I dati
L'umanità dei nuovi diritti fotografata dal nuovo rapporto Censis
Nell'ultima ricerca del Centro studi di investimenti sociali c'è un paese che rivendica aperture su tutto, tranne che sulla gestazione per altri. Qualche spunto per i legislatori e la politica
Fra i meriti indiscussi del Censis c’è anche quello di non fare sconti a nessuno. Verrebbe da dire nel bene come nel male, se solo fossimo in grado di definire il bene e il male in un mondo sempre più disabituato a farsi queste domande. Ebbene, il Censis nel suo 57esimo Rapporto affronta il tema della “rivendicazione di nuovi diritti”, cristallizzando un dato che è al tempo stesso un indicatore del grado di laicità del paese così come una fotografia della nostra moderna antropologia. Bene o male? Si vedrà. Ovviamente si tratta di una nostra valutazione che certamente i ricercatori del Censis non possono condividere, preoccupati come sono, di offrire solo una radiografia del paese reale. Anche se nel mondo presuntivamente asettico dei ricercatori sociali e dei sondaggisti, non manca mai un certo scivolamento di qua o di là.
Torniamo al Rapporto. Viste da fuori, alla giusta distanza, le cifre offerte dal Censis ci interrogano. Riportiamo fedelmente il testo del Rapporto per non tradire l’osservazione: “Oggi sembra giunta a maturazione una nuova stagione di rivendicazioni, come dimostrano le opinioni espresse dagli italiani in merito ad alcune questioni dirimenti che faticano a trovare un riconoscimento ufficiale, per via legislativa”.
Ecco le opinioni degli italiani sui nuovi diritti: il 74 per cento degli italiani si dice favorevole all’eutanasia, con percentuali trasversali al corpo sociale, che arrivano all’82,8 per cento tra i giovani e al 79,2 per cento tra i laureati; il 70,3 per cento degli italiani (quota che sale al 77,1 tra le donne e al 75,1 tra i giovani) approva l’adozione di figli da parte dei single; il 65,6 per cento si schiera a favore del matrimonio egualitario tra persone dello stesso sesso, con percentuali che arrivano al 79,2 per cento tra i giovani e raggiungono un significativo 45,4 per cento di favorevoli anche tra gli anziani; il 54,3 per cento della popolazione si esprime per l’adozione dei figli da parte di persone dello stesso sesso, con percentuali che vanno da un massimo pari al 65,5 per cento tra i giovani a un minimo del 41,4 per cento tra gli anziani. Rimane invece minoritaria, pari al 34,4 per cento delle opinioni, la quota di italiani favorevoli alla gestazione per altri (Gpa), la forma di procreazione assistita in cui una donna si assume l’obbligo di provvedere alla gestazione e al parto per conto di altri senza assumersi la responsabilità genitoriale.
Dunque, a eccezione della gestazione per altri (detta anche “utero in affitto”), gli italiani sono in larghissima misura favorevoli a una sostanziale liberalizzazione di eutanasia, adozione dei figli da parte dei single, matrimonio egualitario, adozione dei figli da parte di coppie omosessuali. Ovviamente il sottinteso è che il legislatore dovrà, più prima che poi, rispondere a queste domande di nuovi diritti, attraverso adeguate legislazioni.
Inevitabili alcune considerazioni. La prima è legata alla dimensione temporale. È del tutto evidente che la raccolta dei dati è avvenuta in un lasso di tempo che include sicuramente il primo anno effettivo di governo della coalizione di destra-centro guidata da Giorgia Meloni. Il che, a prima vista, sembrerebbe contraddire la scelta politica della maggioranza relativa degli italiani (brutalmente semplificata nella triade “Dio, patria e famiglia”) e al tempo stesso dimostrerebbe che l’emergente egemonia culturale della destra è una pura astrazione, se non il frutto di uno sguardo passatista legato a schemi di conflitto ormai superati.
