Memoria e sopravvivenza
Facciamoci un regalo e buttiamo via per sempre le nostre scatole di madeleine
A Natale torniamo ai paesi, dove tutto è com’era trent’anni fa. La fortuna di Proust era che il passato capitava una volta ogni tanto: lo si apprezza in ragione della sua rarità. Ma c'è un limite a ciò che si può sopportare
C’era una volta Proust che mangiava un biscotto. Che aveva, di speciale, la merendina della Recherche? Sapeva di buono, di casa della zia.
Portai alle labbra un cucchiaino di tè, in cui avevo inzuppato un pezzetto di madeleine. Ma, nel momento stesso che quel sorso misto a briciole di biscotto toccò il mio palato, trasalii, attento a quanto avveniva in me di straordinario. Un piacere delizioso m’aveva invaso, isolato, senza nozione della sua causa. M’aveva subito resi indifferenti le vicissitudini della vita, le sue calamità inoffensive, la sua brevità illusoria, nel modo stesso in cui agisce l’amore, colmandomi d’una essenza preziosa: o meglio quest’essenza non era in me, era me stesso. Avevo cessato di sentirmi mediocre, contingente, mortale. Donde m’era potuta venire quella gioia violenta? Sentivo ch’era legata al sapore del te e del biscotto, ma lo sorpassava incommensurabilmente, non doveva essere della stessa natura. Donde veniva? Che significava? Dove afferrarla?
E a un tratto il ricordo m’è apparso. Quel sapore era quello del pezzetto di madeleine che la domenica mattina a Combray (giacché quel giorno non uscivo prima della messa), quando andavo a salutarla nella sua camera, la zia Léonie mi offriva dopo averlo bagnato nel suo infuso di tè o di tiglio.
La strada di Swann.
La lectio (meravigliosa) era che odori e sapori – micromemorie fragili ma persistenti – restano in piedi a reggere, tenaci e da soli, l’immenso edificio del ricordo.
Mangi una cosa e ti ricordi di quand’eri piccolo. Ma sono ricordi a colori, caldi, viene su proprio una folata di passato che ti prende in piena faccia.
Madeleine. Il morso al sapore d’infanzia, quando va bene. La cosina dolce che ti fa tornare piccolo. Casa dei nonni col pane e zucchero. L’odore di muffa e di vecchio delle coperte di lana, il divano smollato coi bozzi, i centrini uncinetto nella cristalliera, la bomboniera della prima comunione di tuo fratello. A Natale non ne parliamo. Stiamo per tornare tutti ai paesi, e certi paesi sono più paesi di altri. Io ho ancora la scuola elementare scarrupata intatta, tutto è com’era più di trent’anni fa. So trovare pure il buco preciso della strada dove sono caduta in bici e mi sono rotta i denti.
La fortuna di Proust, e pure la nostra, era che il passato capitava una volta ogni tanto. La si apprezza, quella rievocazione di pezzi di vita, in ragione della sua rarità. E l’innesco è prevedibile: il biscotto, appunto. Basta scansarlo. Pure il paese, se non è lì che sei stato felice, basta scansarlo. O il biscotto diventa al veleno.
Ultimamente la lotta al passato s’è fatta continua. Non è tanto il mondo fuori, è l’archivio che abitiamo tutti i giorni, il mondo che abbiamo costruito stando insieme online. Lì siamo sotto una pioggia di madeleine che non finisce mai e senza riparo. Sono ovunque, sono terribili, non hanno lo zucchero dentro. Sono le foto che ricompaiono, i nostri vecchi post che si autoriesumano dal 2010 a dirci chi eravamo. E come se non bastasse, certi messaggi vocali chiusi nel telefono, morti che parlano, chat di persone che nel frattempo sono a Domeneddio e che però ci guardano ancora, dentro questi aggeggi che ci portiamo in tasca. Tra le nuove forme impossibili di coraggio: il coraggio di cancellare.
A volte mi chiedo se la differenza tra la gioventù e quello che viene dopo sia solo che ancora non hai perso nessuno, e per quello sei invincibile. Non sei giovane solo perché sei bello, è perché sei forte. Poi succede, di perdere qualcuno. Resta il buco, la crepa, la debolezza. E ogni volta che il pensiero ci torna sopra diventi minuscolo, un piccolo sottouomo zoppicante. Così il pensiero dopo un poco impara e non ci torna sopra. Che non è dimenticare, è evitare con cura. Cioè ti ricordi di non pensarci.
Perdere qualcuno in questo millennio è diverso. Perfino morire non è più come una volta. Un morto sopravvive nei messaggi vocali, nelle chat, nelle foto, nelle mail. Il morto è ovunque. Potrei sentire la voce, i vocali sono lì. Potrei rivedere le foto, posso rileggerlo. Il passato ha messo i denti.
Perciò serve difendersi. C’è un limite a quello che si può sopportare. La memoria dopo qualche tempo per fortuna ti aiuta. Non è come l’internet, la memoria è fatta della stessa sostanza della nebbia. Il resto, cioè le scatole di madeleine che abbiamo nel telefono, facciamoci un regalo silenzioso, quest’anno, e buttiamole via per sempre.