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Da Thule ad Antilia, le terre del mito hanno guidato i navigatori nel Medioevo
Fantasie che, a volte, portarono a scoperte reali, tutte raccolte in un libro di Antonio Musarra, professore di Storia Medievale a La Sapienza: "L’isola che non c’è. Geografie immaginarie fra Mediterraneo e Atlantico” (Il Mulino)
Forse Pinocchio è veramente esistito, ma la sua isola no. Anche lui, però, è finito nella vertiginosa rassegna all’origine del recente libro di Antonio Musarra, professore di Storia medievale presso la Sapienza: “L’isola che non c’è. Geografie immaginarie fra Mediterraneo e Atlantico” (Il Mulino, 312 pagine, 27,55 euro). Questo Pinocchio sarebbe stato un capitano di marina italiano che comandava un vascello di nome “Barone Podestà”, e che nel 1879 nel Pacifico avrebbe trovato un’isola lunga circa un chilometro, 1.390 km a ovest dal porto cileno di Valparaíso, 32° 14′ di latitudine sud e 89° 08′ di longitudine ovest. L’avrebbe ribattezzata “Isola del Podestà”, ed avrebbe riferito sulla presenza di una strana vegetazione di color verde-azzurro e di grandi uccelli che volteggiavano “come in una danza”. L’isola fu dunque indicata su molte carte geografiche dei decenni successivi, ma nessun altro la ritrovò più, finchè nel 1935 non si decise di toglierla dalle mappe. A quel punto, anzi, venne il dubbio su Hereward Carrington: autore inglese molto famoso a cavallo tra XIX e XX secolo. Da giornalista divenne un pioniere degli studi su parapsicologia e medicine alternative. Diffuse lui quelle notizie sul capitano Pinocchio; oggi è generalmente considerato un anticipatore dell’alluvione di fake news.
Come epoca, l’isola di Pinocchio si trova all’estremo limite temporale di una storia plurimillenaria che poco dopo produce le due opere simbolo con cui Musarra inizia e chiude il suo libro. Nel 1902, in particolare, James Matthew Barrie inventa Peter Pan: il “bambino che non voleva crescere”, capace di volare e imbattibile spadaccino, che trascorre una interminabile infanzia vivendo avventure sulla mitica Isola che non c’è. Neverland: luogo dove guida i Bimbi Sperduti, interagendo con fate, pirati, sirene, nativi americani e occasionalmente bambini comuni provenienti dal mondo esterno. Nel 1913 Guido Gozzano scrive la poesia “La più bella”. ” Ma bella più di tutte l’Isola Non-Trovata: / quella che il Re di Spagna s’ebbe da suo cugino / il Re di Portogallo con firma suggellata / e bulla del Pontefice in gotico latino”. E allora ” L’Infante fece vela pel regno favoloso, / vide le fortunate: Iunonia, Gorgo, Hera / e il Mare di Sargasso e il Mare Tenebroso / quell’isola cercando… Ma l’isola non c’era”. E sì: “Invano le galee panciute a vele tonde, / le caravelle invano armarono la prora: / con pace del Pontefice l’isola si nasconde, / e Portogallo e Spagna la cercano tuttora”.
