La riflessione
La (quasi) battaglia teologica intorno all'idea di genere
Attorno all'identità di genere si sta svolgendo, sotto traccia, il più grande conflitto teologico del nostro tempo. Come siamo passati dagli angeli agli umani nell'arrovellarci sul sesso
Qualcuno ha detto che le posizioni eretiche sono come quelle erotiche: limitate e ripetitive. Ripenso a questo vecchio e delizioso motto di spirito scartabellando le recensioni a un tomo dalla mole quasi intimidatoria – millecentotrentasei pagine – che non ho letto e che non credo leggerò mai, l’ultima edizione della “Bibbia Queer” pubblicata in traduzione italiana il mese scorso dalle Edizioni Dehoniane di Bologna. Tra gli entusiasti, i curiosi e i sarcastici nessuno, mi sembra, ha messo a fuoco il tema essenziale, e cioè che si tratta di una rilettura dei testi sacri condotta non tanto e non solo per mezzo della cassetta degli attrezzi precocemente arrugginiti della Theory accademica nordamericana (decostruzionismo, gender studies, teorie queer, studi postcoloniali), quanto al lume di dottrine para-religiose di un altro ordine. In altre parole, la Bibbia è interpretata a partire da idee che la tradizione considera eretiche o che sono, in certi casi, di derivazione non biblica. Già, ma quali?
Sull’“identità di genere” come nozione religiosa spuria, acquattata sotto ingannevoli vesti laiche, razionali o addirittura scientifiche, esiste ormai una letteratura molto ricca – soltanto io, che non sono uno specialista in materia ma solo un orecchiante curioso, avrò raccolto una dozzina di libri che ne trattano. Accanto alla posizione un po’ eccentrica del biologo ateo Richard Dawkins, che vede nell’affermazione dell’identità di genere un camuffamento dell’antico dogma della transustanziazione (proclamando di appartenere al sesso opposto lo si diventa sostanzialmente, anche se gli accidenti delle specie visibili – là il pane e il vino, qua il corpo – restano immutati), la maggior parte dei commentatori ritrova nelle nuove teorie echi di una posizione eretica molto antica, molto praticata e molto ripetitiva: il dualismo gnostico. L’identità di genere sarebbe un’anima sessuata imprigionata in un corpo che non le corrisponde. La saga fieramente neognostica e transgender inaugurata dal film “Matrix” sembrerebbe benedire questa lettura, per non parlare di libri bizzarri come “Wrestling with Archons” di Jonathan Cahana, che rilegge gli antichi codici gnostici alla luce di Judith Butler. Per tante ragioni che non starò a enumerare – prima di tutto l’abuso della categoria di gnosticismo da sessant’anni a questa parte, almeno dai tempi dello storico colloquium di Messina – l’analogia mi pare troppo generica.
La formula perfetta l’ho trovata invece in un libriccino recente del linguista François Rastier, “Petite mystique du genre”, pubblicato in autunno dalle Editions Intervalles. L’identità di genere, vi leggiamo, si può definire “sesso astrale” – ed è un peccato che Rastier non si soffermi sulla definizione quanto meriterebbe. Per spiegare come mai la formula mi sembra così perfetta farò riferimento per comodità a una definizione canonica dell’identità di genere, quella del glossario dell’associazione LGBT britannica Stonewall: “Il senso innato che una persona ha del proprio genere, sia esso maschile, femminile o altro, che può corrispondere o meno al sesso assegnato alla nascita”. La stessa Stonewall definisce così la nozione di genere: “Spesso espresso in termini di mascolinità e femminilità, il genere è in gran parte determinato culturalmente ed è presupposto in base al sesso assegnato alla nascita”. Legioni di commentatori scettici hanno segnalato il circolo vizioso: se il genere è un costrutto culturale, dunque acquisito con la socializzazione, come è possibile averne un senso innato? Come possiamo, fin dalla culla, possedere un orientamento infallibile rispetto a stereotipi sessuali che nessuno ancora ci ha inculcato? Logicamente non se ne esce – e infatti i teorici dell’identità di genere, sul punto, sono capaci di marciare in folle per centinaia di pagine, senza avanzare di un metro – ma se ci si colloca su un piano para-religioso la contraddizione non è impossibile da sciogliere. Basta capovolgere la domanda: in breve, quale metafisica renderebbe simultaneamente plausibili le due definizioni – il genere come senso interiore innato, il genere come costruzione culturale mondana?
Qualcuno potrebbe divertirsi a scrivere un testo sacro apocrifo, un po’ come il centone alessandrino “Sette sermoni ai morti” che Carl Gustav Jung compose nel 1916 attribuendolo al maestro gnostico Basilide. Si tratterebbe, nel nostro caso, di uno strano apocrifo neoplatonico – uno pseudo-Macrobio o uno pseudo-Porfirio, diciamo – con venature gnostiche e caldaiche. Quando l’anima discende dal cielo in terra, secondo molte dottrine antiche, attraversa le sfere dei sette pianeti e dalle qualità specifiche di ciascuno acquisisce l’armatura di un corpo astrale, un involucro sottile che si può rappresentare come una sorta di doppio invisibile del corpo fisico. Ebbene, l’identità di genere, per rendere ragione delle due definizioni in conflitto, dovrebbe seguire un itinerario simile: prima della nascita l’anima si lamina in varie combinazioni degli attributi della mascolinità e della femminilità, di Marte e di Venere – acquisisce cioè un “sesso astrale” – finché un demiurgo-trickster dispettoso la intrappola in un corpo sessuato che può corrispondere o meno alla sua essenza profonda: il neonato caduto nella materia lo capirà, per intuizione reminiscente, riconoscendosi o meno negli stereotipi di genere che riflettono, in terra, quella mascolinità o femminilità iperuranie. La liberazione consisterà allora nell’evadere dalla prigione-matrice del binarismo i cui carcerieri operano come gli arconti dello gnosticismo antico – a partire dai medici e dagli ostetrici che “assegnano” il sesso al neonato – e nel foggiarsi, ove possibile, un corpo visibile che rispecchi il sesso astrale.
Se tutto questo vi suona cervellotico, per non dire a un passo dal delirio, prestate un orecchio più attento al dibattito su questi temi. Finirete per constatare anche voi che intorno all’idea di genere si sta svolgendo, sotto traccia, la più grande battaglia teologica del nostro tempo. Salvo che i moderni dottori, anziché lambiccarsi sul sesso degli angeli, discettano all’infinito sul sesso degli umani.