Nell'era del caos
La gran caciara del woke nella selva del tribalismo ideologico
Un tempo erano le camicie nere a irrompere nei luoghi istituzionali con lo scopo di minare la democrazia. Oggi l'onda si tinge di rosso. Le fazioni cambiano ma non la caciara
La caciara è caos, è disordine. È un’interferenza alla comunicazione e alla razionalità. Nel frastuono l’umanità regredisce allo stato tribale del “noi” e “loro”. Allora il bipartisan è tradimento. “Grida, sventola la tua bandiera e dàgli al nemico”. Non ha colori, schieramenti o luoghi: si espande dagli studi televisivi ai social media, fino alle piazze, dove non si limita a manifestare, urla, attacca chi la pensa diversamente ma soprattutto impedisce di parlare. Recentemente è successo a David Parenzo, a Maurizio Molinari e a Elisabetta Fiorito ma non sono i primi e non saranno gli ultimi. Questo perché la caciara non è democratica: è sopraffazione. Allora talvolta diventa anche ricatto, come è successo all’università di Torino: occupa, urla e vince – la morte della società civile.
Un tempo erano le camicie nere a irrompere nei luoghi istituzionali con lo scopo di minare la democrazia. Poi, da destra, l’abbiamo vista ancora, non troppo tempo fa, assaltare la Cgil. Le fazioni cambiano ma non la caciara. Quella che irrompe in questi giorni (che per entità non avevamo visto arrivare), nella fattispecie è rossa, parte di quel rebranding del marxismo (in veste antirazzista) noto come woke. Capire cos’è, aiuterà a rimettere un po’ di ordine nel caos. Ne abbiamo bisogno. Il suo manifesto, “La teoria critica della razza”, fu scritto da un gruppo di marxisti (tra i quali Kimberlé Crenshaw, madre del femminismo intersezionale), alla fine degli anni 80, come parte del “marxismo critico”. Sostituendo il concetto di “classe” con quello di “razza”, la teoria accosta capitalismo, imperialismo e colonialismo, mali che riconduce all’uomo bianco – fautore di società oppressive e discriminatorie – mentre al tempo stesso deresponsabilizza il resto dell’umanità. È un’ideologia che si nutre di archetipi e che erge il popolo palestinese e Israele ai Ying e Yang di oppresso e di oppressore.
Ecco allora che, alla formulazione anticapitalista e antioccidentalista, accosta anche quella antiliberaldemocratica, identificativa dell’occidente. Siamo entrati nel semplicistico territorio bipolare di “oppressi” e “oppressori”. Qui comprendiamo, per esempio, l’archetipo di genere, dove il maschio bianco è l’oppressore e dunque in essenza predatore e stupratore, mentre la sua società (quella occidentale) è inevitabilmente capitalista e patriarcale. Ricordate quel “cultura patriarcale dello stupro”? Viene da lì. La caciara del woke non ha neanche un genere, ne ha infiniti, tanto da avere prima fagocitato il femminismo per poi vomitarlo come eurocentrico e limitativo, fino a trasformarlo in un prisma dal nome di transfemminismo intersezionale che si occupa un po’ di tutto: dai trans, binary e gender fluid alle minoranze oppresse; dalla crisi climatica alla pace nel mondo. Certo, non si preoccupa proprio di tutto, non si occupa, per esempio, delle donne italiane (a meno che non ci sia da gridare contro il patriarcato), né di quelle israeliane (catalogate nella sezione “oppressori” del manuale intersezionale); si disinteressa tanto di quelle ebree (presenti alla voce: “vedi Israele”) quanto di quelle iraniane, ree di essere in guerra contro quell’islamo-marxismo di cui si nutre il woke. Nel fantastico universo del transfemminismo intersezionale, alle giovani persiane è stato affibbiato il ruolo di oppressori mentre i mullah (sissignori) beneficiano di quello di oppressi.
Dimentichiamo le contraddizioni. Inutile spiegare che l’emancipazione della donna è figlia dell’illuminismo e della liberaldemocrazia o che gli Lgbtq+ sono perseguitati ovunque tranne che nel nostro dannato occidente, siamo oltre il territorio della ragione, ci siamo addentrati nella selva del tribalismo ideologico: non deve essere coerente, deve servire la causa. Più facile ora capire perché, agli occhi degli adepti, se non sei d’accordo, sei razzista; se non gridi al patriarcato, ne sei complice; e se non credi nel nuovo modello di rivoluzione trans-etno-proletaria, non hai diritto all’empatia. Perché – al fondo di tutto – la caciara è sovversiva.