dimenticanze
Stiamo vivendo la crisi mondiale dell'attenzione
Crisi della creatività? Macché, il problema è che siamo smemorati e distratti
Chissà se per estrema scaltrezza e conoscenza dei meccanismi di diffusione o per sincera scemità commerciale tardocapitalista, Tim Cook, patron di Apple, due giorni fa pubblica la nuova pubblicità dell’iPad.
Che sventatezza. Nella pubblicità compare una specie di sgabuzzino anni 90 con tutti gli aggeggi più belli del secolo scorso, le merendine del mulino bianco: il videogioco da bar, un pianoforte, vernici per colorare i fogli, giocattoli storici, tutti i riferimenti di un’éra.
Mentre li osservi e conti le madeleine, la pubblicità prosegue e una grossa pressa meccanica schiaccia tutto. Distrugge i poetici oggetti della memoria e resta una pizzetta, il tablet pro, appunto. Il diamante che bisogna vendere. Un tablet sottilissimo che quindi – si capisce – farà tutto: disegni, musica, videogame. L’accalappiatore del tuo tempo libero da domani in poi, come sei fortunato, consumatore!
La replica sui social ormai è scontata come il martellino dei riflessi sul ginocchio, perfino Hugh Grant, che è il più intelligente degli attori, ha dovuto chiosare “the destruction of the human experience, courtesy of Silicon Valley” . Abbocchiamo sempre. Ed è sempre la stessa litania: Cosa ci stanno facendo. La creatività è morta, l’inventiva è morta, la manualità è morta, l’esperienza umana è morta. L’ecatombe del piccolo artista che si nasconde nel cuore di tutti.
A me non preoccupano né l’arte, né la creatività. Non mi preoccupa nemmeno la fine delle relazioni, del sesso, della maternità. Non mi preoccupa la fine della bella scrittura. Tutte le mie ansie finiscono in un punto preciso: l’attenzione in una sua branca specifica, la memoria.
Io avevo una memoria di ferro. Era spaventosamente di ferro. Certi l’ammiravano, altri si atterrivano. I dettagli, i nomi, le cose, quello che s’era mangiato al ristorante sette mesi prima, quella via di quel negozio di Parigi, le parole per dirsi addio del primo amore, le parole per dirsi addio del secondo. Non era una questione di gioventù ma di impressione: più qualcosa importa, più tende a imprimersi. Mi importava tutto.
E ora devo segnare le cose in agenda e ricordarmi di aprire l’agenda. Un poco timorosa di avere ottant’anni anzi tempo, chiedo agli amici, ai colleghi, ai conoscenti: Ma pure tu, per caso? Pure io.
Languishing, brain fog, burn out, grandi dimissioni, desiderio di anno sabbatico, ansia. Siccome ai malesseri serve un nome ci siamo diagnosticati vari problemi dello spirito e invece la faccenda è una sola e probabilmente chimica. Non è più l’inferno che creiamo stando insieme ma un piccolo gorgo privato fatto di me e te, da soli, con lo smartphone in mano. Lavoro-notifica-controllo notifica-sforzo di concentrazione-ritorno alla realtà. E così per mille volte al giorno. Che possibilità abbiamo di salvarci? Ignorare le notifiche inutili? E come faccio a sapere quali sono, le notifiche inutili, se non le apro? Nessuno si ricorda più niente. Perché nessuno riesce più a stare attento. Sul New Yorker l’hanno chiamata La battaglia per l’attenzione. L’anno scorso, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico ha segnalato un enorme calo nei risultati (lettura, matematica e scienze) tra i quindicenni, un terzo dei quali ha indicato come motivazione la distrazione digitale.
Le manifestazioni cliniche dei problemi di attenzione sono aumentate (le diagnosi di ADHD tra il 2010 e il 2022 sono triplicate, con l’aumento più marcato tra i bambini sotto i 10 anni) e gli studenti universitari hanno sempre più difficoltà a leggere i libri di testo, secondo i loro insegnanti. Il ritmo dei film è accelerato, con una diminuzione della durata media; nella musica, la durata delle canzoni pop più ascoltate è diminuita di oltre un minuto tra il 1990 e il 2020. Uno studio condotto nel 2004 dalla psicologa Gloria Mark ha rilevato che i partecipanti hanno mantenuto la loro attenzione su un unico schermo per un tempo totale fino a due minuti. Oggi le persone possono stare attente su uno schermo per una media di soli quarantasette secondi.
“L’attenzione come categoria non è così importante per i più giovani”, raccontava Jac Mullen, scrittore e insegnante di scuola superiore a New Haven. Una crisi mondiale di attenzione, potremmo concludere. Qui volevo arrivare. Perché è una crisi di tipo particolare, del tipo che non dà allarme per sé stessa, quanto per le conseguenze a lungo termine a raggio totale. Una crisi che anticipa altre crisi. Le più immediate (fatta eccezione per la scuola, che è prima per gravità del guaio) le stiamo vedendo dove più l’attenzione è richiesta e fa moneta. I media. I libri, le serie, i film. Cosa serve per avere un poco di attenzione adesso? Bisogna esagerare: il morto (che dev’esser morto di morte violenta), lo stupro, il pettegolezzo fortissimo, la malattia di mente. Che begli assi da calare per l’industria culturale.
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