Nuovi trend
Il nostro gesto ipermoderno è chiudere lo smartphone in una gabbia
L’èra della distrazione poterà al declino della civiltà? Mentre l'overload informativo esaspera la competizione per guadagnarsi quote di attenzione, i consumatori diventano sempre più distratti
Ogni tanto esce un libro, un disco, un docufilm, una copertina di giornale che, con un titolo secco e definitivo, ci consegna il nome della nostra epoca. E così, solo negli ultimi trent’anni, siamo stati i protagonisti o le vittime innocenti della: Age of Rage, Age of Dissident – seguita dalla più ottimistica Age of Consent –, Age of Globalization, Age of Migration, Age of Social Media, per poi approdare alla più ampia Age of Information, seguita presto dalla sua deriva bulimica, l’Age of Over-Information. Oggi siamo nel sequel disastroso dell’Over-Information, l’Age of Distraction, o Age of Interruption, che predomina tra trend clinici e opportunità di nuovi mercati.
D’altronde non è di primo pelo, era il 2006 quando Thomas Friedman, in un articolo sul New York Times, sancì che The Age of Interruption era il nome (e la malattia) dei nostri tempi: “Tutto quello che facciamo ora è interrompere noi stessi o gli altri con messaggi istantanei, email, spam o squilli di cellulare. Chi può pensare, scrivere o innovare in tali condizioni? Ci si chiede se l’èra dell’interruzione porterà a un declino della civiltà, poiché (…) a tutti viene diagnosticata una qualche versione del disturbo da deficit di attenzione”. Per fotografare a che punto siamo oggi, diciassette anni dopo quell’articolo, basta raccontare che quando entriamo in una call su Zoom capita di vedere alcuni partecipanti intenti a sistemare una gabbietta bianca, quadrata, laccata, un po’ distante dal loro pc. È per il gatto? Troppo piccola. Per il canarino? Crudele. È invece una gabbia dove vengono rinchiusi i cellulari, con lucchetto e timer. Si può comprare su Amazon, che nella descrizione del prodotto usa i seguenti tag: “Scatola Blocco Telefono Con Timer, Prigione Telefono, Scatola Chiusura A Chiave Per Prevenire e Controllare Dipendenza Telefono Cellulare”. Ce ne sono di diverse misure, da usare anche “quando l’intera famiglia ha bisogno di attrezzature per la disintossicazione”.
Insomma, questo è il nostro gesto iper moderno: prendiamo il nostro smartphone e lo rinchiudiamo in una prigione, con lucchetto e timer, per impedirci di aprirlo. Siamo divertenti, o siamo disperati? Woody Allen sa essere tutte e due le cose insieme in modo brillante. E un Baricco non giudicherebbe in nessuno modo il gesto “nuovo”, barbaro, al massimo direbbe “l’umano, che tipo”. Ma nella realtà la scena colpisce. I dati sulla diffusione del DSA (disturbo dell’apprendimento) nei bambini e di disturbi simili negli adulti sono in crescita. Ma non potrebbe anche essere una nostra fissazione legata alla tendenza a etichettare come patologici tutti i comportamenti non perfetti, e iscriverli nel DSM? Oppure davvero la nostra capacità cognitiva e creativa è minacciata, non dobbiamo fare negazionismo, e prendere in mano la cosa per continuare a pensare, scrivere o innovare, come disse Thomas Friedman? Intanto sarebbe bello e utile alla causa non doversi imbattere in un nuovo, artificiale, ridondante storytelling, con quel marasma di chiacchiere (con tanto di struttura narrativa) che si atteggia a una qualche sapienza e a un qualche senso di responsabilità sociale. Perché, oltre al fatto che ci sono diversi marchi che offrono versioni cool della prigione per i cellulari, e che c’è l’imbarazzo della scelta di app anti distrazione, sono già spuntati i consulenti e gli esperti di “economia dell’attenzione” che aiutano, si legge ad esempio su Linkedin, a ridurre i costi dell’economia della distrazione in azienda.
Distrazione che si porta dentro ingredienti già in trending topic, come burnout, stress da zoom, lavoro tossico. E il rischio è che se la distrazione si fa “nuovo trend da cavalcare”, potrebbe fare il percorso già collaudato: manifesto, coming out, hashtag ufficiale, policy aziendali di inclusivity e diversity, campagne, relativi guardiani. Ecco, meglio la prigione, più concreta e con più probabilità di portare dei risultati, perché la nostra mente è neuro plastica, e come si abitua a distrarsi può rieducarsi a concentrarsi. Lo dicono gli psichiatri. Poi, se il carcere per i cellulari non dovesse funzionare, l’èra dell’intelligenza artificiale sarà la migliore cosa che potrà capitarci (storytelling a parte).