Tempesta perfetta
Se la scuola è messa male è anche colpa della crisi demografica
In cinquant’anni la popolazione del primo ciclo dell’istruzione si è quasi dimezzata. Prima l’alleanza genitori-insegnanti era nell’ordine delle cose. Oggi genitori iperprotettivi e figli unici cambiano le cose
Inezie. Dovremmo ristabilire le proporzioni e non aver paura di dare alle cose il loro nome preciso. Così, nella popolazione italiana ch’è attualmente di 59 milioni, gli studenti del primo ciclo, elementari più medie inferiori, sono appena 4,1 milioni, pari al 7,1 per cento della popolazione: letteralmente una inezia, sia pure sotto l’esclusivo aspetto statistico, beninteso. Non si conosce società a tal punto povera di alunni come quella italiana. Non c’è.
Negli anni Settanta dello scorso secolo, quando già la popolazione aveva preso la strada del declino dopo il fulgore dei decenni Cinquanta e Sessanta, quella popolazione era ancora di oltre 7 milioni su 54 milioni di abitanti, pari al 13 per cento della popolazione. Morale della favola: in cinquant’anni la popolazione del primo ciclo dell’istruzione si è quasi dimezzata tanto in cifre assolute quanto in rapporto al totale della popolazione. Crollata sotto i colpi dei non figli e dei figli unici – ovverosia di coppie che di figli non ne fanno o che si fermano al primo figlio – quella popolazione diventata nel frattempo così esigua occupa come non mai prima, e in tutti i sensi, anche sotto quello della preoccupazione per conflitti sempre più frequenti con qualche autorità scolastica, i nostri pensieri. Abbiamo col tempo raddoppiato lo sforzo educativo proprio su quella popolazione non lesinando in insegnanti, anzi. Ma se quella operazione fosse servita a innalzare la qualità della formazione di scolari e giovani studenti – e non è così scontato se si pensa che negli anni Settanta avevamo scuole elementari ch’erano autentici fiori all’occhiello mentre oggi stazioniamo per quelle stesse scuole nelle posizioni di rincalzo di tutte le graduatorie internazionali – non è servita a stabilire un clima di comprensione e meglio ancora di collaborazione tra scuole e famiglie, come invece succedeva quando gli alunni/studenti erano molti e gli insegnanti decisamente meno di quelli attuali. E qui dobbiamo chiamare in causa altri numeri.
Delle pochissime nascite del 2022, per il 49 per cento si è trattato di prime nascite. Una proporzione che non ha fatto che aumentare e che si prevede ancora in crescita. E mentre le prime nascite seguono una tendenza crescente, le seconde e le terze nascite ne seguono un’altra, opposta. Così stando le cose, ecco allora il panorama italiano di coppie e figli in età del primo ciclo degli studi: un panorama che si apre su schiere agguerrite di genitori che vigilano su figli in gran parte unici che vanno a prendere posto sui banchi di scuola sotto gli occhi di insegnanti che proprio per essere aumentati in ragione opposta alla contrazione degli studenti hanno visto indebolirsi il loro legame personale con gli allievi. Ed ecco così prepararsi la tempesta perfetta che minaccia i cieli delle scuole italiane: genitori iperprotettivi che “cedono” malvolentieri a insegnanti che non raramente presidiano un segmento dell’insegnamento globale di dubbia utilità e scarsa considerazione i propri figli, prima unici per eccezione e oggi per regola e maggioranza.
Veniva naturale l’autorità dell’insegnante quando genitori che avevano in media due-tre figli (2,7 figli a coppia era la media di figli negli anni Sessanta) l’affidavano a una scuola in cui il suddetto insegnante costituiva per loro la figura di riferimento riconosciuta. L’alleanza genitori-insegnanti era nell’ordine delle cose. Non è più così, e per capirlo basta questo calcolo. Escludiamo dal computo le famiglie formate da una sola persona, che sono ben 8,5 milioni in Italia, e consideriamo le sole famiglie, circa 17 milioni, che hanno un nucleo, che formano un nucleo: bene, la media dei loro componenti è scesa sotto il livello di tre. Cosicché si capisce bene quanto povero sia il panorama dei figli nelle famiglie e segnatamente di quei figli che vanno a scuola. Si tratta di una povertà che dall’aspetto quantitativo sconfina pressoché automaticamente in quello qualitativo dal momento che “forgia” genitori sempre meno propensi ad accordare fiducia all’ultimo insegnante dei tanti che se pure non sono danno, spesso l’idea di essere di passaggio. E questo mentre loro, i figli unici, e se non unici con al più un fratello/sorella, frequentano la scuola sentendosi le spalle protette a prescindere proprio da quell’esiguità famigliare che li rende preziosi e intoccabili, fino a quando non si crea o scoppia qualche frizione con gli insegnanti. Quand’ecco, allora, i genitori che, richiamati a fare la loro parte per la responsabilizzazione dei figli, se ne escono col dire: ma se non hanno neppure quattordici anni, che vuoi responsabilizzare?
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