Sia “l’Isola che non c’è” che “l’Isola non trovata” sono state messe in musica: l’una da Edoardo Bennato nel 1980; l’altra da Francesco Guccini nel 1970. Inizio e fine di un decennio che era iniziato nella ricerca di una rivoluzione e si era concluso col riflusso. In esergo, Musarra mette proprio alcuni versi della canzone di Bennato: “E ti prendono in giro se continui a cercarla / ma non darti per vinto, perché / chi ci ha già rinunciato e ti ride alle spalle / forse è ancora più pazzo di te”. Poi, viene una citazione da “L’isola del giorno prima” di Umberto Eco: “Ma certo, padre Caspar glielo aveva ben detto, l’Isola che egli vedeva davanti a sé non era l’Isola di oggi, bensì quella di ieri. Al di là del meridiano c’era ancora il giorno prima!”. Inizia poi il racconto di come Barrie, dopo la passeggiata londinese in cui nel 1897 aveva conosciuto e iniziato a frequentare i cinque fratellini Llewelyn Davies e fatta amicizia con la madre, aveva poi trascorso assieme a loro l’estate del 1901 presso il Black Lake Cottage di Farnham, nel Surrey, organizzando giochi e avventure. Lo documenta un volumetto corredato di fotografie, stampato in due sole copie: “The Boy Castaways of Black Lake Island”. “Neverland sorgeva così: come isola selvaggia e misteriosa, abitata da pirati e pellirosse, coccodrilli e bestie feroci, situata vicino alle stelle della Via Lattea, raggiungibile allo spuntar del sole. Gli autori del celebre lungometraggio prodotto da Walt Disney, uscito nel 1953, avrebbero aggiunto un’indicazione ulteriore: quella ‘seconda stella a destra’ ripresa da Edoardo Bennato in una delle sue canzoni più apprezzate (di certo, non una ‘canzonetta’)”.
“Fa’ di te stesso un’isola”, è una famosa battuta di Gabriele D’Annunzio. E’ Robinson Crusoe che costruisce il modello di come una persona che ha perso tutto, facendo appello alla sua volontà, su un’isola solitaria può ripercorrere l’evoluzione della civiltà. Apologo sull’inizio della rivoluzione capitalista, che può portare alla Mompracem in cui il salgariano Sandokan si trincera in difesa della libertà. Ma la natura può poi mostrare l’inanità dello sforzo umano: come in quella “Isola misteriosa” in cui Jules Verne pone termine alla prima fase ottimista della sua opera, e inizia una seconda fase via via sempre più pessimista. Ma può essere una scienza impazzita ad aver bisogno della base rappresentata dall’“Isola del dottor Moreau”, dove il medico immaginato da Herbert George Wells trasforma animali in caricature di essere umani; o da quella dell’“Invenzione di Morel” di Adolfo Bioy Casares, che eternizza le copie dei viventi al costo di distruggere gli originali.
Ma le isole di cui si occupa Musarra rappresentano un filone particolare di questo ricco immaginario. Il libro è stato anche oggetto di una lezione per liceali che si è tenuta l’8 marzo presso la Casa del Diospero: sede di un centro studi che si occupa di Medioevo a Roccantica. Qui Musarra ha spiegato come, studiando i documenti sui viaggi in epoca medievale, a un certo punto abbia iniziato a chiedersi in che modo gli uomini immaginavano l’ambiente marittimo. Ed è qui che è saltato fuori prepotente il tema delle isole che venivano avvistate e poi perdute, e trasfigurate in miti.
Il primo capitolo, “Più in là”, ricorda come sono esistite davvero isole che emergono e poi sprofondano. Un esempio su tutti: quella isola Ferdinandea che nel canale di Sicilia, a 16 miglia nautiche dalla costa di Sciacca, salì in superficie fra il giugno e il luglio del 1831 a seguito di un’eruzione sottomarina, fu battezzata in onore di Ferdinando II di Borbone, e tornò sott’acqua nel dicembre successivo. Evitando così che, per contendersela, arrivassero a spararsi Impero britannico, Francia e Regno delle due Sicilie.
Il secondo capitolo ricorda le isole Fortunate. Favoleggiate dagli antichi e citate appunto da Gozzano, furono infine identificate nelle Canarie, e annesse dalla Spagna proprio subito prima della scoperta dell’America, facendo anche da banco di prova per le successive imprese dei conquistadores. Le Canarie sono state proposte anche come terra raggiunta dall’irlandese San Brandano, nella navigazione che fece con un gruppo di 60 monaci sull’Atlantico nel VI secolo, e che fu poi raccontata in un’opera in prosa latina del X secolo. Potrebbe anche essere arrivato nelle Faroe, in Islanda, in Groenlandia o in America, ma la sua epopea è trasfigurata nella ricerca di una Isola dei Beati e negli incontri con pecore giganti, mostri marini, addirittura diavoli. Con l’Odissea, è una chiara base del “folle volo” dell’Ulisse dantesco, affondato e sprofondato all’Inferno non appena avvista la montagna del Purgatorio.
