Attenti al porco
Revisione del processo per Harvey Weinstein (che resta in carcere). Duro colpo al #MeToo
Una delle condanne al produttore annullata dal tribunale di New York. E nel frattempo, il cinema italiano orfano dei tagli ai finanziamenti pubblici potrebbe rendersi una sorta di paradiso garantista. Il caso Kevin Spacey
Un tribunale di New York ha annullato ieri una delle condanne di Harvey Weinstein per violenze sessuali, ordinando la revisione del processo per l’ex tycoon sprofondato agli inferi col movimento #MeToo. Forse qui eravamo tutti presi dal 25 aprile, tra fascismo e antifascismo, sui social si fa una certa confusione. Uno scrive che Trump rischia cento anni di galera mentre Weinstein si è visto cancellare la condanna. “Puoi farla franca sempre a New York a meno di chiamarti Trump”. Un altro sostiene che “pensavate davvero che il sionista Weinstein si facesse davvero la galera?”. In realtà il settantaduenne sporcaccione sta già scontando un’altra condanna a 16 anni relativa ad altre molestie. Ora ci sarà la revisione di quest’altro processo ma lui rimane dentro. Il vizio di forma contestato ieri consiste nel fatto che nel processo del 2020 sono state sentite come testimoni delle donne le cui accuse non c’entravano col caso in questione ed erano quindi inammissibili. Il verdetto del 2020 era stato considerato una vittoria epocale per il Metoo. Gruppi come l’organizzazione Times Up lo avevano descritto come un “momento storico” per i diritti delle donne. L’allora procuratore distrettuale di Manhattan sostenne che “ha voltato pagina nel nostro sistema di giustizia su uomini come Harvey Weinstein”. C’erano stati poi articoli celebri come quelli di Ronan Farrow sul New Yorker e accusatrici come Asia Argento. Il processo di sei settimane – culminato poco prima che scattasse il lockdown in America – aveva fatto epoca e le accuse si basavano su due presunti episodi: lo stupro di Jessica Mann, un’aspirante attrice, nel 2013, e il costringimento al sesso orale di Miriam Haley, assistente di produzione, nel 2006.
Anche nel 2020 comunque Weinstein era stato assolto dalle accuse più gravi contro di lui: aggressione sessuale predatoria e stupro di primo grado. Tre testimonianze poi che erano rimaste anonime l’avevano accusato di altre molestie, ma adesso con questa sentenza si stabilisce che non erano ammissibili. La notizia di ieri è il secondo maggiore colpo inferto al #MeToo in poco più di due anni, dopo che la Corte suprema della Pennsylvania aveva ribaltato nel ’21 una condanna a Bill Cosby, il famoso attore nero e gran molestatore, che è stato così (lui sì) scarcerato. Gridano vittoria i negazionisti del movimento che era nato nel ’17 in California e che sembrava destinato a cambiare per sempre il mondo del cinema. Si scoprirono un sacco di sporcaccioni, arrivarono gli “intimacy coordinator”, guardie della virtù a impedire che gli attori si prendessero troppa confidenza con le attrici (o anche con altri attori, come nel caso di Kevin Spacey). In Italia questo fenomeno non ha mai molto preso piede. Ogni tanto qualche sparuta denuncia, come quella a Fausto Brizzi, subito archiviata e con tante scuse (al presunto colpevole), unico caso in cui in Italia la giustizia è veloce e garantista. Anche il regista canadese Paul Haggis (quello di “Crash”) era stato accusato di stupro, addirittura dalla procura di Brindisi, ma poi è stato prontamente scagionato. Roman Polanski, bandito dal consesso globale per uno stupro ormai antico, ha girato il suo ultimo film in Svizzera grazie a una cordata di dame milanesi-napoletane. E lo stesso Spacey è protagonista di un film prodotto dalla ex pornostar Eva Henger e dal marito, tale Massimiliano Caroletti, in una pellicola dal titolo “The Contract”, girata a Roma. “L’ho contattato ad aprile quando ancora stava risolvendo i problemi legali noti a tutti. Gli abbiamo inviato la sceneggiatura. E’ stato molto riconoscente perché è tornato a fare il protagonista dopo tutto quello che era successo”, ha detto Caroletti.
Insomma il #MeToo globale potrebbe favorire il cinema nostrano orfano dei tagli ai finanziamenti pubblici, rendendoci un paradiso garantista per reati di letto (contrariamente ad altri filoni in cui tempi e modi della giustizia italiana sono un forte deterrente per gli stranieri). Cinecittà potrebbe tornare a essere un po’ Hollywood sul Tevere (e un po’ Porto delle nebbie, vabbè).
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