche se l’ho appena iniziato nel programma, ma mi sta antipatico. Mio marito si è acceso un’altra sigaretta, la ventunesima della giornata.
Lei ha diciassette anni e non conosce Carla Lonzi. Io ne ho molti di meno e certo che la conosco: i suoi libri con la copertina verde sono in fila su uno scaffale basso, sono gli Scritti di rivolta femminile (La donna clitoridea e la donna vaginale ha scioccato mio figlio quando aveva appena imparato a leggere e sillabava tutti i titoli dei libri con il dito sotto le parole) e adesso, proprio adesso, La Tartaruga ha ripubblicato, con copertina rosa, Sputiamo su Hegel e altri scritti (a cura di Annarosa Buttarelli). Rileggerlo è uno choc, rileggerlo è davvero greve, non saprei come altro dirlo. “Le donne stesse accettano di considerarsi ‘seconde’ se chi le convince sembra loro meritare la stima del genere umano: Marx, Lenin, Freud e tutti gli altri.
Sputiamo su Hegel l’ho scritto perché ero rimasta molto turbata constatando che quasi la totalità delle femministe italiane dava più credito alla lotta di classe che alla loro stessa oppressione”, scrive nel novembre 1973. Cinquant’anni fa Carla Lonzi denunciava il patriarcato di Marx, Lenin, Freud e tutti gli altri. Denunciava il tradimento della rivoluzione e della psicoanalisi: tutte le cose importanti, tutti i cambiamenti importanti avevano considerato le donne poco importanti, residuali, spesso colpevoli. Ora, se non vi siete mai sentite oppresse tanto meglio, neanche mia figlia si sente oppressa grazie a Carla Lonzi che nemmeno conosce e grazie a tutte le altre. Ma si rende conto, cinquant’anni dopo, che quella strada non è finita nel 1973, e che tutto quello che è successo prima arriva dritto nelle nostre vite di oggi sotto forma di abitudine di pensiero, sotto forma di scocciatura perfino, sotto forma di lontani ricordi e, per molte, sotto forma di qualcosa che è già stato fatto, già lottato, e che quindi non richiede più attenzione. Adesso basta, dicono molte signore di allora e perfino ragazze di oggi, adesso non esageriamo, abbiamo già fatto tanto. E bisognerà pur rassicurarli questi uomini, dai, sennò scappano. Vorrei comunque dire che no, non scappano. Non scappano mai.
E quindi anche oggi sputiamo su Hegel e sulla sua fenomenologia dello spirito fatta tutta di maschi che considerano la donna un’immagine, un principio divino femminile. E che si sarebbero ammazzati se questo principio divino fosse toccato a loro. Mia figlia adesso mi interroga: perché Emily Dickinson, la poeta più famosa del mondo, più importante del mondo, scriveva: io sono nessuno? Perché non le permettevano di essere qualcuno? Io le rispondo imbarazzata che lei parlava direttamente con l’assoluto e con la natura, non aveva tempo per le quisquilie della fama e del riconoscimento, però non lo so più se è vero. Era lei che rifiutava il mondo o era il mondo che la rifiutava fino a farla impazzire, travestito da reverendi arcigni che le scrivevano lettere mai all’altezza?
Gli uomini hanno sempre parlato a nome del genere umano, a nome anche nostro, ma hanno cancellato le tracce delle donne, e fino ai romanzi di Jane Austen le donne non avevano il diritto di parola e di conversazione. Con Jane Austen iniziano a negoziare il proprio destino, ma sempre dentro il matrimonio e sempre entro i trent’anni. Insomma, io sinceramente non credo che gli uomini possano permettersi di dire adesso: che noia. Proprio no. Ci siamo sorbite tutte quelle guerre, quelle gesta, a scuola tutte quelle date di battaglie. Ancora oggi le date mi tormentano, a partire dalla battaglia di Salamina, che mi ricordo solo perché la salamina (da sugo col purè) è il mio piatto preferito. Ma come potrei mai dare torto a mia figlia che non si appassiona e si dispiace a studiare una storia fatta solo di maschi? “Noi non siamo nella storia perché ci è stato impedito di esserlo, non perché abbiamo detto: grazie raga, ma noi vogliamo andare a casa a lavare i piatti e preferiamo l’invisibilità”, dice la diciassettenne che non lava i piatti se prima non li ha lavati suo fratello, ma in effetti non li lava neanche dopo. Dice che ha un credito verso la storia, ma ce l’ho anche io, allora sai che c’è: i piatti lavateli voi per i prossimi duemila anni. Hanno detto: va bene, tanto c’è la lavastoviglie.
