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Giungla olimpica

L'altro Tarzan, nato per stare in acqua

Valentina Fortichiari

Prima di diventare l’uomo scimmia al cinema, Johnny Weissmuller era un nuotatore: il primo a scendere sotto il minuto nei 100 metri

Non pensava a un sottomarino mentre predisponeva l’assetto del corpo in acqua; pensava piuttosto a un pesce o a un cormorano dalla forma perfettamente idonea a penetrare la liquidità: pesci e volatili sanno come fare, nessuno ha insegnato loro i segreti del nuoto. Questo lo pensava da bambino, quando al Lincoln Park, con il fratello minore, impacciati nel salvagente che la madre li costringeva a indossare, sperimentava i movimenti che aveva osservato nei veri nuotatori. Imitava quello che si doveva fare e gli veniva bene perché nuotare gli era piaciuto subito. Al primo contatto con le acque gelide del lago Michigan aveva capito che per non soccombere ai crampi era necessario non stare mai fermi con le gambe in verticale nelle correnti. Il nuoto è attitudine, vocazione, destino: Weissmuller era nato per stare in acqua. Nuotatore leggendario negli anni Venti; attore celeberrimo nelle vesti di Tarzan tra il ‘40 e il ‘50, era alto, longilineo, fisico atletico, asciutto, muscoli scolpiti, spalle larghe; viso affascinante, dal sorriso solare, contagioso. E’ stato uno dei più grandi campioni del mondo e di tutti i tempi, come aveva sognato da piccolo, ma chi lo ricorda come l’atletico Tarzan della giungla nel cinema forse ignora la sua storia personale non sempre felice, e i record stabiliti come nuotatore. 

“Vincere la paura dell’acqua significa avere per metà imparato a nuotare. Non c’è ragione per cui l’uomo debba temere di entrare in uno stagno, in un lago, in un fiume, nello stesso oceano; tale timore dipende, per lo più, da una forma di nervosismo che si può superare con la volontà”. Così esordisce il manuale firmato da Johnny Weissmuller, Nuotare è facile come camminare (pubblicato in Italia da Sonzogno nel 1937). Sette lezioni accompagnate da immagini di Weissmuller in costume mentre mostra “a secco” i corretti movimenti degli stili. Stagno, lago, fiume, oceano: non c’è limite alla passione per ogni specchio d’acqua che ha ammaliato in modo particolare gli angloamericani. Ovunque si imbattano in una pozza d’acqua, vi si gettano d’impulso. Esiste un libro di Roger Deakin, Diario d’acqua. Viaggio a nuoto attraverso la Gran Bretagna (EDT, 2014): nel 1996, l’autore, nuotando a rana nel fossato dietro la sua casa colonica, sotto un violento temporale estivo, concepì l’eccentrico progetto di entrare ovunque l’altezza dell’acqua lo consentisse (fiumi, laghi, torrenti, fossati, canali, ruscelli, acquedotti, stagni, pozze, e mari naturalmente), per vedere e sentire “le cose in maniera completamente diversa che in ogni altra circostanza”, per liberarsi della frustrazione di una vita passata a macinare vasche in piscina. Del resto, il primo manuale sul nuoto lo si deve a un reverendo inglese, Sir Everard Digby (1578-1606): uscito prima in latino (De Arte Natandi), poi tradotto (The Art of Swimming), codifica gli stili primari con testo e disegni raffinati. Ma ancora prima, agli inizi del ‘500, il nostro Leonardo da Vinci nel suo Trattato delle acque aveva descritto il nuoto in avanti, all’indietro (dorso), e inventato salvagente, pinne e boccaglio rudimentali.