In realtà, le opinioni espresse dimostrano la sostanziale frammentazione del giudizio individuale, fra la dimensione pubblica e quella privata. Quindi nessuna contraddizione, visto quanto ci ha insegnato il sociologo Zygmunt Bauman: noi viviamo immersi in un “tempo liquido” che rende liquida ogni forma di relazione umana. Perciò si possono chiedere meno tasse, più libertà per l’iniziativa privata, maggiore sicurezza personale-sociale (tipiche domande delle destre conservatrici) e al tempo stesso rivendicare assoluta libertà individuale nella vita affettiva privata e di coppia, nel rapporto genitoriale, nella disponibilità totale del proprio corpo sino al limite estremo dell’autodistruzione (altrettanti punti fondamentali dell’universo radicale e di sinistra). Il tutto a eccezione dell’utero in affitto (ultima barriera riconosciuta tra i nuovi diritti, forse in attesa che la scienza risolva la questione mediante la gravidanza extra uterina). La particolarità della Gpa è di non essere abbastanza di “sinistra” (almeno per ora) e neanche un po’ di “destra” (ma neppure questo è assicurato per il futuro). Comunque non è in grado di raccogliere, trasversalmente, quel 50 per cento di opinioni favorevoli che già farebbe gridare qualcuno al miracolo progressista.
Seconda considerazione: il Rapporto Censis ovviamente non risponde (non è il suo compito) alla domanda sul progetto di umanità sostenuto da questi nuovi diritti. Non ci pare sia stata ancora coniata una definizione adeguata a questo mondo nuovo. Come è accaduto, invece, con il fortunatissimo concetto di “multiculturalità” che le società occidentali hanno sposato in pieno, illudendosi che etnie e popoli diversi quasi in tutto (valori cultura religione tradizione lingua) potessero facilmente trovare un punto di equilibrio virtuoso in grado di garantire una convivenza pacifica e produttiva soprattutto nelle grandi aree urbane del continente. Come sappiamo il modello sta subendo spallate vigorose e in taluni casi rovinose (vedi le periferie e le scuole francesi), ma proprio per questa ragione sarebbe assolutamente necessario che i nostri ricercatori dessero un nome a questo mondo nuovo prospettato dai nuovi diritti che in Italia (e in buona parte dell’occidente) sembrano emergere prepotentemente, a prescindere dalla collocazione dei governi e dal colore delle maggioranze politiche. Non fosse altro perché aiuterebbe a riflettere prima, e prendere coscienza poi, sulla nostra moderna antropologia. Dandole finalmente un nome (post umana?) e delineandone valori, spazi e confini.
Terza considerazione: fatta eccezione per la Gpa (dai detrattori definita “utero in affitto”) non esiste sul mercato delle idee una reale opposizione culturale e sociale alla rivendicazione dei nuovi diritti. Forse qualcuno si sarebbe aspettata una ferma presa di posizione del mondo cattolico, non partendo da considerazioni di tipo moralistico ma da una diversa consapevolezza dell’umanesimo cristiano. La realtà ci dice che non ce n’è alcuna traccia e che anzi, vedi la riflessione in atto nel Sinodo della Chiesa cattolica, sembra prevalere una sorta di gigantesco e indulgente “chi sono io per giudicare?”. Così che la rinuncia all’esercizio del giudizio (da non confondere con la smania di condanna) sembra prevalere su ogni oggettiva valutazione del rischio umano, prima che sociale e culturale, insito nella fabbrica dei “nuovi diritti”.
Assistiamo impotenti a una sorta di frenesia ecclesiale di assimilazione che indurrebbe ad accettare (e perciò a fare propria) qualunque scelta del mondo. Alla maniera, scusate l’apparente grossolanità dell’esempio, dei missionari alle prese con i nativi in terre lontane. Assimilare (usi e costumi) per convertire. Rendendo così l’annuncio cristiano compatibile con ogni forma di vita sociale. Forse duemila anni di vita della Chiesa cattolica e di assimilazione delle culture inducono a pensare che si possa ripetere la procedura all’infinito, senza subire danni irreparabili. Se l’occidente e la sua gente sono arrivati a formulare queste richieste di nuovi diritti – sembra l’opinione prevalente – meglio assecondarle che opporsi e perdere consensi. Ecco, ci resta il dubbio che senza opposizione valoriale, senza ricerca dell’umanesimo, senza la dura fatica del distinguere fra il bene e il male, faremo fatica a costruire il futuro.
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