Differenze
Il caso Ferragni insegna: per la pubblicità meglio i giornali e la vecchia tv
La promozione di sé e dei prodotti è una cosa seria. Vendere la propria immagine in cambio di attenzione e fiducia è troppo poco
Non stiamo qui certamente a cantare le lodi dell’ordine dei giornalisti, anche perché poi per risposta inflazionistica ci beccheremmo l’ordine degli e delle influencer. Né ci passa per la testa di impancarci a spiegare i benefici dell’etica applicata all’editoria. La questione però c’è e Chiara Ferragni ce l’ha insegnato. Mostrando a tutti, per contrappasso, che la pubblicità è una cosa seria come lo è la creazione e la difesa della reputazione di persone, aziende, partiti, associazioni. I giornali e la televisione ne sanno qualcosa e l’esperienza di secoli, o di decenni, un po’ conta.
Ancora una volta: non sono le regole e i codici deontologici a dare lo spunto vincente, perché regole e codici, che pure non sono male, arrivano sempre dopo a rappresentare qualcosa che si è già formato nel libero rapporto tra lettori/ascoltatori da una parte e giornalisti, artisti vari e tecnici dello spettacolo ed editori dall’altra. La forza dei mezzi di comunicazione consolidati già nel mondo precedente al digitale e poi riadattati alla diffusione e alla raccolta di notizie attraverso la rete sta nello scambio positivo per tutti tra la fornitura di informazione e intrattenimento (che poi sono analisi e interpretazione della realtà e divertimento) e l’attenzione dei lettori/ascoltatori. Il profitto sta nella possibilità di rivendere l’attenzione sul mercato pubblicitario, uno spazio autonomo in cui è piena l’assunzione di responsabilità da parte di chi fa pubblicità. E la saggezza del bravo autore di messaggi commerciali insegna che un eccesso di bugie verrebbe sanzionato spietatamente da chi riceve il consiglio per gli acquisti. L’influencer nasce in uno spazio non regolato, ma non vuole darsi regole da sé, non aderisce all’etica imposta dal mercato. Chiara Ferragni mette (metteva) in gioco sé stessa e la propria reputazione per essere credibile e quindi valutabile come tramite per aumentare le vendite di qualche prodotto. L’impegno è un po’ pericoloso e lo scambio è troppo ineguale: non ti do nulla se non la mia immagine riprodotta, non ti intrattengo, non ti diverto e non ti informo, ma voglio la tua attenzione e la tua fiducia. Funziona (funzionava), lo dicono i dati di bilancio del sistema Ferragni, ma l’equilibrio è precario.
Il tribuno moralista Beppe Grillo, godendo però di un potente passato televisivo, sul suo blog ha fatto qualcosa di apparentemente simile, lasciando però il messaggio pubblicitario dentro a spazi delimitati e separati dalla sua torrentizia comunicazione personale. Ma, almeno, i gusti son gusti, un po’ di intrattenimento lo regalava in cambio dell’attenzione. Allora meglio, ma è per intenditori, Luciana House Cleaning, potente influencer del settore pulizie, che prova davvero in casa sua detersivi, sgrassanti e ammorbidenti. Difficilmente è immune da influenze dei produttori, ma il test lo fa davvero, con perizia e competenza, e un po’ intrattiene, tra gag col figlio e qualche squarcio casalingo da grande fratello con cui appaga l’impiccione che è in tutti noi. Ma Luciana è la prova a contrario. Lei non sostituisce la grande pubblicità mainstream, ma la integra con qualche consiglio e apre piccole finestre informative su produttori minori, ai quali un giorno potrebbero offrirsi la possibilità di raggiungere la pubblicità maggiore. Luciana mostra che il modello Ferragni ha difficoltà di tenuta nel medio termine. Mentre un consiglio per le vendite si può dare subito ai produttori di pandoro e panettone: per la pubblicità e anche per convogliare beneficenza meglio i vecchi giornali e la cara TV.
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