Saverio ma giusto
Oltre il Pil: il nuovo indice di Felicità interna lorda
L'Italia è più infelice di Taiwan, che rischia di essere invasa dalla Cina. Ma infondo è meglio così: ridere poco non fa venire le rughe e piangere aiuta la pelle
Come ogni anno, è uscito il World Happiness Report delle Nazioni Unite, la classifica dei paesi più felici al mondo. Come ogni anno, ai primi posti ci sono i paesi scandinavi: la Finlandia è il paese più felice al mondo, nonostante il mondo. L’Italia è solo al 41esimo posto, otto posizioni più in basso dell’anno scorso – i grandi traguardi del governo Meloni. Meglio di noi persino il Kosovo, teatro di una guerra recente e che sta vivendo una nuova escalation di tensione con la Serbia, e Taiwan, che rischia di essere invasa dalla Cina; eppure, persino kosovari e taiwanesi sono più felici di noi italiani. Vediamo il bicchiere mezzo pieno: di antidepressivi. La notizia che siamo infelici ha fatto il giro del paese, con il risultato che ci ha intristiti ulteriormente e ora siamo scesi al 48esimo posto in classifica.
Sul perché si misuri la felicità, lo sappiamo, c’entra l’economia: da tempo il Pil sembra incapace di registrare la reale crescita economica di una nazione, e comunque è un indice che ormai non si alza più a nessuno – o, quando sale, ci si è accorti che non corrisponde a un effettivo miglioramento delle condizioni di vita delle persone. Dunque da tempo si sta pensando di passare dal Pil al Fil, l’indice di Felicità Interna Lorda, che calcola appunto il grado di soddisfazione di una nazione. Dati alla mano, se l’Italia abbandonasse il Pil (dove di certo non abbiamo mai brillato, e ormai boccheggiamo platealmente) e iniziassimo a misurare la nostra crescita con il Fil, passeremmo dalla padella alla brace. Del resto, non siamo proprio delle autorità in materia: in anni, la migliore definizione di felicità che siamo riusciti a dare da queste parti è stata “un bicchiere di vino con un panino”: un’idea di felicità un po’ generica (che vino? e che ci sta nel panino?), un po’ riduttiva, in definitiva un po’ triste.
Che fare dunque? Bonus Prozac? Non credo che alcuno stimolo possa destarci da questa condizione ormai cronica: non è facile risalire una classifica dal 41esimo posto, e anche se improvvisamente dovessimo provare qualche gioia, una botta d’allegria, un pizzico d’euforia, potremmo recuperare forse qualche posizione ma saremmo comunque fuori dal podio, fuori dalla Champions, persino fuori dalla Uefa. Mi sia concesso allora di ribaltare il punto di vista: siamo proprio sicuri, dopo aver fallito con il profitto, di volerci lanciare anche nella corsa alla felicità? La felicità non solo non esiste (siamo esseri mortali, ogni felicità è illusoria o effimera), ma anche – e soprattutto – la felicità è sopravvalutata. L’infelicità al contrario ha un sacco di vantaggi: l’infelice non sorride mai, e questo non lo obbliga a stare in continuazione a lavarsi i denti, risparmiando così sul dentifricio; inoltre, non ridendo né sorridendo, all’infelice non vengono le rughe. L’infelicità è una beauty routine, una skin care meglio di quelle coreane. Inoltre l’infelice tende a piangere, e la lacrimazione idrata in modo naturale il bulbo oculare, prevenendo la formazione di cataratte e facendo risparmiare un sacco di soldi in collirio.
La felicità è un mito, un traguardo irraggiungibile, perseguirla ci stresserebbe ulteriormente; l’infelicità al contrario è un obiettivo decisamente più alla nostra portata! Siate infelici, e sarete finalmente felici.