In Inghilterra
Siamo messi talmente male che nasce il Council in difesa del free speech
Il Goth delle università britanniche ha presentato il London University Council for Academic Freedom, il centro che vuole promuovere il confronto e la libera discussioni nella ricerca e nell'insegnamento in contrasto al pol. corr
C’è la Giornata Internazionale del Gatto, quella dei Nonni e quella della Gentilezza. Ieri, il Gotha delle università britanniche (London School of Economics, King’s College, Imperial College, University College e altre del prestigioso Russell Group) ha presentato il London Universities Council for Academic Freedom in difesa della libertà di discussione, di ricerca e di insegnamento. Più di cento accademici hanno deciso di prendere il toro per le corna: se in università non impari il libero confronto, se sei costretto a misurare le parole, ad auto-censurarti e a non sbagliare i pronomi; se, per fare casi concreti, ti si impone di “decolonizzare la matematica” contro il privilegio bianco – meno Leibniz, per dire, e più Srinivasa Ramanujan – com’è capitato a John Armstrong del King’s College, se un professore di biologia non solo non può più dire “sesso” ma neanche Pasqua o Quaresima, se l’ambasciatrice israeliana Tzipi Hotovely è costretta dalle proteste degli studenti filopalestinesi a fuggire dal campus della Lse, beh, allora puoi chiudere baracca e burattini. Una generazione è già bell’e andata, si tratta di provare a salvare le nuove leve.
Ieri c’era anche Akua Reindorf KC, avvocata coloured specializzata in discriminazione e diritti umani famosa per aver contrastato l’influenza della potente associazione lgbtqai+ Stonewall nell’istruzione superiore. Reinford si dice “molto onorata di essere stata chiamata a parlare all’iniziativa di lancio del Council”. Quanto a Stonewall, da anni promotore di inclusivity & intersectionality – e soprattutto del proprio business – nelle scuole, nelle università, nelle aziende, negli enti governativi e dappertutto, la scorsa estate ha visto le dimissioni della sua Ceo Nancy Kelley nota per aver definito le lesbiche “razziste sessuali” e per avere paragonato chi crede nel sesso biologico agli antisemiti, oltre che per aver collezionato nei tre anni di mandato importanti disdette di contratti con il proprio Diversity Champions Program: tra i fuggitivi Bbc, University College London e Ofcom (organismo di controllo dei media).
Obiettivo primario del nuovo Council la difesa di ricerca libera, diversità intellettuale e dialogo civile contro il woke che negli ultimi anni ha messo a repentaglio la libertà di espressione nelle accademie, inclusa la polarizzazione nel dibattito sul conflitto tra Hamas e Israele. Il gruppo si è ispirato all’iniziativa dei colleghi americani dell’Harvard Council on Academic Freedom che a inizio anno si sono organizzati per resistere alla tirannia. Servirà a qualcosa?
Lo storico ed economista britannico Niall Ferguson è tra gli scettici: “Avendo insegnato in diversi atenei, tra cui Cambridge, Oxford, New York University e Harvard, sono arrivato a dubitare che le università esistenti possano essere rapidamente curate dalle loro attuali patologie”. Perciò insieme a Bari Weiss, ex giornalista del New York Times costretta a dimettersi dopo un articolo in cui sosteneva che “ci sono fondamentali differenze biologiche tra uomini e donne e la politica identitaria è un’ideologia tossica”, e ad Andrew Sullivan, giubilato dal New York magazine per avere stigmatizzato il “feticismo della fragilità” che opprime le accademie americane, Ferguson ha fondato l’University of Austin per dare voce e lavoro a tanti prof cancellati tra cui la più cancellata di tutti, la filosofa inglese Kathleen Stock. Stock, lo ricorderete, prof. lesbica e gender critical, è stata oggetto di persecuzione da parte degli studenti transattivisti della Sussex University, squadracce con torce e passamontagna, finché per salvarsi pelle e salute mentale non ha rassegnato le dimissioni: “La strega è morta!”. Era il 2021, ma mica è finita lì: a maggio di quest’anno un suo intervento all’associazione Oxford Union è stato interrotto da un inferocito drappello glitterato (“Siamo vere donne”).
Il venticello mefitico soffia anche da noi: si parva licet, quello che è capitato a me in un’università veneziana. Incaricata per un corso di filosofia sono stata accolta da una lettera-fotocopia che probabilmente gira in tutte le università dell’occidente: gli studenti esprimevano preoccupazione per le mie “posizioni reazionarie ed escludenti” contro il self-id e il queer e si sentivano minacciati nei loro safe space. L’università è corsa ai ripari chiedendomi di rinunciare all’incarico, cosa che non mi sono nemmeno sognata di fare. In effetti ho minacciato i safe space: ho imposto di studiare.