Il messaggio
Troppi tendono a piegare il 25 aprile a obiettivi politici del tutto diversi
Lettera allo storico Alessandro Barbero, riguardo al suo videomessaggio incompleto pubblicato in occasione della Festa della Liberazione: alla fine, volendo dimostrare troppo, si è finito per non dimostrare quasi niente. Un'analisi
Egregio professor Barbero, nel videomessaggio da lei postato per il 25 aprile rivolge una domanda a chi non lo vuole celebrare. Lei ricorda essere il 25 aprile la festa insieme della Liberazione e della fine della guerra, con la partecipazione del movimento partigiano che in questo modo ha restituito onore all’Italia, che quella guerra aveva cominciato dalla parte sbagliata. La sua domanda suona letteralmente così: “A chi non vuole dirsi antifascisti e celebrare il 25 aprile mi piacerebbe chiedere se avrebbe preferito che quella guerra gli americani la perdessero, che vincesse Hitler, che vincessero le SS e non i partigiani. Ma allora, me lo dica in faccia”.
Caro professore, converrà con me che questo suo messaggio così apparentemente efficace in realtà presenta una fallacia logica. Volendo dimostrare troppo, finisce per non dimostrare quasi niente. Siccome non credo che ci sia in Italia nessuno sano di mente che potrebbe sostenere che sarebbe stato meglio che quella guerra la vincessero i nazisti, dovremmo dedurre che di fascisti o nostalgici del fascismo in Italia non ce ne sono più. Che mi pare il contrario di quel che lei cercherebbe di dimostrare con il suo messaggio. Il che mi fa pensare – e credo che lei sarebbe completamente d’accordo – che in realtà le cose intorno a questa eterna discussione sulla nostalgia del fascismo, ma soprattutto sui caratteri dell’antifascismo e il significato del 25 aprile, siano un po’ più complicate di così.
Mi consenta di fare un passo di lato. Mentre cerco di svolgere il compito quotidiano che il medico mi ha assegnato, i famosi 10.000 passi al giorno a cui noi settantenni siamo obbligatoriamente tenuti, spesso i suoi podcast, le registrazioni delle conferenze che lei tiene in giro per l’Italia, mi tengono compagnia. Cammino e approfitto del suo entusiasmo, con cui rende la storia di ogni epoca avvincente, per imparare molte cose di periodi storici che avevo abbandonato da molto tempo, finiti liceo e università. E di questo la ringrazio. Fra i tanti che ho ascoltato vorrei citane uno che certamente lei ricorderà. Si tratta di una conferenza tenuta a Dalmine, su invito della locale sezione dell’Anpi, su “Fascismo e comunismo, una scorretta equiparazione”. In questa conferenza lei sostiene fondamentalmente due cose. In primo luogo che questa comparazione, argomento usato da alcuni di quelli che polemizzano con il 25 aprile, è scorretta. Perché, riassumo spero fedelmente, mentre fascismo e nazismo sono fenomeni storici localizzati nel tempo e nello spazio, il fascismo in Italia, il nazismo in Germania, con qualche propaggine minore, il movimento comunista ha una storia bene più lunga e variegata. Il “Manifesto del Partito comunista” è del 1848, e ancor oggi vi sono partiti “comunisti”. Il Manifesto ha avuto una diffusione mondiale, in forme fra loro molto diverse, e anche in Italia abbiamo avuto un Partito comunista che ha contribuito a grande parte della storia nazionale. Però poi lei ha esposto un secondo argomento rilevante. Vale a dire che laddove il Partito comunista è andato al potere, Russia prima di tutto, ma anche Cina, ha assunto la stessa forma totalitaria delle esperienze di governo fasciste. Vale a dire l’identificazione fra stato e partito, la cancellazione di ogni forma di rappresentanza democratica e di potere di controllo, la repressione con la violenza e l’omicidio di milioni di avversari politici. Che insomma, sintetizzo un po’ bruscamente, fra Stalin, Hitler e Mussolini grandi differenze nei comportamenti, ma soprattutto nella concezione del partito e dello stato e nello stesso odio per la democrazia non ce ne fossero.
