Vittime di scrolling
Come la sindrome da deficit di attenzione da troppi social sta cambiano le nostre relazioni
Le neuroscienze ci assicurano che la struttura del nostro cervello negli ultimi millenni non è mai cambiata, ma il suo funzionamento sì, perché il cervello modifica i processi a seconda di cosa fa e cosa non fa
Da più parti si sta prestando attenzione al fenomeno del deficit di attenzione (scusate la cacofonia). Pare proprio che noi umani stiamo eclissando parte delle nostre funzioni mentali a causa dell’eccessivo contatto che manteniamo con i device e gli ambienti digitali. In particolare, sotto processo ci sono smartphone e social media, che insieme danno vita al magnetico muro dello scrolling, di fronte al quale, impalati, noi diamo il consenso allo scambio: sinapsi (e dati personali) contro dopamina, grazie mille.
Ormai lo sanno anche i social stessi, che infatti ospitano (si fa per dire) senza fiatare campagne con scritto “Stop Scrolling!” o “Scompari dai social per un mese e cambia la tua vita”. Le neuroscienze ci assicurano che la struttura del nostro cervello negli ultimi millenni non è mai cambiata, ma il suo funzionamento sì, perché il cervello modifica i processi a seconda di cosa fa e cosa non fa. “Se non lo usi lo perdi” suona banale, ma riassume bene ciò di cui stiamo parlando.
A gennaio il Guardian ha lanciato Reclaim Your Brain, una nuova serie di 5 puntate con suggerimenti, esercizi e storie vere per staccare dal cellulare, ri-esercitare la concentrazione, ri-fare solo una cosa alla volta. Chi siamo senza più distrazioni? “Non ne ho idea”, scrive uno degli editor che si è prestato agli esercizi. Ma Catherine Price, responsabile della newsletter e autrice del libro How to Break Up With Your Phone ci rassicura: “Ci saranno momenti in cui ricadrai (…), la cosa importante è che ora hai gli strumenti per notare quando accade e rimetterti in carreggiata”.
Vice.com ci va giù più duro. In un articolo sui migliori cellulari stupidi, i “Best Dumb Phone” che ci fanno “tornare in contatto con la realtà”, terrorizza i lettori invitandoli a leggere la storia di Jessica Elefante, americana, 47 anni, che voleva fare la scrittrice ma ha finito per fare la brand manager, sempre online, e si è beccata la demenza digitale. Non è uno scherzo: aveva vuoti di memoria spaventosi e ha dovuto lasciare il lavoro, disconnettersi da tutto per un periodo. E non potrà mai più esagerare, altrimenti torneranno crisi di memoria e di percezione. In compenso è diventata scrittrice: ora è uscito Raising Hell, Living Well: Freedom From Influence in a World Where Everyone Wants Something From You.
Ecco, influenza è la parola chiave. Gerd Gigerenzer in Perché l’intelligenza umana batte ancora gli algoritmi (Raffaello Cortina), racconta che quando era studente, la sua classe fece un esperimento con un prof. dividendosi in due gruppi, a destra e a sinistra. Uno dava cenni di interazione al prof. che spiegava, l’altro no. Il prof. guardava solo il gruppo che annuiva. Poi hanno invertito i gruppi e il prof. guardava il gruppo che prima non annuiva e ora sì: in modo inconsapevole ha modificando il suo comportamento in base a cosa gli dava “ricompensa” (rinforzo esterno) rispetto al suo antico, umanissimo, bisogno di riconoscimento. Like. Ecco come ci aggancia l’algoritmo (ancora dopamina? Sì grazie).
L’industria farmaceutica prevede una crescita globale delle terapie per l’Adhd, il Disturbo da deficit di attenzione iperattività, di 6,2 punti da qui al 2034 (valore previsto 45,51 miliardi di dollari). Stanno nascendo nuove professioni (Adhd coach) e nell’Euromonitor 2023 il consumatore è descritto come stanco, mentalmente sfinito, non disposto a leggere etichette troppo complesse.
Siamo alla fine? Gli inglesi, grandi narratori, ribaltano il punto di vista, dando la colpa alle troppe campagne di sensibilizzazione: Simon Wessely, psichiatria del King’s College di Londra, dice all’Economist che è “il momento di ridurre la nostra consapevolezza sulla salute mentale”. La domanda di servizi è stata gonfiata a danno delle persone che hanno più bisogno di aiuto.