“Leggiamo nell’epistolario di Freud alla fidanzata: Caro tesoro, mentre tu gioisci per le cure domestiche, io sono attratto dal piacere di risolvere l’enigma della struttura del cervello”, scrive Carla Lonzi in Sputiamo su Hegel. E insomma, caro Freud, tu il mio cervello non lo devi neanche guardare da un chilometro di distanza. E neanche quello di mia figlia, e delle figlie dei miei figli. Perché di questo si tratta: andare avanti, dopo aver sputato su Hegel. Non importa se dite: che noia. Non è per farvi divertire. Però quando dite: “Ma io che c’entro”, vi meritate di lavare i piatti per i prossimi tremila anni.
“La donna così com’è è un individuo completo: la trasformazione non deve avvenire su di lei, ma su come lei si vede dentro l’universo e su come la vedono gli altri”.
Ecco, adesso il punto è come si vede lei dentro l’universo, quindi anche come la vedono le altre donne. Le altre donne stanno pensando alle donne che arrivano dopo? O sono stanche, sono convinte che possiamo accontentarci? Si accontentano i pesci rossi, non gli esseri umani. Ci sono ancora le figlie, e poi le figlie delle figlie, c’è tutta quella storia stracciata da recuperare e c’è il presente che è eccezionale. Come in quella bellissima canzone nel film di Mary Poppins (1964, super femminista), Sister Suffragette, cantata dalla signora Banks, splendida suffragetta. Lei è allegra e convinta e canta davanti alle signore perplesse: “Le figlie delle nostre figlie ci adoreranno e canteranno: ben fatto, sorelle suffragette”.
E’ andata così? Non sempre così, e a leggere Carla Lonzi oggi, dopo cinquant’anni, è molto evidente. Molte pensano che stiamo parlando di emancipazione, ma non è vero: non mi devo emancipare da nessuno, grazie a Carla Lonzi e alle altre, grazie alle suffragette di Mary Poppins, ma non posso tollerare di essere trattata con sospetto e condiscendenza, così come mia figlia impazzisce quando un uomo non le rivolge la parola perché è una ragazza, e parla solo con suo cugino che ha la sua età, e non la guarda neanche in faccia e non chiede la sua opinione. Io mi rendo conto, adesso che me lo dice lei, che queste cose sono successe anche a me, e che forse da qualche parte le ho considerate normali. Adesso no, adesso noto tutto e sono pronta a tutto (voi lo sapete chi siete, grandissimi maleducati, e io non mi dimentico niente). “Il femminismo è la scoperta e l’attuazione della nascita a soggetto delle singole componenti di una specie soggiogata dal mito della realizzazione di sé nell’unione amorosa con la specie al potere”. Persino di Marie Curie sono riusciti (e anche riuscite) a dire che però era la moglie di Pierre, anche dopo che Pierre era morto. E allora hanno montato uno scandalo su un altro uomo e su altri drammi. Non basta sputare su Hegel: ci vuole un po’ di vera gratitudine verso le donne che hanno fatto tutta la fatica, che giorno dopo giorno hanno cambiato le cose e che non hanno nemmeno un nome, un ritratto, una lapide, perché non hanno avuto la parola. E ci vuole anche gratitudine verso le nostre figlie, che ci insegnano la libertà.