Foto via Getty Images

Rapporti alla mano /10

La società civile ai raggi X

Sabino Cassese

Più è viva e attiva e meglio sta la democrazia. E le istituzioni non profit sono l'unità di misura della sua vitalità. Gli italiani impegnati nel volontariato sono otto volte di più degli iscritti ai partiti. I numeri dell’Istat

Tutti gli studi sulla democrazia, da Tocqueville in poi, concordano nell’osservazione che uno dei prerequisiti del successo della democrazia sia una società civile viva, attiva, che fa sentire la propria voce. Dal popolo stesso dipende, in ultima istanza, se il popolo conta. Lo stato di salute della democrazia dipende innanzitutto dalla società civile. Ma misurare la vitalità della società civile è difficile. Di solito si adopera il criterio dell’affluenza alle urne, della partecipazione politica attiva. Sulla base di questo indicatore, l’Italia non brilla. Aveva cominciato molto bene, con una partecipazione superiore al 90 per cento, poi attestatasi poco sopra il 70, ora scesa intorno al 60 per cento. In qualche caso, di recente, più della metà degli aventi diritto al voto non si è recata alle urne.

Il "terzo settore"

Vi sono, però, altri modi per misurare la vitalità della società civile, modi che non riguardano la politica dei partiti, bensì l’impegno civico. Si tratta di valutare il peso del "terzo settore", delle organizzazioni volontarie che non appartengono né al settore pubblico, né a quello economico e il cui ruolo è importante, tanto da spingere molti studiosi a distinguere nazioni dove domina la società civile, nazioni nelle quali domina lo stato, e nazioni dove prevalgono organizzazioni di tipo corporativo o di tipo economico. L’Istituto nazionale di statistica – Istat – ha pubblicato il 18 aprile scorso il "Censimento permanente delle istituzioni non profit al 2021" e su questo si può ora svolgere qualche riflessione.

 

 

Le istituzioni non profit sono in Italia poco più di 360 mila, con quasi 894 mila dipendenti. Di esse quasi 260 mila hanno volontari, che sono in numero di poco più di 4 milioni e 600 mila. Insomma, il settore non profit vede impegnati, tra dipendenti e volontari, circa 5 milioni e mezzo di persone. Questo è un primo indicatore di una società civile non apatica. Qualche comparazione può essere utile. Se si fa il paragone con gli iscritti ai partiti, si nota che le persone coinvolte nell’attività di volontariato sono oggi quasi 8 volte di più degli iscritti ai partiti. Se si compara il numero delle istituzioni non profit al livello del settore pubblico più diffuso, quello comunale, il numero delle istituzioni di volontariato è 45 volte maggiore di quello dell’ente territoriale più vicino ai cittadini. Solo il settore economico è più articolato, perché il numero delle imprese è 12 volte quello delle istituzioni non profit.

 

 

Ancor più significativo un paragone con un paese di lunga tradizione civica, come già notato da Tocqueville nel suo famoso viaggio del 1831 negli Stati Uniti, perché il numero delle istituzioni non profit in Italia oggi è leggermente superiore a quello americano, in proporzione alla popolazione.

Istituzione non profit: che cosa è e dov’è?

L’Istat definisce istituzione non profit una "unità giuridico-economica dotata o meno di personalità giuridica, di natura privata, che produce beni e servizi destinabili o non destinabili alla vendita e che, in base alle leggi vigenti o a proprie norme statutarie, non ha facoltà di distribuire, anche indirettamente, profitti o altri guadagni diversi dalla remunerazione del lavoro prestato ai soggetti che la hanno istituita o ai soci". Le istituzioni non profit sono dunque istituzioni sociali, né pubbliche, né economiche, né interamente politiche, perché non rappresentano orientamenti di partito o interessi economici. La loro forma giuridica è perlopiù quella dell’associazione, ma vi si trovano anche cooperative sociali, fondazioni e altre forme organizzative.
 