Guardi che non mi sfuggono le differenze soprattutto fra la politica espansionista di Hitler, vera causa della Seconda guerra mondiale, e la politica di Stalin. Che per la verità con gli ucraini prima e con i paesi al di là della Cortina di ferro dopo non ci andò poi tanto piano. Ma torniamo a noi e al suo messaggio. Il 25 aprile, lei lo ricorda, celebra una vittoria che è insieme degli eserciti alleati, prima di tutto quello americano, di una parte dell’esercito italiano, delle varie anime della Resistenza italiana: comunisti, socialisti, cattolici, liberali, azionisti, monarchici. Che dettero vita, per la parte italiana, al Cln e al primo governo antifascista e di unità nazionale. Solo che qui cominciano subito i problemi. Perché una parte di questo schieramento comincia a tifare per Stalin e a considerare gli americani non più un alleato ma un nemico. Quindi tornando alla sua conferenza di Dalmine tifavano, mentre manifestavano per la libertà, per uno stato totalitario. “Noi faremo come la Russia”. Ora è vero che Togliatti con la sua “doppiezza” nel frattempo elaborava anche la via italiana al socialismo, con l’accettazione della democrazia parlamentare e della Carta costituzionale, e credo non gli sia mai passato per la testa di “fare come la Russia”, ma converrà con me che la politica e gli schieramenti internazionali non sono cosa da poco e definiscono buona parte dell’identità e della legittimità democratica di una forza politica. Il famoso fattore K. Ci volle il Berlinguer dell’intervista a Pansa per sbloccare la situazione molti decenni dopo.
Che c’entra questo con il 25 aprile? C’entra molto, perché vede, caro professore, antifascismo è parola che comprende anche oggi troppe cose fra loro molto diverse e persino opposte. Alle mie manifestazioni del 25 aprile, molti anni fa a Milano, pezzi del corteo sfilavano inneggiando a Stalin, Beria e alla Gpu, che lei ben sa cosa fosse. A noi, militanti del Pci che ci presentavamo con poche bandiere rosse e tante tricolori, che non ho più visto recentemente, toccava evitare che le sparute pattuglie di democristiani presenti fossero espulsi con la violenza dal corteo a opera dei sostenitori di Stalin e di Mao. Se una rappresentanza dell’esercito americano che lei ricorda come fondamentale nel suo messaggio si fosse presentata da quelle parti per festeggiare insieme a noi quella vittoria del 25 aprile, non oso immaginare cosa sarebbe successo. Ed è quello che succede ogni 25 aprile con pezzi della manifestazione che invece di celebrare la vittoria e la libertà se la prendono con chi a quel corteo partecipa legittimamente. D’altra parte mi pare che oggi il principale organizzatore della manifestazione, l’Anpi, poco rappresenti, e certamente non quell’unità nazionale che dovrebbe celebrarsi in quella data. Anzi, proprio il contrario, essendo caso mai espressione di settarismo.
Ci sono quindi, caro professore, molti e diversi antifascismi che rendono, temo, il 25 aprile una festa molto controversa. E ugualmente credo ci siano posizione molti diverse fra quelli che il 25 aprile non lo amano sopra ogni cosa. Certamente fra di loro anche una sparutissima minoranza di nostalgici, certamente ben pochi di quelli che preferirebbero che i nazisti avessero vinto la guerra, molti – credo – che condividono le parole nette pronunciate da Fini in più occasioni e magari anche da Violante nel suo tentativo di riconciliazione, ma non colgono nel 25 aprile quell’afflato unitario e nazionale che lei ricorda come fondante, ma piuttosto il tentativo di piegare quella manifestazione a obbiettivi politici del tutto diversi. Fra di loro purtroppo anche molti di quelli che pensano che la soluzione sia una Palestina dal fiume al mare con la cancellazione di Israele, che gli ucraini farebbero bene a cedere un po’ di territorio a un dittatore, che l’ Italia dovrebbe rinnegare le sue alleanze internazionali, e persino qualcuno che ritiene che forse sarebbe stato meglio se la guerra, quella fredda, l’avesse vinta Stalin. Come vede la strada per fare del 25 aprile una festa che celebri veramente l’unità nazionale è molto molto complicata. Forse dovremmo accontentarci, e non è poco, delle sagge parole del nostro Presidente.
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