57° edizione
Eppur si muove. Una lettura ottimistica e razionale del rapporto Censis
Dall'indagine emerge un’Italia più moderna, laicizzata al massimo, pragmatica, senza voli pindarici né illusioni ideologiche, forse ancor più individualista di un tempo. Perchè allora si parla di declino?
Sull’Italia del 2023 pessimisti e ottimisti si dividono come non mai. Gli uni appartengono a una delle variegate opposizioni, gli altri fanno capo sia pure in modo diverso alla coalizione che governa. E non è una novità in un paese partigiano più che mai (fa eccezione il club degli ottimisti e razionali del quale fa parte Il Foglio). Il Censis quest’anno si colloca in un suo territorio, raccoglie ed elenca segni e motivi del pessimismo, ma leggendo il rapporto presentato ieri, appaiono come le doglie del parto. Così si concludono le considerazioni generali: “Tutto concorre a comporre un disegno, per la verità ancora piuttosto confuso, di una società che, più che avviare un nuovo ciclo, sta sostituendo il modello di sviluppo costruito a partire dagli anni ’60, nel quale si rivendicava il lasciar fare, la copertura dei bisogni essenziali, il riconoscimento delle identità e dei diritti collettivi, con un modello nuovo in cui sia assicurato il lasciar essere, l’autonoma possibilità – specie per le giovani generazioni – di interpretare lavoro, investimenti, coesione sociale senza vincoli collettivi”. Il modello del lasciar fare è quello del sommerso, dei fili d’erba, dei cespugli, intuito, analizzato e raccontato da Giuseppe De Rita mentre tutti si stracciavano le vesti sulla fine del miracolo economico o sulla crisi del capitalismo, persino. Il nuovo che non riesce ancora nascere è tutto da scoprire, ma mostra già le sue embrionali fattezze. Il Censis guidato da Giorgio De Rita e diretto da Massimiliano Valerii vede “molte scie, nessuno sciame” o “una direzione pochi traguardi”, una società che “punta o trascina i piedi”, spesso si chiude in se stessa, teme il nuovo, “rinuncia esplorare il mondo circostante o a pensare il futuro. E si consola constatando che il nostro è il mondo delle mille meraviglie”. L’Italia “cammina raso muro”. Eppur si muove con tutte le sue contraddizioni.
La transizione digitale è all’opera ed “inizia a fare i conti con una platea via via più ampia e differenziata di fragilità ed esclusione”. L’inverno demografico sta manifestando i suoi effetti nefasti, anche se troppi restano ancora “ciechi dinanzi ai presagi”, non solo le classi dirigenti, ma “la maggioranza silenziosa degli italiani”, convinta che il paese sia in declino e la globalizzazione abbia fatto più male che bene. È l’Italia che compra e vende ansia nel “mercato dell’emotività”, rispecchiandosi nei talk show televisivi (e qui bisognerebbe lasciare il Censis per riaprire e riadattare “I persuasori occulti” di Vance Packard). “Il ritorno della guerra spettacolarizzata dai social media ha alimentato una paura ulteriore: la metà degli italiani ora teme che l’Italia non sarebbe in grado di difendersi militarmente”. Sono scenari che “paralizzano invece di mobilitare”. Con il risultato che “tutto è emergenza: quindi, nulla lo è veramente”.
Possiamo continuare a lungo con le forze negative, quelle che canalizzano l’energia individuale, anziché in una spinta collettiva come in passato verso “una nuova soggettività dei desideri a bassa intensità”. Prendiamo il lavoro: “Sembra aver perso il suo significato più profondo, come riferimento identitario. Il 74,8% dei lavoratori oggi dichiara esplicitamente di non avere voglia di lavorare di più per poter consumare di più, e non ha intenzione di farsi guidare come in passato dal consumismo”. Eppure “la fine dell’espansione monetaria” provoca un “rallentamento della crescita” e fa rinascere il timore di una perdita del posto fisso un tempo tanto agognato. Come si spiega questa contraddizione? E come inserire in questa fase “l’inversione del ciclo dell’occupazione”, perché “siamo passati rapidamente dagli allarmi sugli elevati tassi di disoccupazione al record di occupati, mentre il sistema produttivo lamenta sempre più frequentemente la carenza di manodopera e di figure professionali”. Allora ci si chiede se la cultura del lavorare meno lavorare tutti, di fronte a grandi banche e aziende industriali come Intesa Sanpaolo o Luxottica, che riducono la settimana lavorativa a quattro giorni, non sia essa stessa parte del nuovo che sta emergendo.
Questa lettura – ottimistica e razionale – del rapporto Censis trova conferma nel capitolo forse più nuovo e talvolta sorprendente sui diritti civili. Secondo l’indagine, “il 74,0% degli italiani si dice favorevole all’eutanasia, con percentuali trasversali al corpo sociale, che arrivano all’82,8% tra i giovani e al 79,2% tra i laureati; il 70,3% (quota che sale al 77,1% tra le donne e al 75,1% tra i giovani) approva l’adozione di figli da parte dei single; il 65,6% si schiera a favore del matrimonio egualitario tra persone dello stesso sesso, con percentuali che arrivano al 79,2% tra i giovani e raggiungono un significativo 45,4% di favorevoli anche tra gli anziani; il 54,3% della popolazione si esprime per l’adozione dei figli da parte di persone dello stesso sesso, con percentuali che vanno da un massimo pari al 65,5% tra i giovani a un minimo del 41,4% tra gli anziani; rimane invece minoritaria, pari al 34,4% delle opinioni, la quota di italiani favorevoli alla gestazione per altri (Gpa). In merito al riconoscimento della cittadinanza italiana ai minori stranieri, il 72,5% degli italiani si dice favorevole alla introduzione dello ius soli, ovvero la cittadinanza per i minori nati in Italia da genitori stranieri regolarmente presenti, e il 76,8% si esprime a favore dello ius culturae, ovvero della concessione della cittadinanza agli stranieri nati in Italia o arrivati in Italia prima dei 12 anni che abbiano frequentato un percorso formativo nel nostro paese”.
Vuoi vedere che ha ragione Elly Schlein e quelle che vengono etichettate come ubbie dell’universo Ztl rispecchiano un mutamento del sentire collettivo? Le risposte sono anch’esse segno della Grande Trasformazione, esattamente come la diversa percezione del lavoro, come l’internazionalizzazione dei giovani che il Censis considera negativamente (“in fuga verso l’altrove”). Gli italiani residenti legalmente all’estero sono 5,9 milioni per lo più giovani. Ma per il 45,7%, gli expat sono laureati: possono davvero essere considerati nuovi “Rocco e i suoi fratelli”? Dal rapporto emerge un’Italia più simile ad altri paesi europei, più moderna, laicizzata al massimo, pragmatica, senza voli pindarici né illusioni ideologiche, forse ancor più individualista di un tempo. Può non piacere, ma che cosa ha a che fare con il declino?
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