la riflessione
Paura del futuro demografico? Bisogna rimettere in sesto il paese o saremo nei guai molto prima
Il problema non sono le 400 mila nascite. Il problema sono i 52 mila prevalentemente anziani che muoiono prematuramente per inquinamento. Altro che culle vuote e paure per il futuro
Pubblichiamo un estratto dal libro di Alberto Brambilla “Italia 2045. Una transizione demografica e razionale” (Guerini e Associati, 192 pp., 18 euro).
L’umanità ci ha messo 100 mila e più anni per raggiungere i 250 milioni di terrestri nell’Anno Zero della nostra “era”. Poi sono stati necessari altri 1.945 anni per passare da 250 milioni a poco più di 2 miliardi. Ma dalla fine della Seconda guerra mondiale al 2023 c’è stata la più grande crescita di popolazione, la “grande accelerazione” che ha portato la popolazione del mondo a 8,1 miliardi; una crescita che non si era mai verificata nella millenaria storia dell’uomo e che, fortunatamente, non si verificherà mai più. Infatti, una crescita demografica pari al 2 per cento raddoppia la popolazione in soli 35 anni ed è, più o meno, quello che è avvenuto negli ultimi 78 anni: un periodo di pace continuativo mai verificatosi nella storia dei sapiens.
Ora poiché tutti noi (o quasi) siamo nati in questi ultimi 78 anni di grande accelerazione demografica, dei consumi di energia, acqua, cibo, è normale che ci si spaventi per questo rallentamento; non siamo mentalmente abituati a vedere decrescere la popolazione e tanto meno siamo preparati per una riduzione dei consumi e del pil. Normale ma solo in prima battuta perché, se si guarda al passato e soprattutto agli ultimi 78 anni e si fanno analisi serie e non ideologiche, si capisce subito che non si può continuare così: non è possibile una crescita di popolazione e consumi infinita in un mondo, la nostra Terra, che non è infinito. Il pil mondiale è passato da meno di mille miliardi di dollari del 1945 a 105 mila miliardi dello scorso anno, mentre il debito globale è aumentato da meno di mille miliardi del 1945 a oltre 310 mila miliardi; possiamo andare avanti così? Siamo sicuri che il nostro “mondo a debito” prima o poi non imploda?
E che dire della situazione climatica? Certo, in una scala da 1 a 10 non sappiamo quanto dipenda dall’uomo e quanto dalla natura. Quello che è certo è che abbiamo sparato in atmosfera oltre 200/250 miliardi di tonnellate di CO2 e altri gas come CH4, NO2 etc, eppure non ci sono stati eventi vulcanici globali come quelli di 50 mila anni fa, prima dell’Olocene. Il Global Footprint Network ci dice che nel 1945 gli uomini impiegavano qualche anno per consumare quello che il pianeta ci mette a disposizione in un anno (aria, acqua, cibo etc.): nel 2023 abbiamo consumato tutto il 3 agosto (media mondiale). E gli italiani, sempre scontenti di tutto? Beh, noi abbiamo consumato tutto in maggio, con i record dei consumi di acqua (la metà della popolazione mondiale soffre di gravi carenze idriche) di carne e molto altro essendo tra i primi cinque paesi al mondo per rapporto spesa per welfare su pil. E allora cosa si può rispondere ai gridi di allarme italici? “Nascono pochi bambini, le culle sono vuote, inverno demografico, ci serviranno tanti immigrati, chi ci pagherà le pensioni e la sanità?” Che i problemi ce li abbiamo oggi non nel 2045/50 quando raggiungeremo il picco dell’invecchiamento.
Iniziamo con i lavoratori; l’Italia nel 2045/50 avrà una popolazione pari a circa 55 milioni (Istat) con una popolazione in età da lavoro (oltre 31 milioni) più che sufficiente per mantenere un rapporto tra lavoratori e pensionati a livelli di sicurezza; certo occorrerà correlare l’età di pensionamento all’aspettativa di vita evitando pensioni di cittadinanza, quote 100 e 103, moderare l’Isee che incentiva al lavoro irregolare e le spese di assistenza sociale come il vecchio Rdc. Il problema lo abbiamo oggi con un rapporto di 1,45 attivi per ogni pensionato; infatti, su 38 milioni di italiani in età da lavoro solo 23,7 (record di tutti i tempi) lavorano e il nostro paese è ultimo in Ue come tasso di occupazione totale (61,8 per cento) femminile (51 per cento), giovanile 18-29 anni (33 per cento), con 10 punti meno della media Ue e quasi 17 con i nostri maggiori competitors europei, americani, giapponesi e altri. Se sapremo affrontare le grandi transizioni ecologiche, energetiche, dei trasporti e alimentari, potremo avere un pil pro capite forse ancora maggiore di quello attuale con costi delle energie rinnovabili, trasporti elettrici a biofuel o idrogeno, prodotti a chilometro zero e sviluppo agricolo ad alto reddito, ancora più bassi di oggi; necessitano però politiche idonee. Certo il cestino della frutta a 1,2 euro come strombazzano quelli della grande distribuzione, dovrà aumentare se vogliamo pagare decorosamente i produttori agricoli e i lavoratori, magari attraverso nuovi canali distributivi efficienti che compenseranno l’aumento della “retribuzione agricola”. Sperimentare la carne “coltivata” e i nuovi prodotti bio-vegan è una frontiera indifferibile se si vogliono trattare in modo più umano animali e uomini e far costare meno quei prodotti, latte compreso: il contrario di quello che fa il nostro governo.
Mancheranno i soldi per il welfare? No, se sapremo razionalizzare la spesa anche attraverso una anagrafe generale dell’assistenza (che aspettiamo da oltre 15 anni) e che tutti i paesi nostri competitors hanno già. Infatti, per le varie e plurime assistenze sociali e la lotta alla povertà nel 2008 spendevamo 73 miliardi e i poveri assoluti erano 2,1 milioni. Oggi ne spendiamo 160 e i poveri assoluti sono 5,6 milioni e quelli relativi ben 8,6 milioni ma non troviamo 150 mila lavoratori per agricoltura e turismo tant’è che cerchiamo immigrati con il click day. Ma se queste persone faticano a mangiare e vanno a fare le fila alla Caritas, perché non accettano queste attività in agricoltura e nel turismo che sono tutte onorevoli e hanno fatto grande il nostro paese?È pensabile che su oltre 14 milioni di “italiani poveri” non si trovino 150 mila persone che si propongono per questi lavori? Possiamo andare avanti così?
Oggi, non nel 2045, oltre la metà degli italiani dichiara redditi zero, non paga tasse né contributi e vive alle spalle di altri cittadini ma il tenore di vita è alto. Lo stato fa oggi 40 miliardi di debito all’anno: viviamo al di sopra delle nostre possibilità e ci lamentiamo. Questi sono i problemi da risolvere oggi senza trasformarli in paure inesistenti; il problema non sono le 400 mila nascite di bimbi che comunque non sono poche considerando che la mortalità infantile è azzerata e la vita media aumenta: il problema sono i 52 mila prevalentemente anziani che muoiono prematuramente per inquinamento. Altro che culle vuote e paure per il futuro: qui dobbiamo lavorare sodo per rimettere in sesto il paese o saremo nei guai non nel 2045 ma molto, molto prima.
generazione ansiosa