La moda va, lo stile (e l'età) restano
La rivoluzione di noi vecchie signore, autonome e illuse d'essere ascoltate
Una riflessione culturale sulla vecchiaia e le influencer novantenni, fino a poco tempo fa ai margini della vita sociale. Ma le sneakers continuano ad essere chiamate "scarpe da ginnastica"
Ogni tanto penso di avere una malattia mortale perché sono stanca, faccio fatica a fare ogni cosa e ogni tanto mi gira perfino un po’ la testa… poi capisco che è sì una malattia mortale: ma si chiama vecchiaia. La mia età – 76 anni – che un tempo sarebbe stata considerata avanzata, oggi da tutti mi viene imposto invece di considerarla come quasi giovanile. I vecchi sono quelli che hanno dieci anni più di me se non venti, che ci circondano e sono molti ma ancora viaggiano e fanno mille cose: dimostrazione vivente che la vecchiaia è stata sconfitta.
Certo, essi tacciono il tanto tempo passato dai medici, i sospetti e le paure, i funerali di coetanei che anche in questo tempo di vita perenne si stanno facendo sempre più numerosi. Ma bisogna far finta di niente. E’ un punto d’onore apparire sempre in ottimo stato, pronti a tutto, pieni di energia e di voglia di novità.
Invece non è vero, nessun vecchio ha troppa energia né voglia di novità. Il nostro sistema mentale – seppure ancora vigile e funzionante – è efficiente soprattutto se siamo a casa nostra, se possiamo contare su percorsi noti e automatici e quindi focalizzare tutte le nostre energie mentali sul resto, cioè sull’affrontare la vita.
E c’è un’altra cosa che non diciamo: così come l’ansia ci agita molto più di prima – anche se si tratta di azioni semplici, come prendere un treno, o uscire a cena – anche i luoghi e le persone che incontriamo ci colpiscono molto di più. Se stiamo in un luogo e/o con persone non familiari il loro influsso su di noi è molto forte, e ci vuole un po’ di tempo per cancellarlo. Anche se ce ne siamo andati, e non li vediamo da un po’, è come se un pezzo di noi fosse sempre rimasto lì, sotto il loro influsso. Cosa che è un bene e un male al tempo stesso. Però è evidente che prima ci buttavamo tutto alle spalle rapidamente, oggi invece è tutto vischioso. Ci possiamo domandare: era vera questa cancellazione, o era solo un’illusione della quale oggi siamo diventati più consapevoli? Ecco, sul piano della consapevolezza si gioca molto della nostra quotidianità.
Anche i vecchi meno portati all’introspezione, alla riflessione, guardando muoversi i giovani – cioè oggi anche quelli che hanno più di cinquant’anni– riconoscono posture e scelte già fatte e spesso sbagliate, o comunque azzardate, che oggi non farebbero più. Ma sanno benissimo che non possono intervenire: l’umiliazione quotidiana a cui li obbliga il ricorso ai giovani, ad esempio per accedere ad un uso pieno ed efficace dei mezzi informatici – specialmente quando devono affrontare percorsi burocratici – li bolla come esseri fuori del tempo, inutili, incapaci di capire la modernità. E i “giovani” coltivano volentieri questa versione delle cose che di fatto è anche una piccola ricompensa alla fatica di doversi occupare di parenti molto vecchi anche se sono in età avanzata loro stessi. E’ un gioco delle parti che tutti accettiamo: perdonateci di essere ancora vivi, in cambio non vi faremo nessuna predica, anzi: guarderemo con ammirazione la vostra vita. La trasmissione delle esperienze non funziona più neppure in ambiti un tempo indiscussi come l’allevamento di un neonato o la gestione del denaro. Ma allora che ci stiamo a fare così tanti anni senza un vero lavoro, senza un vero futuro? Sopravviviamo, con la paura di morire che così dura molto più a lungo di un tempo, diventa una nostra compagnia abituale. Ne vale la pena? La paura di morire ci dice di sì, rimandiamo il momento fatale il più lontano possibile. Quando la vita era di decenni più breve non c’era tanto tempo per pensarci: presi dalle mille incombenze quotidiane si aveva appena il tempo di tirare il fiato che finiva tutto. Oggi invece la morte ci accompagna a lungo, con inossidabile fedeltà.