Nel quarto capitolo si parla dell’Ultima Thule, che probabilmente era la Scandinavia, è che è rimasta come metafora di ultima posizione da raggiungere, o da tenere. Nel quinto capitolo si ricorda come dal XIII secolo si inizia ad andare “Oltre le Colonne d’Ercole”: sia perché comunque rimbalza l’eco dei viaggi dei vichinghi fino al Nord America; sia per la ricaduta della globalizzazione innescata con le conquiste mongole, da cui i racconti di Marco Polo sulle isole dell’estremo oriente. Nel sesto capitolo, sugli “Spazi insulari”, il mito delle Colonne d’Ercole si rovescia dunque in quello dell’Ulisse dantesco, che prepara il viaggio di Cristoforo Colombo. Paradossalmente, contribuiscono però alla sete di scoperte anche le fake news di John Mandeville, il cui resoconto inizia a circolare tra 1356 e 1366. Secondo lui, riassume Musarra, “Necumera è popolata da creature canine con teste umane. Al centro di Ceylon c’è una montagna su cui si trova un enorme lago formato dalle lacrime di Adamo ed Eva; il suo fondo è cosparso di pietre preziose. Nell’isola di Dondun, i parenti si sbranano tra loro, mentre nelle isole vicine vivono ciclopi e individui senza testa o con la bocca a forma di ferro di cavallo; vi sono, inoltre, uomini con gli occhi e la bocca sulle spalle o con facce piatte senza naso né bocca; altri che si proteggono dal sole con il labbro superiore; nani senza bocca; persone con orecchie che arrivano fino alle ginocchia; individui velocissimi con piedi da cavallo; creature quadrùmane ricoperte di piume; ermafroditi. Esistono, inoltre, isole abitate da donne che al posto degli occhi hanno pietre preziose; ma bisogna fare attenzione: il loro sguardo, se irato, è letale. In altre si celebra la morte e si accoglie la nascita con il lutto. Altre ancora sono abitate da giganti alti quaranta o cinquanta piedi o popolate da camaleonti: animali simili a capre ma selvatici, che sopravvivono solo con l’aria senza mai mangiare né bere”. E via inventando.
I genovesi Ugolino e Vadino Vivaldi nel 1291 partirono per le coste atlantiche dell’Africa, ma non fecero più ritorno. Ci sono prove che probabilmente riuscirono ad arrivare fino all’Etiopia, ma lì furono bloccati. La loro storia è un altro input dell’Ulisse dantesco, ma inizia anche il “Disincanto del mondo”: tema del settimo capitolo. L’ottavo capitolo è sul “Romanzo delle Canarie”, ispirato alla conquista. Nel nono arriviamo ormai alle Isole di Colombo: 1.400, secondo una lettera di papa Alessandro VI; 1.700, stando invece a un messaggio inviato ai reali iberici. Numeri, questi, peraltro assai inferiori rispetto a quelli contemplati per l’Oceano indiano da Marco Polo – ben 12.700 – o dal domenicano Guglielmo Adam – 20.000.
Finito il Medioevo, il modo in cui leggenda e realtà si congiungono è indicato ad esempio nel capitolo decimo su “Antilia o l’isola delle Sette Città”: terra immaginaria il cui nome finirà però alle Antille. Anche l’Hy-Brazil del capitolo undici è una terra immaginaria, il cui nome finirà però al Brasile. Nel XV secolo nasce così il genere letterario dell’isolario, tema del capitolo dodici. “Tipici prodotti del sapere umanistico”, spiega Musarra, “tali testi affondavano le proprie radici nel profondo: dai peripli dell’antichità classica alle descrizioni della geografia araba ai portolani due-trecenteschi. A prima vista, potremmo legarli all’enciclopedismo bassomedievale, che aveva prodotto cataloghi simili: bestiarii, erbarii, lapidarii. La differenza stava nell’assenza di valori simbolici”. Siamo di fronte, infatti, a qualcosa di nuovo, espressione d’una cultura differente! Ma “l’enciclopedismo di cui tali testi sono ammantati, figlio d’una volontà classificatoria di carattere – per così dire – ‘scientifico’”, non elimina affatto “il fascino delle isole come luogo ‘altro’, fuori dal tempo e dallo spazio, avulso dalle leggi continentali. Il meraviglioso e lo straordinario perdurano, informando di sé il sapere rinascimentale”, anche se alcuni elementi iniziano a essere catalogati come esplicitamente fantastici, mostrando il livello di consapevolezza raggiunto.
