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BATTAGLIE VECCHIE E NUOVE

A ciascuno il suo femminismo, ma è ora di puntare al sorpasso

Ester Viola

Da Irene Montero a Emily Ratajkowski: ognuna milita come vuole. Vediamo chi fa prima. I dispacci dal fronte intanto dicono che è ora di abbandonare la parità e di puntare oltre

Femminismo al governo. Irene Montero, di Podemos, al ministero dell’Uguaglianza (già interventi notevoli su aborto, violenza e procedure di transizione) sostiene in un’intervista di qualche giorno fa che la definizione di donna è rimasta la stessa: “Colei che non ha poteri da nessuna parte, oggetto di discriminazione e subisce sempre”. Obiettano dall’altro lato e quindi lei cosa sarebbe, visto che è parlamentare e ha accesso a ogni ben di dio del potere?

Eccezione: dire che conferma la regola, mai azzardarsi a spiegare come.

Sì, iperbole, quella di Montero. Ma dice bene a che punto siamo – sempre lo stesso. 

A che punto siamo s’era capito benissimo (almeno io) già qualche tempo fa. L’episodio significativo era questo. 

Usciva il libro di Emily Ratajkowski sulle sofferenze e i disagi di quando lavori col corpo e il tuo corpo ne esce umiliato. Sessismo, che altro.  
Tra i tanti lamenti addobbati da riflessione, spiccava uno: quello che l’utilizzo dei social in un certo modo ti privi (Emily parla di sé) della proprietà di te stesso, del tuo corpo. E’ un vecchio discorso, chiuso peraltro anche dalla magistratura – dalle parti nostre – molti anni fa, in un modo che mi pare efficace. Tribunale di Monza, Sez. IV, n.770/10: “Coloro che decidono di diventare utenti [di social network] sono ben consci non solo delle grandi possibilità relazionali offerte dal sito, ma anche delle potenziali esondazioni dei contenuti che vi inseriscono: rischio in una certa misura indubbiamente accettato e consapevolmente vissuto”.

Non s’è trovato molto da aggiungere nel decennio successivo. Bisogna concordare, purtroppo: stai sui social, ti pigli ’o buono e ’o malamente. Intesi: i soldi e il danno.

A me pareva che l’espressione femminista imprenditoriale in quel caso fosse anche un furbo “utilizzo il corpo come strumento per vendere i costumi da bagno”. Certo, il tuo corpo è diventato proprietà collettiva, hai accettato il rischio ed è uno schifo, ma il fastidio non tiene rispetto al vantaggio che ti dà l’imprenditoria facile, i.e. quella digitale. Cos’è il malumore da ipervisibilità se in cambio ti danno i milioni?

Si sa che quel mercato è mercato che dura fino ai 40 anni, il limite è il cedimento delle cosce. Il presupposto è la solidità, la resistenza muscolare. Non è patriarcato, è il settore. Per le belle ragazze funziona come per i calciatori.

Infatti il colpo maestro di Emrata, quel che ho trovato decisamente intelligente, è stato pubblicare subito e non aspettare dieci anni, quando le avrebbero dato della vecchia gloria con chiappe appassite in cerca di notorietà perduta col memoir. E’ abbastanza inutile strologare se sia ipocrita o no, il libro. Ha venduto? Il progresso femminile, come tutti i progressi dal diritto di voto in poi, è sporco, fatto di moneta. Se c’entrano i soldi, è femminismo. 

E lì ho capito: non è possibile nessuna reductio. Ognuna milita come vuole. 

Quanti femminismi, signori. Ognuno si può scegliere il suo, come i cappelli.

Quello performativo sui social, quello di circostanza, quello di adesione. Il femminismo implicito, quello del padrùn brianzolo “assumo le ragazze perché purtroppo sono le più brave”. Pigliandosi malvolentieri e per forza le maternità. 
Femminismo operaio, femminismo di prossimità e di sostegno.

Femminismo Terf (“Trans Exclusionary Radical Feminists”, “femministe radicali trans escludenti”). E’ difficile spiegare, quindi anche capire. Credo siano i Cobas.

Femminismo ideologico, cioè se approvi solo gli esempi di riuscita allora non sei femminista, ma ancora più patriarcale dei patriarcali.
Femminismo delle quote rosa. Femminismo dell’esserci.
Femminismo di non volere figli.
Femminismo di farli a tutti i costi.

Potrei continuare. Dicendo pure che la mancanza di parità è una cosa frantumata, sono briciole, sono pezzi di vetro. Non è quando mi chiamano dottoressa, che mi taglio. E’ roba più sottile, quella che taglia. Fa più male. 

Si può chiedere un distacco sindacale dalla discussione necessaria? Il femminismo è anche operoso (come quello di Montero, peraltro), ci possiamo dividere il lavoro senza Masanielli per forza? Chi parla e chi sale i piani dei palazzi degli uffici, qualcuna penserà alle parole che cambiano le cose e altre penseranno alle cose che cambiano le parole. Vediamo chi fa prima. I dispacci dal fronte intanto dicono: abbandonare la parità, puntare al sorpasso.