Le istituzioni non profit sono presenti in molti settori. Prevalgono numericamente quelle che riguardano la cultura e l’arte, lo sport, la ricreazione e la socializzazione, l’assistenza sociale e privata. Ma esse sono anche presenti nei settori dell’istruzione e della ricerca, della sanità, dell’ambiente, dello sviluppo economico e della coesione, della tutela dei diritti e delle attività politiche, della filantropia e della promozione dello stesso volontariato, della cooperazione e solidarietà, della religione e delle relazioni sindacali. Dunque, non si può dire che la società sia chiusa in sé stessa, perché essa cura interessi propri, ma anche interessi di altri soggetti.
 

È interessante notare che la maggior parte delle istituzioni di volontariato oggi esistenti, quanto alla data di istituzione, risale al trentennio 1985- 2015. Solo metà è in larga misura rivolta a persone con meno di 18 anni. Molte sono orientate a risolvere problemi di disagio personale e sociale. Anche nella società civile si riflette il divario tra nord e sud perché le istituzioni non profit sono più numerose al centro-nord rispetto al sud, con più di 10 punti percentuali della popolazione, mentre al sud hanno più di 10 punti percentuali in meno rispetto alla popolazione. Questo rapporto tra maggiore forza della società civile nel centro-nord rispetto al suo peso nel sud conferma un rilievo svolto da numerosi studiosi – principalmente l’americano Robert Putnam – che, analizzando le ragioni dell’attecchimento delle regioni dopo il 1970, hanno notato il maggiore sviluppo di quelle del centro-nord rispetto a quelle del sud, dovuto proprio all’esistenza di robuste reti sociali, mentre nel sud  prevalgono reti di tipo familiare o religioso.

Che cosa insegna l’esperienza delle istituzioni non profit?

Che cosa si può trarre dai dati di questo rapporto Istat? Innanzitutto, la necessità di una maggiore attenzione dei media, cioè di giornali, radio e televisione, che sono sempre all’inseguimento del quotidiano, dell’effimero e del futile, senza prestare attenzione, se non episodica, a questo fenomeno del non profit, così diffuso nel nostro paese. Qui andrebbero cercate le "buone notizie", non nei fatterelli quotidiani.
 

Il secondo insegnamento che si può trarre riguarda la classe politica e la necessità di un suo impegno in questa area. Essa è troppo prigioniera degli stereotipi, sempre più lontana dalla realtà, di cui una parte cospicua è costituita dalle organizzazioni della società civile.
 

Infine, classe dirigente e classe politica appaiono inconsapevoli della necessità di colmare il divario tra partecipazione politica passiva, che riguarda il 70 per cento degli italiani, e partecipazione politica attiva, limitata soltanto all’8 per cento degli italiani con più di 14 anni.

Si potrebbe fare meglio?

Come sempre, i dati dell’Istat sono preziosi e bisogna apprezzare l’impegno dell’Istituto nazionale di statistica, ma è anche necessario stimolarne l’impegno, perché si potrebbe fare meglio. Innanzitutto, questi dati vengono distribuiti con un grande ritardo: nell’aprile 2024 vengono distribuiti i dati relativi al dicembre 2021. Si tratta di una realtà capillare, difficile da censire, ma le rilevazioni potrebbero essere più tempestive.
 

In secondo luogo, l’indagine dell’Istat, pure così accurata, non contiene un esame dei dati finanziari, per permettere di capire da dove vengono le risorse che alimentano uno sviluppo, che può ben dirsi straordinario, della nostra società.
 

Infine, nel mondo c’è un interesse diffuso per il non profit e sono state pubblicate ben cinque ricerche comparative, che l’Istat sembra ignorare, così come sembra ignorare l’abbondante letteratura che si è accumulata sul settore.

L'Italia e le istituzioni sotto la lente dei numeri: Rapporti alla mano, di Sabino Cassese