Pian piano le isole immaginarie scompaiono dalle mappe, anche se abbiamo visto quella di capitan Pinocchio sopravvivere fino al XX secolo inoltrato. Ma l’isola a questo punto con Tommaso Moro è già diventata il simbolo di una Utopia, che può diventare Distopia. Dall’altra isola ideale di Tommaso Campanella, alle varie che invece servono a Jonathan Swift per tratteggiare la sua feroce satira, anche se poi l’isola dei nani Lilliput e quella dei giganti Brobdingnag e quella degli scienziati Laputa verranno trasfigurate in favola per bambini. Estrema propaggine del “regno favoloso” di Gozzano, Musarra esplora anche come tutto ciò finisca nelle storie di Paperone, Zagor, Tex, Martin Mystère, Indiana Jones. Ma alla fine, siano esse semplici scogli, atolli, ampi agglomerati, veri e propri continenti, la vicenda delle isole e del loro ritrovamento resta legata al desiderio, utopico e mai sopito, di vedere mutata in realtà la sostanza dei propri sogni.
Tornando alla partenza del libro e a Peter Pan, si osserva come “ciò che Barrie avrebbe lasciato, se si esclude l’idea d’un’eterna, utopica (e, forse, inumana) età dell’innocenza, capace di preservare dalle storture del mondo, non sarebbe stato che il sogno – o, se si vuole, l’illusione – del luogo isolato e circoscritto, irreale ma concreto: d’un mondo ‘altro’, insomma, in cui l’impossibile diventava praticabile. D’un ‘Altrove’ definito ma lontano, fuori dello spazio e del tempo – dunque, rassicurante ma sufficientemente immaginifico –, in cui collocare ogni parto della fantasia”. Tre anni dopo quel “Burattino senza fili” in cui Bennato aveva ripercorso Pinocchio per demolire l’Italia borghese e democristiana, in “Solo sono canzonette” Peter Pan era invece servito per demolire l’altra Italia delle varie sinistre: quella ufficiale del Pci, a cui rifiutava il concerto alla Festa dell’Unità; ma anche quelle alternative, e più inquietanti, di brigatisti e autonomi, adombrati dai sordidi pirati di Capitan Uncino. Ma “L’isola che non c’è”, echeggiante “Imagine” di John Lennon, voleva continuare a difendere il bisogno di Utopia, anche contro chi lo aveva screditato.
“A maggior ragione”, il libro si chiude appunto con “l’isola di cui non rimane traccia alcuna, quella di Guido Gozzano, quella di Francesco Guccini (ma anche quella di San Brandano…): luogo onirico per eccellenza, che non si palesa a re, principi e imperatori ma al povero pescatore delle Canarie, giacché l’isola esiste. Appare talora di lontano tra Teneriffe e Palma, soffusa di mistero: ‘… l’Isola Non-Trovata!’”. “Il buon Canarïano / dal Picco alto di Teyde l’addita al forestiero. / La segnano le carte antiche dei corsari. / …Hifola da - trovarfi? …Hifola pellegrina?… / E’ l’isola fatata che scivola sui mari; / talora i naviganti la vedono vicina… / Radono con le prore quella beata riva: / tra fiori mai veduti svettano palme somme, / odora la divina foresta spessa e viva, / lacrima il cardamomo, trasudano le gomme… / S’annuncia col profumo, come una cortigiana, / l’Isola Non-Trovata… Ma, se il pilota avanza, / rapida si dilegua come parvenza vana, / si tinge dell’azzurro color di lontananza…”.
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