(foto Ansa)

in america

Una geografia degli attivisti anti Israele ci ricorda che vuol dire trasformare gli ebrei in capri espiatori

Daniela Santus

L'odio nei confronti degli ebrei nelle società occidentali si spiega anche con l'ignoranza dei popoli. I casi di follie come quella dei “Fatties for a free Palestine” (grassottelli per una Palestina libera) o degli “Animal Rights Activists for a free Palestine”

Sono sempre stata convinta del fatto che la “questione palestinese” fosse una tematica complessa, la cui soluzione merita il coinvolgimento e la collaborazione di più parti e non soltanto di quelle che si affrontano da decenni a suon di terrorismo (dell’OLP prima e di Hamas e tutte le sigle della Fratellanza Musulmana dopo), propaganda, opposti estremismi che si alimentano a vicenda e vanno, nella narrazione dei media, a delegittimare persino quella difesa che è assolutamente legittima quando si minaccia la vita dei cittadini di uno stato (Israele) o la sua stessa esistenza. Tuttavia è chiaro che qualcosa è precipitato. C’è chi sta approfittando dell’evidente accresciuta ignoranza per soffiare sulle braci dell’antisemitismo latente sino a far divampare l’incendio.

 

Che si stia regredendo a livello intellettivo risulta chiaro da diverse ricerche, basti pensare all’indagine Perils of Perception di IPSOS Mori che, già nel 2017, aveva messo in evidenza come l’Italia fosse dodicesima al mondo e prima in Europa nella classifica dell’ignoranza dei popoli. Si trattava di una ricerca particolarmente interessante in quanto era basata proprio sull’analisi della distorta percezione della realtà che ci circonda, oltre che sui livelli di scolarizzazione. Purtroppo nulla si è fatto per migliorare la situazione, che è andata via via degenerando anche in altri Paesi. E, alla luce di quanto stiamo assistendo oggi – con gli accampamenti nelle Università e i Rettori che offrono spazi a narrazioni univoche e palesemente distorte – pare chiaro che gli odiatori d’Israele e, più in generale, del popolo ebraico, abbiano pensato di approfittare della situazione. Diversamente non si spiegherebbero le ultime follie come quella dei “Fatties for a free Palestine” (grassottelli per una Palestina libera) o degli “Animal Rights Activists for a free Palestine” (Attivisti dei diritti animali per una libera Palestina).  I “Fatties” sono capeggiati dall’attivista queer “palestinese-americana” Hannah Moushabeck che vomita il suo odio contro Israele sui social e nei cortei delle strade americane. Probabilmente è consapevole che, come queer, avrebbe vita breve nella Striscia di Gaza dove l’omosessualità e il gender fluid è reato. Un altro gruppo interessante è quello degli “Attivisti dei diritti animali per una libera Palestina”. A prima vista si potrebbe ipotizzare si tratti di animalisti che sono rimasti turbati dall’immagine dell’uccisione di un cane festoso all’arrivo dei terroristi nel kibbutz il 7 ottobre. O anche di animalisti che si preoccupano per il fatto che alcune scuole della giurisprudenza islamica considerano i cani come impuri. Invece i nostri Attivisti sferrano battaglie contro Israele e affermano convinti che Israele usi il veganismo per giustificare l’oppressione palestinese. “Non commettere errori: Israele sta usando il veganismo come una facciata per giustificare il programma di terrore dei suoi militari, sorvolare sull’occupazione della Palestina e appropriarsi della cultura e delle tradizioni regionali che precedono Israele di centinaia se non migliaia di anni”.

 

È chiaro che l'errore lo abbiano commesso loro, ritenendo che i palestinesi fossero insediati nell'area prima  degli israeliti e già avessero delle regole alimentari che prevedevano l'astensione da alcuni tipi di carni. Di fatto, come testimoniano gli scavi archeologi di Finkelstein, già durante l'età del ferro e almeno mezzo millennio prima della composizione del testo biblico, gli israeliti avevano scelto di non mangiare maiale, tanto che non sono state rinvenute ossa di maiale nell'area dell'antico Israele. L’islam nascerà duemila anni più tardi. Si tratta solo di ignoranza?  

 

Un’ulteriore riflessione è necessaria perché questi gruppi – per certo composti da persone di scarso spessore intellettuale – hanno in realtà perfettamente senso se visti nella logica dei movimenti identitari basati sulla categoria oppressore/oppresso e sulla demolizione delle strutture di potere. Pertanto, chi muove i fili sa bene come adoperare a suo favore la propaganda, tanto da vendere il conflitto tra Israele e le fazioni palestinesi come l’archetipo di tutte le lotte di liberazione. E’ infatti del tutto plausibile che i burattinai (gli ayatollah? Mosca?) si servano – per destabilizzare l’Occidente – dell’antisemitismo latente nella nostra cultura che, da sempre, ha utilizzato gli ebrei quali capri espiatori su cui proiettare il male percepito. Difficilmente si potrà smontare questa narrazione se non con un impegno a tutto tondo. Non è più sufficiente parlare di Shoah: è necessario comprendere come sia stato possibile riuscire a trasformare alcuni gruppi di attivisti per i diritti umani o animali in megafoni di odio contro se stessi. Tuttavia in questo caso la storia o l’archeologia o la geografia non potranno venirci in aiuto, la competenza è psichiatrica. E’ necessario giungere a capire i meccanismi della mente per poter porre rimedio all’odio verso se stessi, prima ancora che verso Israele. 

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