La classifica
L'infelicità dei trent'anni è tutta colpa di un eccesso di felicità preventiva
È uscito il World Happiness Report dell’Onu, la ricerca delle Nazioni Unite che stila la lista dei paesi dove le persone si considerano più felici. I giovani adulti sono quelli che soffrono di più mentre, in ogni latitudine, i più contenti restano bambini e anziani
Se si cercasse una di quelle allitterazioni che hanno fatto la fortuna del giornalismo anglosassone, calzerebbe a pennello “i tristi trenta”. Nel World Happiness Report appena rilasciato dalle Nazioni Unite i commentatori non hanno mancato di ravvisare una sorta di crisi di mezz’età da parte di chi ha appena compiuto trent’anni o li sta per compiere: giovani annoiati, delusi, intristiti come cinquantenni oppressi dal pendolarismo o dal mutuo.
Prima di addentrarsi, è necessario un caveat. L’indagine è di indubbio valore, essendo condotta ormai da un ventennio secondo criteri statistici rigorosi e affidata a un pool di scienziati, adesso capeggiati dall’Università di Oxford. Vero però è che i criteri in base a cui la classifica viene calcolata lasciano ampio margine all’autovalutazione: al campione, sondato riguardo alle emozioni positive e negative, viene altresì richiesto di valutare la propria felicità su una scala da zero a dieci. Ciò spiega perché possa apparirci opinabile una classifica della felicità da cui emerge che si fanno salti di gioia in Danimarca, Islanda e Svezia, luoghi dove il concetto è difforme da quello nella nostra cultura; altrimenti vedremmo schiere di italiani che, per essere felici, si sforzano di vivere come un islandese. Non si tratta dunque di felicità reale – sempre ammesso che possa essere oggettivamente commensurabile, come pretendevano i più tonti fra gli illuministi – bensì di felicità percepita.
Ciò non toglie validità all’indagine. Sia perché la felicità percepita sembra accompagnarsi costantemente al grado di prosperità e libertà di una nazione (in Afghanistan e in Libano sono tristissimi), lasciando intendere che la percezione sia almeno in parte condizionata da fattori concreti; sia perché la percezione della felicità è essa stessa la felicità. Una persona che si sente infelice nelle condizioni ideali per essere felice è una persona infelice comunque.
A questa luce va analizzato il dato più clamoroso di quest’anno: gli Stati Uniti, nazione fondata sul diritto alla ricerca della felicità, sono usciti dalla top 20, e del tracollo sono in larga parte responsabili i giovani. Se infatti gli Usa fossero abitati soltanto da ultrasessantenni, sarebbero al decimo posto della hit parade; se fossero abitati solo da persone fino ai trent’anni, galleggerebbero più o meno a metà della graduatoria delle 143 nazioni su cui è stata effettuata la ricerca. Dati alla mano, tanto varrebbe vivere in Honduras.
Destino simile per la Germania e per molte nazioni dell’Occidente (inutile che chiediate dell’Italia; sapete già che ci lamentiamo sempre tutti). Vuol dire che, nella generazione che sta per compiere trent’anni, si è verificata una disparità fra aspettative giovanili ed effettivo conseguimento all’alba dell’età adulta. Se può avere senso esprimersi su un’intera generazione sparsa in più continenti, si tratta probabilmente di un eccesso di felicità preventiva. Una capillare educazione a pensarsi eccezionali e destinati a traguardi stratosferici, un continuo martellamento sull’essere fabbri della propria fortuna, un intenso scavo alla ricerca del vero io da esprimere per realizzarsi: tutto questo potrebbe avere causato lo scarto nella percezione della felicità nel momento in cui l’età adulta fa sbattere il muso col criterio di realtà e si scopre che la vita vera differisce da quella immaginaria.
Controprova ne è che i primi venti posti sono stati presi d’assalto da nuove nazioni; la Slovenia, la Repubblica Ceca, la Lituania. Le nazioni dell’est Europa sono trainate da rutilanti percentuali di felicissimi giovani; evenienza che ci insegna forse un paio di cosette. Una è che la felicità non è un diritto, anzi, che sentirsi in diritto di essere felici causa infelicità. L’altra è una conclusione forse un po’ troppo da Bacio Perugina per un’indagine così ponderosa, ma tant’è: la felicità si trova dove non ce la si aspetta. Sarà per questo che a ogni latitudine, secondo la ricerca, i più felici sono i bambini e i pensionati.