Vespa e la querelle enologica-ferroviaria. Parla Riccardo Cotarella, il gran ciambellano dei vini italiani
"La sua cantina non fa grandi quantità ma ha grande potenziale. E poi sui treni il vino va a rotazione, un mese io, l’altro tu…", ci dice il presidente degli enologi italiani
Prosegue la polemica enoica, tra l’altro scatenata dal nostro Manuel Orazi, prestigioso critico di architettura e docente all’università di Mendrisio e collaboratore del Foglio. Ricapitolando: il buon Orazi giorni fa ha rilevato che sul Frecciarossa vengono offerte bottiglie della cantina di Bruno Vespa, e ha informato Francesco Merlo nella sua rubrica della posta su Repubblica. Il conduttore di Porta a Porta, accusato di conflitto di interessi enologo-ferroviario, ha risposto (che i vini offerti sui treni sono a rotazione tra varie aziende), Merlo ha replicato, Vespa ha ri-risposto, insomma non se ne esce. Certo la prima cosa che viene in mente, essendo quello dei treni veloci uno dei pochi mercati italiani in concorrenza: perché non consigliare al magnate svizzero-partenopeo Aponte, nuovo azionista dei treni di Italo, di offrirvi vini di conduttori di sinistra? Un Domaine Floris, un Pinot di Pinot Mentana, una Cuvée “La Sept”?
Ma non tutti sanno che comunque quella su destra e sinistra, anche con riguardo al calice, è una polemica sterile: a monte c’è infatti una figura sulfurea e bipartisan, un gran burattinaio, Riccardo Cotarella: sommo enologo umbro, presidente degli enologi italiani, che controlla, consiglia, sussurra, a tutti gli aspiranti vignaioli della nazione. Cotarella ha coadiuvato un altro grande personaggio, Massimo D’Alema, a metter su la sua cantina, la leggendaria “Madeleine”, vicino Terni; li incontrai anni fa insieme, Vespa e D’Alema, alla consegna dell’Oscar del Vino, importante kermesse romana: tutti in smoking, e non si parlava certo di destra sinistra centro, semmai di tipi di bottiglie (“e tu usi le bordolesi?”), di etichette, mercati di sbocco (D’Alema puntava molto sulla Mongolia).
Ma tornando a noi, Vespa ha un’aggravante; a quella di presunto vignaiolo di regime unisce anche l’attività di convegnistica nella sua tenuta di 34 ettari a Manduria, in Puglia, “Masseria Li Reni”, nome che evoca calcoli (appunto renali) dove si tengono fondamentali talk che si aggiungono a quelli televisivi. Ma a proposito di calcoli, secondo l’accusa, sarebbero sbilanciati, i talk televisivi e quelli agricoli, a favore di maggioranza. Secondo Vespa, invece, addirittura prevarrebbe l’opposizione. Sul sito dell’azienda c’è scritto che “Bruno Vespa è un giornalista televisivo appassionato del mondo del vino da quando fin dagli anni 70 il grande Luigi Veronelli gli insegnò ad amare gli uomini e le donne che ne fanno parte. Da decenni Vespa ne racconta la storia nei suoi articoli e un giorno ha deciso di farsi egli stesso viticultore associando all’impresa i figli”.
La mania del vino del resto è come quella dell’arte contemporanea, prima o poi colpisce tutti: tra gli ultimi c’è Brunello Cucinelli, re del cachemire equo e solidale, che ha lanciato il suo “Castello di Solomeo”, anche questo affidato alle cure di Riccardo Cotarella; che in passato ha creato anche il vino di Sting e si occupa anche dei nettari del Castello di Cigognola, maniero nell’Oltrepò Pavese della famiglia Moratti. Perché Cotarella, coadiuvato anche dalla figlia Dominga, ha creato una geniale filiera che monetizza le aspirazioni enoiche di chi, arrivato al successo, mosso da vera passione e/o ricerca di status, vuole il suo nome sulla bottiglia. Un po’ come il medico che vuol fare il romanziere, il notaio poeta, l’industriale appunto collezionista d’arte. L’aspirante vignaiolo coi favori di Cotarella decide etichetta, tappo, vitigno e zac, eccolo diventato un marchesino Antinori, un contino Serristori, un Berlucchino.
Sentiamolo dunque, il gran burattinaio del Merlot (si dice che Cotarella ami particolarmente e spinga i suoi clienti a produrre Merlot). “Ma Vespa non fa il Merlot”, dice il Gianni Letta dei vignaioli al telefono. “Vespa fa un Primitivo di Manduria, in versione semplice o riserva, poi il Donna Augusta, dal nome della moglie, una bollicina che ha vinto un sacco di premi. E poi un passito, e un Negramaro”. Ammazza, tantissimi, “La sua cantina non fa grandi quantità ma ha grande potenziale”. Cotarella, ma questo vino di Vespa com’è? Vende perché è buono o funziona grazie al nome? Non ci sarà conflitto di interessi a vendere il proprio vino sui treni, grazie al brand conosciutissimo? “Ma è ottimo. Vespa, e pure D’Alema, semmai sono svantaggiati dalla notorietà, perché la gente pensa chissà cosa. Invece chi si avvicina al vino lo fa per una grande passione. E poi sui treni il vino va a rotazione, un mese io, l’altro tu…”. Lei adesso cura anche il vino dello stilista Brunello Cucinelli. “Sì, lavoro sempre con gente povera! No, scherzo, io ho sempre aiutato anche per beneficienza realtà come le cantine di Sant’Egidio e di San Patrignano”. Voi curate tutto, dall’idea al calice. “Abbiamo 103 clienti in giro per il mondo. Partiamo dal territorio, dal vigneto, fino alla bottiglia. Non ci occupiamo della grafica e però sì, curiamo anche la comunicazione, se ci viene richiesto”. Se possiamo fare un appello, sul naming si potrebbe migliorare: “il Bruno dei Vespa” non fa proprio venir voglia di sgargarozzarsi la bottiglia. E “Nerosé”, una delle etichette di D’Alema, ricorda una marca di intimo. “Ah, a questo non avevo pensato. Ma Nerosé ha un senso, è pinot nero 100 per cento in versione rosato. Sui nomi comunque non decidiamo noi. Per quanto riguarda Vespa, decidono lui e la moglie”.
Ci sono conduttori di sinistra tra i suoi clienti? “Non che io sappia”. Li vorrebbe? “Certo, io punto a coprire tutto l’arco costituzionale”. A Meloni che vino farebbe produrre? Un Garbatella Millesimé? “No, un Nerello Mascalese rosso”. Un che? “Un vino vulcanico, com’è lei”. A Schlein? “Un Lambrusco”. A Calenda? Un Bricco dell’Uccellone? “Giusto”, ride. “Per Mattarella invece un nebbiolo. Perché il carattere del vino deve rispecchiare quello del vignaiolo”.