L'analisi
Prima di parlare della sua crisi, servirebbe capire che cos'è il liberalismo
Una parola che può assumere diversi significati, anche molto distanti fra loro, fino a indicare una cosa diversa: una cronostoria e qualche lezione dal passato utile per capire il presente
Un pensiero ricorrente, un basso continuo del mondo occidentale, è dato dal ritenere il pensiero liberale in profonda crisi. Secondo molti, il liberalismo è una piaga, un male che va estirpato perché causa guerre, miseria economica, degradazione morale, magari anche carestie. Che sia paleo o neo, il liberalismo è insomma un’orrenda creatura che distrugge il mondo. Ma che cos’è il liberalismo?
Una parola può assumere diversi significati, anche molto distanti dalle accezioni passate, fino a indicare una cosa diversa. Un grande pensatore liberale come Alexis de Tocqueville scrisse che “chi cerca nella libertà altra cosa che la libertà stessa è fatto per servire”. Questa era più o meno l’idea ottocentesca di libertà: non usare coercizione contro il prossimo, lasciare a ciascuno la libertà responsabile di fare, dati i vincoli giuridici esistenti. L’individualismo tipicamente liberale, insomma, presuppone che ogni persona sia irriducibile rispetto alle altre, “ciascuna delle quali deve costruire la propria felicità e il proprio benessere con le proprie forze”, secondo il costituzionalista inglese Albert Dicey. Poi, però, qualcosa si è rotto. Un pensiero antitetico, quello collettivistico, ha iniziato a fine Ottocento a insidiare il liberalismo fino a trasformarne in parte il contenuto. Lo stato è divenuto un po’ il padre-padrone dell’individuo e il paternalismo la vera matrice del “nuovo liberalismo”.
Finché la persona cercava di agire pacificamente da sé, con la cooperazione altrui, e per sé tutto poteva andare. Ma quando si è iniziato a chiedere al potere (politico) questo o quel diritto, questo o quel favore, questa o quella prebenda, ecco che lì sono iniziati i problemi veri. La via verso qualcosa di diverso esplose in maniera eclatante: La via della schiavitù, come da titolo di un importante volume di Friedrich von Hayek (1899-1992) pubblicato nel 1944, non poteva che esserne l’esito. Il pensatore austriaco si accorse che, persino in Inghilterra, la patria del liberalismo, il concetto stava cambiando.
L’appoggio popolare per un sempre più capillare controllo governativo sulle vite degli individui ne era la testimonianza. A furia di richiedere l’intervento del Leviatano per qualsiasi cosa si creano le condizioni perché poco a poco la libertà lasci lo spazio a una forma di servitù: nuove regole, regolamenti, imposizioni fiscali, divieti restringono il campo del fare e così muore il principio liberale di non coercizione. Un conto è stabilire le regole del gioco, altro è prescrivere comportamenti da tenere: il primo campo è liberale, il secondo social-collettivistico.
Nello stesso anno, un altro austriaco e maestro (indiretto) di Hayek, Ludwig von Mises (1881-1973), pubblicò un volume, significativo sin dal titolo, "Lo stato onnipotente (nello stesso anno", Mises fu autore di un’altra e complementare opera, Burocrazia). L’evento cruciale della storia degli uomini tra Otto e Novecento, notava l’austriaco, è stata la sostituzione del liberalismo con lo statalismo. Quello che si è verificato è stata una vera e propria deificazione del dispositivo statale. Mentre liberalismo significa individualismo, cooperazione, libertà, statalismo significa collettivismo (nazionalistico), coercizione, dispotismo. Il primo, come abbiamo visto sia con Hayek che con Mises, presuppone il libero tentativo di perseguire pacificamente i propri piani; il secondo implica il tentativo (violento) di imporre agli altri il proprio piano.
L’autentico liberalismo, scriveva Hayek, anela alla “libertà dal potere arbitrario di altri uomini”. Quello nuovo, invece, punta ad altro, l’organizzazione della via stessa, la pianificazione (collettiva) della libertà su scala nazionale. Uno spiacevole ircocervo che si dimostra per quel che è davvero: conflitto belluino e militarismo fra stati. Forse è in crisi il liberalismo perché mancano uomini liberi: individui che cerchino nella libertà nulla più di quello che essa può dare, e non invece potere, diritti, privilegi o altro.