il web delle illusioni
Quanto è reale l'influenza delle star dei social? Il potere ambiguo degli influencer
La “caduta della dea” Ferragni e della sua meravigliosa fiaba ha scatenato la gara a chi svela tutto dei nuovi protagonisti dell’economia digitale. Quanto influenzano precisamente? Qualcuno lo calcola? E come?
La verità, vi prego, sugli influencer! Lo si sente dire persino nei bar, da quando “la caduta della dea” e della sua meravigliosa fiaba ha scatenato la gara a chi svela tutto ma proprio tutto di questi (relativamente) nuovi protagonisti dell’economia digitale, la quale fa gran parte dei numeri proprio con la pubblicità online (valore in Italia 4,84 miliardi di euro), mentre è salita al 90 per cento la quota di aziende italiane che nel 2023 ha usato gli influencer (#adv) per la promozione (budget totale 323 milioni).
Quindi, la verità, vi prego, sugli influencer. Ma cos’è che dobbiamo sapere? Se le borse le restituiscono? Se l’albergo lo pagano? Se fatte le stories green poi buttano la carta nell’indifferenziato?
Forse sarebbe utile iniziare da una cosa semplice: il nome. Si chiamano influencer, ma chi, cosa, quanto influenzano precisamente? Qualcuno lo calcola? Come?
Analitics e l’intelligenza artificiale, rispondono i consulenti digitali, andati in sollucchero perché finalmente, con il pandoro gate, sono stati chiamati dai media mainstream a spiegare alla gente il dietro le quinte di questo da sempre sospettato lavoro. Però la domanda non è di mero strumento, è storica e scientifica, e con Ferragni non c’entra nulla.
Ai tempi della Prima guerra mondiale, in America, furono creati i fourminutemen: per un anno, migliaia di volontari, in tutto il territorio americano, dentro cinema, bar, mercati, scuole, pronunciavano, addestrati, discorsi “spontanei” di 4 minuti per spiegare le ragioni della partecipazione alla guerra. Erano i primi influencer. In che misura si deve a loro il consenso degli americani all’entrata in guerra?
Questa è la domanda storica e oscura che accompagna sin dalle origini le R.p. e la comunicazione: come valutare i risultati di un comunicato stampa o di un evento su vendite e opinione pubblica verso aziende, politica, ambiente etc.?
I professionisti più seri si sono sempre posti il problema e hanno elaborato studi per tentare di dare un impianto teorico e un metodo misurabile al lavoro, non accontentandosi del paravento del valore immateriale della reputazione. La stessa domanda dovrebbe essere al centro del dibattito sugli influencer.
Quando sono esplosi i social, nel pacco regalo inizialmente gratuito c’era anche una grande promessa: ora sarà tutto misurabile, non sbaglierai più target, ci sono i dati e il monitoraggio delle conversazioni, e saprai “quanto e come se ne parla” di te, del tuo prodotto, del tuo decreto. Le agenzie specializzate cambiano nome, fanno media intelligence, che fa tanto CIA. Il video dell’influencer per promuovere una buona pratica green, costato 80mila euro, ha ottenuto 12 milioni di visualizzazioni. E whou! (ma il 90 per cento delle visualizzazioni è durato fino a 3 secondi. Lo diciamo al cliente?).
Oggi c’è l’intelligenza artificiale e le agenzie titolano: “L’arte e la scienza dell’influencer marketing”. Bene, ma con la scienza arriva la complessità. E accade che, dopo i primi entusiasmi, siccome misurare richiede lavoro, tempo e budget, le aziende spesso non lo fanno (“dammi solo il report sintetico”, parola di addetti). E ci sta, ma allora abbassiamo l’ambizione, leviamo la fuffa, parliamo di visibilità, non di influenza, di creatori di contenuti, di mezzi di comunicazione come altri, non di influenti.
Rimane comunque il rischio di restare impigliati in un’illusione: quello che accade nelle piattaforme accade poi anche nella vita reale? Consensi, dissensi, entusiasmi. Anche qui c’è bisogno di una complessa costosa intelligence, che in pochi fanno. Per adesso, sappiamo che quando per strada passa una star del web, la gente non si gira mica come quando vede una star del cinema.
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