San Valentino
Soli e senza sesso. Cinque previsioni sull'amore per la fine del decennio
Da qualche parte dobbiamo trovare le forze per festeggiare San Valentino. In quest'epoca di teconsessualità, ce lo ricordiamo ancora l'amore? È sempre lui o non è più quello di una volta? Manco ci fanno più le canzoni, sarà evaporato tutto? Passiamo molto tempo a leggerci e interpretarci e di meno a farci male? Può essere
Da qualche parte dobbiamo trovare le forze per festeggiare anche San Valentino. Da soli, in compagnia, delusi, scassati, in coppie frolle, in relazioni nuove di zecca, con regali simbolici, con una poesia, con gli smeraldi, con una scatola di cioccolatini buoni, un vassoio di pastarelle, una borsetta nuova. Ma voi ve lo ricordate, l’amore? È sempre lui o non è più quello di una volta? Manco ci fanno più le canzoni, sarà evaporato tutto? Passiamo molto tempo a leggerci e interpretarci e di meno a farci male? Può essere. Siamo in un altro secolo, un’altra èra, sparati in un futuro che non si capisce ancora che ci vuole fare. È progresso o il meglio è alle spalle?
Cinque previsioni per la fine del decennio
Saremo tutti tecnosessuali? O lo siamo già? – si chiedeva l’altro giorno il New York Times. Le app di dating sono diventate solo dating. Dieci anni fa la gente perbene era in imbarazzo su Tinder e le sue sorelle, le applicazioni per fluidificare le conoscenze. Perché sugli incontri procurati così, senza serendipità, senza il fortuito, solo con l’intenzione, calava sempre quell’ombra di zozzeria, di secondo fine ostentato, di maschi orrendi, di mariti puttani che cercano distrazioni. Adesso no, tutto normale. Anche perché dov’è che vuoi incontrare per caso gli amori della tua vita? Dove? Che manco al cinema andiamo più, alle cene serve organizzarsi chiedendo “ci siete?” tre settimane prima, la sera vogliamo dormire perché siamo tecnosfiniti.
Società molto comode ed evolute non abbisogneranno più della coppia felice? Oppure alla carestia di felicità ognuno deciderà di reagire a modo suo? Quell’esperimento coi sorci di Calhoun del 1962 diceva proprio questo: dateci tutto e non vorremo più niente. Un etologo illustre aveva preso una colonia di ratti e li aveva messi a fare la bella vita. I topi comodi, che vivevano troppo bene – cibo, acqua, pace e clima mite – finirono mezzi pazzi, soli, disinteressati all’accoppiamento. Chi diventò aggressivo e chi preferì narciso.
Prendete la commedia romantica: è morta sepolta. Un film come “Harry ti presento Sally”, prova a farlo vedere a un giovane. Se ci provi te lo tira dietro. Ora la coppia va di moda psicotica, avvitata, se proprio ce la devi mettere. Perfino i film di successo hanno come temi il riscatto individuale (da sé stessi), impazzimento, brevi amori smollati che non danno e non tolgono granché. Sex recession. Indovinate dove ha colpito la crisi. Sì, proprio lì, a casa degli amatori migliori del mondo. I francesi, nientemeno. Hanno pubblicato uno studio (Groupe Ifop) e lo studio dice senza esitazioni: tenetevelo, il sesso. Su le mutande. Non ci va più. È inaudito e gravissimo. La flamme è morta, s’è spenta, è carbonella annaffiata. La crisi della copula è reversibile? Le risultanze parlano di “declino senza precedenti dell’attività sessuale”. L’esprit de l’escalier salendo in camera da letto, con l’unico desiderio di dormire.
Chiameremo la solitudine in un altro modo
Si parla di epidemia di solitudine, guidata dal ritmo di vita accelerato e dalla diffusione della tecnologia in tutte le nostre interazioni sociali. Con questa accelerazione, sostiene il dottor Vivek Murthy (dal Guardian), l’efficienza ha eliminato il disordine che richiede tempo delle relazioni reali. Il risultato è una crisi sulla stessa scala dell’epidemia di oppioidi o dell’obesità. Già in uno studio del 2018 della Kaiser Family Foundation, un americano su cinque ha affermato di sentirsi sempre o spesso solo o socialmente isolato.
La pandemia ha solo esacerbato queste impressioni
Epidemia di solitudine, diciamo ora. Epidemia di gente che preferisce stare chiusa dentro perché l’offerta indoor è migliorata troppo, diremo poi. Cose incredibili succedono sui divani ultimamente. Bar (i social) e cinema (Netflix) insieme, a casa tua. Scelta tra cinquecento film nuovi e d’archivio, barzellette sull’etere. In più se vuoi ti consegnano la pizza a casa. Non ti basta? Apri WhatsApp e a richiesta ti manderanno parole d’amore e foto artistiche, convinti, dall’altra parte, che possa essere un preludio di fidanzamento. Se non è il migliore dei mondi possibili questo, non so quale altro. E la suddetta si racconta come la generazione più sfortunata di tutte le epoche. Durerà?
Appunto. Tra dieci anni che diremo di noi? Quelli di lutto continuo, i lacrimosi senza speranze nel futuro, quelli che ogni cosa è un guaio, coi dolori di Werther e di Sisifo, gli assopigliatutto delle ielle, che pare che la storia del mondo ci abbia presi di mira, a bersaglio, solo noi. Li riconosceremo, questi anni di pacchia? Saremo abbastanza onesti da ammettere che meglio di così, davvero, era impossibile?
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