Saverio ma giusto
Facce da schiaffi. Il narcisismo che fa più danni del patriarcato
Beata la generazione che non avrà bisogno di simboli per battersi per le giuste cause: volti brutti, voci alte e delegittimizzazioni facili
Metterci la faccia. Da sempre sinonimo di nobiltà e coraggio, è oggi la peggiore iattura che possa capitare. E non tanto alla faccia, ma per la buona causa/campagna/iniziativa sulla quale quella faccia si pone, incarnandola e condannandola così a ignominiosa fine. Le facce infatti, come sa bene chi si guarda allo specchio ogni mattina (magari da più di quarant’anni…) sono destinate al crollo (rughe, gonfiori, occhiaia e borse sotto agli occhi, macchie della pelle, etc.); e questo decadente destino fisico è la perfetta metafora anche di quello spirituale, etico, reputazionale, che si associa a ogni faccia. Il volgere della parabola di Chiara Ferragni, che con la sua debacle sta indirettamente danneggiando anche ogni iniziativa di beneficenza e “no profit” come non succedeva dai tempi della “Missione Arcobaleno”, è solo l’ultimo caso di cosa succede quando qualcuno “ci mette la faccia”. Anzi, no, l’ultimo caso pare sia “la Madonna di Mariupol”: prima, donna-simbolo dell’aggressione disumana dei russi all’Ucraina; oggi invece, in prima linea nel fare campagna elettorale per Vladimir Putin.
E come dimenticare il caso di Aboubakar Soumahoro (e sua moglie), altro simbolo che si è rivelato non essere ciò che rappresentava agli occhi idealistici della gente; con un danno d’immagine incalcolabile per cause come l’integrazione e le battaglie contro lo sfruttamento del lavoro e dei migranti (anche se la moglie di Soumahoro potrebbe ancora essere un valido simbolo di integrazione: se le accuse che pendono su di lei – frode nelle pubbliche forniture, bancarotta fraudolenta, autoriciclaggio – fossero confermate, sarebbe il più clamoroso caso di integrazione nella cultura italiana mai verificatosi). Parafrasando liberamente Brecht: “Sventurata la causa che ha bisogni di simboli”. I simboli sono sempre delle persone, e le persone sono incostanti, contraddittorie, corruttibili, ambigue, e per lo più sciocche. Cioè i peggiori testimonial possibili per delle cause giuste, per delle battaglie importanti. Un tempo le persone potevano anche essere dei validi simboli: esisteva ancora la privacy, non si sapeva sempre tutto di tutti, non c’erano i social network dove la gente si auto-sputtana da sola. Le magagne, i lati oscuri, le meschinità, fino a qualche decennio fa le si potevano nascondere sotto qualche tappeto.
Oggi invece viviamo tempi trasparenti, dove tutti ci mostriamo per quello che tutti siamo, cioè dei miserabili. E la sostenibilità ambientale, la parità di genere, l’integrazione socio-culturale, la difesa dei principi liberali e democratici, la giustizia economica, la sensibilizzazione culturale, sono tutte battaglie troppo importanti per essere associate a delle persone. Anche perché nella maggior parte dei casi se oggi una persona “ci mette la faccia” su qualche nobile causa, è solo per prenderne la luce riflessa. Dal MeToo all’ambientalismo, il narcisismo sta facendo più danni del patriarcato e delle polveri sottili. Il nostro narcisismo attivista sta ridicolizzando cause nobili, radicalizzando così lo status quo. Auguro alle grandi battaglie, della mia generazione e di quelle future, di poter procedere senza bisogno di volti e di voci: perché i volti sono sempre brutti, le voci sempre troppo alte, e in entrambi i casi molto spesso non sono nemmeno in buona fede (non a caso io queste cose le scrivo qui, ma mica le dico di persona: la mia faccia da schiaffi e la mia voce paperinesca non gioverebbero alle mie idee – idee che non sto esprimendo per contribuire a un mondo migliore, ma solo per prendere i soldi di questo pezzo).