Johnny, “neonato troppo pesante” a detta della madre Elisabeth, era nato a Freidorf in Romania (allora Impero austro-ungarico) il 2 giugno 1904 (quest’anno ricorrono 120 anni) da genitori sassoni di Transilvania, poi emigrati negli Stati Uniti. A Chicago, il padre, che era stato minatore in Pennsylvania, gestiva un bar, la madre era capocuoca in un famoso ristorante. Lui era spesso ubriaco, manesco, non risparmiava violenze alla moglie: Johnny si tappava le orecchie, scappava di notte a dormire sotto la ferrovia sopraelevata, coperto di giornali. Tornava al mattino e le prendeva dal padre (che gli lasciava occhi e labbra tumefatti). Il matrimonio entrò in crisi, il capofamiglia li abbandonò nel 1916, i genitori divorziarono. 
Le nuotate quotidiane al lago Michigan erano un modo per sopravvivere alla disperazione, per dimenticare ciò che i due fratelli erano stati costretti a vedere, a subire. Le acque dal sapore ferrigno sono state il luogo ideale per forgiare i due principianti: le correnti gelide, i fondali insidiosi erano sfide per temerari.
Johnny cominciò a frequentare la piscina dello Stanton Park. Ne parla Charles Sprawson, nel suo celebre libro bibbia dei cultori del nuoto, L’ombra del massaggiatore nero (Adelphi 1995), descrivendo un locale non proprio arioso: “Un seminterrato echeggiante dove una luce fredda e grigia filtrava da un lucernario alto tre piani e dove uomini muscolosi muniti di medagliette nuotavano e urlavano, mentre le voci risuonavano contro le pareti di piastrelle bagnate”.  Ma Johnny batteva gli energumeni che vi si allenavano, vincendo tutte le gare. A dodici anni fu ingaggiato nella squadra dell’Ymca (Young Men’s Christian Association). La medicina del nuoto aveva funzionato al punto da diventare abitudine irrinunciabile, ossessione: “Fu come tornare a casa, non so spiegare altrimenti – ebbe a raccontare in un’intervista – Avevo trovato il mio elemento. Nuotare”. L’acqua sa medicare, lenire ferite, curare soprattutto la mente oltre al corpo. Probabilmente salvò il selvaggio Johnny tenendolo lontano da certe gang giovanili tra bullismo e delinquenza. A Chicago si profilavano anni difficili (depressione, proibizionismo), di guerriglia tra bande, protagonista Al Capone (Scarface), che avrebbe donato a Johnny un orologio d’oro per aver insegnato il nuoto a suo figlio.  

Weissmuller dovette rinunciare agli studi: era necessario un lavoro per contribuire al mantenimento della famiglia. Si adattò a fare il venditore ambulante di ortaggi: per attirare l’attenzione delle casalinghe magnificava a gran voce la mercanzia. Capì quanto era importante farsi sentire e sovrastare gli altri: urlava con toni da tenore, emulando l’attore Douglas Fairbanks. Non parlava volentieri di quel periodo difficile della sua esistenza: per distrarsi andava a trovare parenti materni tedeschi fuori Chicago, che in campagna allevavano animali d’ogni tipo. In mezzo a quella combriccola rumorosa, allegra, tra canti, balli, corse dei sacchi, imparò il canto gorgheggiato, lo yodel, che una volta perfezionato, rielaborato tecnicamente, avrebbe poi dato origine al famoso urlo del Tarzan cinematografico. Dopo questo periodo Johnny diventò fattorino e ragazzo di ascensori al Plaza Hotel di Chicago. Il suo corpo si andava formando, dai suoi muscoli sapeva tirar fuori una grinta sempre più poderosa, una furia nella quale scaricava tensioni e sofferenze che lo avevano reso troppo precocemente adulto. Schiaffeggiare l’acqua era riscatto e liberazione dai ricordi paterni.
Come spesso accade nel mondo dello sport, qualcuno aveva notato quel ragazzo esuberante, generoso, dal fisico longilineo ma potente in acqua, un tornado di vitalità, di energia competitiva. Tra i migliori coach dell’epoca, Bill Bachrach, detto Big Bill, gigante muscoloso, grandi mani, capelli rossi, sigaro perenne in bocca, sguardo gelido ma sorriso sotto i baffi, lo tenne d’occhio per un mese intero. Infine si decise ad affrontarlo senza troppi complimenti: “Così, tu saresti il grande nuotatore di cui ho sentito parlare? Pensi di essere bravo, eh? Bene, vediamo che cosa sai fare”. Alla prima prova lo stroncò subito. Weissmuller, troppo emozionato, dovette soccombere. Il suo stile era vigoroso, ma istintivo, primitivo, un disastro. Il giovane era nato per domare l’acqua ma in un modo tutto suo: testa troppo alta nella respirazione, bracciata a crawl corta, mani e braccia che si incrociavano davanti alla testa, battuta di gambe disordinata. 

Con serietà e severità Bachrach iniziò su di lui un lavoro sistematico (“farai tutto quello che ti dirò senza questionare. Ci provo con te, se lavorerai sodo, sarai un campione”), scomponendo ogni singolo movimento, ripetuto all’infinito per correggere difetti di postura: prima le bracciate, poi testa e respirazione, infine la battuta di gambe. Un training faticosissimo che durò oltre cinque mesi senza gare; allenamenti dai quali Weissmuller uscì sfinito. Ma nessuno dei due era intenzionato a mollare: Johnny capiva che grazie al nuoto avrebbe guadagnato una vita migliore; il suo coach, che sapeva abilmente entrare nella testa dei suoi atleti, aggiunse un elemento indispensabile: il lavoro sul pensiero, sulla concentrazione, sulla calma in acqua attraverso tecniche di rilassamento. A tale scopo, lo buttò a nuotare in acque aperte infestate di squali per vedere come se la sarebbe cavata: Johnny seppe tenere sotto controllo la tensione. 
Big Bill, una sorta di sostituto paterno, lo costrinse a lasciare il lavoro pesante di fattorino per evitare danni alla schiena. Weissmuller era finalmente pronto alla sfida della velocità: il debutto avvenne il 6 agosto 1921 al Duluth Boat Club, Minnesota, dove si esibivano i più grandi campioni. Vinse ogni gara, in ogni lunghezza. Il 9 luglio del 1922 a 18 anni, ad Alameda, fu il primo al mondo a scendere sotto il minuto nei 100 metri a stile libero battendo con 59 secondi e 6 il record mondiale dell’hawaiano Duke Kahanamoku, detto The Big Kahuna (avrebbe inventato il surf moderno). Il 17 febbraio 1924 lo portò a 57 secondi e 4 a Miami: aveva vent’anni, l’apice della forza, nel corpo e nella determinazione a diventare qualcuno. Era nato un autentico campione imbattibile nello scatto, nelle distanze corte. 