Per fortuna c’è la pubblicità che ci distrae. Da quando si è capito che i vecchi – nonostante le pensioni non proprio brillanti – sono dei possibili consumatori non facciamo che vedere anziani belli e atletici protagonisti di pubblicità che li propongono radiosi, saltellanti, con l’aria di stare per finire a letto insieme con grande allegria. Peccato però che quasi sempre i prodotti pubblicizzati rivelino crudelmente la realtà: montascale, vasche da bagno che diventano comode docce, poltrone a rotelle e pieghevoli, ausilii auricolari, pannoloni e rimedi per la prostata. Comunque ci viene presentato un mondo alla rovescia in cui i vecchi sono belli e felici, e così vanno a fare compagnia agli altri protagonisti della pubblicità, agli uomini che preparano la lavatrice, stirano il vestito per la moglie, o alla coppia di maschi che addormenta il figlio… Chissà perché nel mondo della pubblicità le coppie omosessuali sono sempre di maschi, e gli anziani non fanno mai i nonni ma gli eterni fidanzati. Che noia, fidanzarsi ancora! Mi chiedo: non sarebbe meglio una cosa nuova come fare i nonni?
Ma la rivoluzione dei costumi in cui viviamo vuole così, probabilmente per ottime ragioni (commerciali?).
La vera rivoluzione comunque è quella che ha promosso le donne anziane, fino a poco tempo fa ai margini della vita sociale. Al massimo potevano sperare di essere utili alle famiglie dei figli, un modo per farsi ancora accettare – non oso dire amare. Al contrario gli uomini anziani, specie se con soldi e potere, hanno sempre avuto le loro soddisfazioni, di ogni genere, mentre per le donne la vita finiva, anche se ricche e rifatte. Al massimo potevano suscitare ammirazione o gelosia nelle loro amiche; se poi osavano ancora fidanzarsi subito i figli procedevano con l’interdizione per salvare il patrimonio.
Adesso invece le donne anziane sono corteggiate e amate nelle loro professioni, guardate come esempi positivi e considerate sempre più necessarie in ogni situazione per testimoniare una società politicamente corretta. Artiste che diventano famose in vecchiaia, attrici che vivono una seconda e felice fase della loro carriera anche dopo gli ottanta, cantanti che festeggiano i settanta con tour di concerti che stroncherebbero un trentenne, accompagnate da coetanei o ancora più anziani. Nel mondo dei media, poi, sono ascoltate e sollecitate le parole di signore novantenni, sempre elegantissime e lucidissime.
Conseguenza di questa nuova fase è la moda di sfoggiare i capelli bianchi, per tanti anni invece nascosti sotto “il colore”, che purtroppo tendeva spesso al rossiccio. I capelli bianchi che però devono essere ribelli e eccessivi: o cortissimi, o lunghissimi. Lo confesso, ci sono caduta anche io.
E poi, la liberazione dal mezzo tacco, dalle scarpe comode che però sembravano sempre da suora. Adesso impera fortunatamente la moda delle scarpe da ginnastica (che noi anziani chiamiamo ancora così invece che con quel bel nome inglese “sneackers” che però vuol dire esattamente la medesima cosa): a ogni ora e con ogni tenuta. Per prima cosa, salvano noi anziane dalle cadute – frequenti e pericolose – e poi ci danno quel tono allegro e disinvolto che ci fa sentire giovani. O almeno così speriamo. Solo che adesso le scarpe da ginnastica sono divenute scarpe da anziani, peggio ancora da anziane, e i giovani le stanno già dismettendo. Tanto loro possono cimentarsi con stivaletti e tacchi alti, ballerine e sandaletti. Oggi, ahimè, la scarpa da ginnastica portata da una signora ne svela crudelmente l’età.
Pazienza! Stiamo comode e abbiamo anche noi le nostre influencer novantenni, che ci insegnano ad accompagnarle con caffetani ricamati e sciarpe che nascondano i chili di troppo o le magrezze eccessive. Abbiamo la nostra autonomia, insomma, e perfino l’illusione di essere finalmente ascoltate. Forse però, mi dico tra me e me, solo nel nostro mondo di vecchi.
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