Principe delle onde, pesce volante, freccia dell’Illinois, idroplano umano, erano soltanto alcune delle definizioni di questo recordman nella storia del nuoto. Lo dimostrò ai Giochi Olimpici: nel ‘24 a Parigi vinse tre ori nei 100 metri e nei 400 a stile libero, e in staffetta 4x200 metri. Alle Olimpiadi del 1928 ad Amsterdam vinse altri due ori. L’anno prima da eroe aveva salvato vite nel lago Michigan, dove una barca si era improvvisamente capovolta. Dopo aver collezionato 6 medaglie olimpiche di cui 5 ori, 52 titoli nazionali, 67 record mondiali, abbandonò l’agonismo, imbattuto, all’età di 26 anni. Nel ‘29, l’anno prima, aveva firmato un contratto con un marchio di costumi, girando il paese come modello e uomo immagine, esibendosi nelle piscine, firmando autografi, partecipando a trasmissioni televisive. Nel 1932 sottoscrisse il primo contratto con la Metro-Goldwyn-Mayer: interpretò Tarzan l’uomo scimmia, il primo dei film tratti dai libri di Edgar Rice Burroughs, in accoppiata con l’attrice Maureen O’Sullivan (Jane sullo schermo) e la scimmietta Cheeta, che gli diedero fama immediata in tutto il mondo. In totale 12 film di registi diversi sino al 1948, che gli fruttarono circa 2 milioni di dollari. Cambiò società e produttori nello stesso anno, passando alla Columbia Pictures con una nuova serie (Jim nella giungla) diretta dal regista William Berke, per un totale di 15 film sino al ‘52. Nel ‘55 iniziò a produrre da solo una serie televisiva con lo stesso titolo, 26 episodi che furono replicati per anni. 

Tale clamoroso successo si spiega anche con il fatto che Johnny non era presuntuoso né esibizionista, si faceva amare per quella sua natura spontanea, giocosa, estroversa; per di più, possedeva un carisma speciale, innato, non tanto per la recitazione: “Il pubblico perdona il mio modo di recitare perché sa che sono stato un atleta. Sanno che non sono un impostore”, si giustificò. D’altronde, con candore e gran senso dell’umorismo, ammise di non riuscire a comprendere “come può un tizio arrampicarsi sugli alberi, dire ‘Io Tarzan, tu Jane’ e guadagnare milioni”. 
Weissmuller adorava tuffarsi da rocce a strapiombo, nuotare fra gli alligatori, amava gli animali, specie cavalcare elefanti, giocare con scimmie e leoni. Amava le donne, si sposò cinque volte; dalla prima fu costretto a separarsi per via della sua fama nel cinema (lo volevano scapolo); dall’ultima moglie messicana ebbe tre figli: due femmine e un maschio che seguì le orme paterne come attore e gli dedicò un libro (Tarzan, my father, 2002). Quando abbandonò il mondo dello spettacolo tornò a Chicago e vi aprì una piscina. Nel ‘65 si ritirò a vivere in Florida: qui, fondò e diresse una Società di nuoto internazionale per diffondere l’insegnamento del nuoto in tutto il mondo, nonché per onorare tutti coloro che si erano distinti nel campo del nuoto, del nuoto di fondo in acque aperte e sincronizzato, nei tuffi e nella pallanuoto. Nel ‘70 presenziò ai Giochi del Commonwealth in Giamaica, dove venne presentato alla regina Elisabetta. Tre anni dopo lasciò la Florida per Las Vegas. Durante un ricovero ospedaliero per la rottura di un’anca e di una gamba, i medici si accorsero che il suo cuore di nuotatore era in pessime condizioni (ebbe diversi attacchi cardiaci). In Messico, nei luoghi dove aveva girato l’ultimo film di Tarzan, il 20 gennaio 1984 un edema polmonare ebbe la meglio su di lui, nella sua casa di Acapulco. Lì riposa questa leggenda del nuoto e del cinema, che ha meritato una stella nella Hollywood Walk of Fame, sulla collina di Los Angeles.

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