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la lettera

Dai finti progressisti al folklore dei nostalgici: il grande disagio vissuto dagli ebrei

Riccardo Di Segni

In tutta Europa i cittadini di religione ebraica sono preda di ondate parallele e convulse, apparentemente di senso opposto, ma entrambe figlie di una stessa matrice intollerante, di insicurezza, di ricerca di soluzioni forti. Così gli ebrei si sentono come canarini portati in miniera dai minatori. Ci scrive il Rabbino capo di Roma

Lo scorso mese, ad Aachen, il prestigioso premio Charlemagne, in passato dato a papa Francesco, al presidente francese Macron e lo scorso anno a Zelensky, è stato dato al rabbino Pinchas Goldschmidt, presidente della Conferenza Rabbinica Europea e fino a poco tempo fa rabbino capo di Mosca. Poco fa, perché non avendo voluto fare dichiarazioni a favore dell’invasione russa dell’Ucraina ha rischiato l’arresto e trovandosi all’estero è stato dichiarato dalla Russia persona non gradita, e ora vive in Israele come un esiliato. Questo riconoscimento europeo vuole essere un segnale forte contro l’antisemitismo dilagante e un apprezzamento per la presenza ebraica in Europa e per quanti nella sua leadership operano per la convivenza e per il dialogo; e va molto controcorrente rispetto a quanto sta accadendo in Europa e nel mondo dal 7 ottobre e ai risultati emersi dalle urne delle recentissime elezioni per il Parlamento europeo.

 

Le elezioni hanno visto una sorta di polarizzazione con l’ascesa di forze politiche xenofobe, antimigratorie e talvolta filorusse. In parallelo, nei mesi scorsi la guerra in corso a Gaza (e quella ignorata al confine con il Libano) ha scoperchiato il vaso di Pandora di un antisemitismo strisciante solo a stento trattenuto finora dal politically correct. Perché è chiaro che qui non c’è solo la critica - sempre legittima - alle scelte di un governo; c’è piuttosto una divisione manichea tra cattivi e buoni in cui a essere cattivo è uno Stato che ha il peccato originale di esistere, e insieme allo Stato tutti coloro, come gli ebrei del mondo, che lo appoggiano in un periodo di crisi epocale e decisiva. Ostentare un segno di appartenenza ebraica può essere pericoloso per un passante in una strada europea; i luoghi di aggregazione ebraica come scuole e sinagoghe sono oggetto di attenzione speciale; a giornalisti e docenti ebrei viene impedito di parlare. Nelle università si accampano i sostenitori dei diritti palestinesi, e basterebbe un minimo di senso critico per capire che questa lotta, che coinvolge tanti in quanto umanitaria e in difesa di diritti, è sostenuta da sistemi dittatoriali fondamentalisti e forcaioli, calpestatori di diritti, e promuove programmi di distruzione totale (“dal fiume al mare”).

 

La triste involuzione della lotta per i diritti si vede tutta nelle contraddizioni di chi come i movimenti femminili o per il libero orientamento sessuale ignorano le violenze subite dalle donne ebree o rendono impossibile la presenza ebraica nelle loro manifestazioni. E se questo è il segnale che viene dalle file progressiste, che si dicono di sinistra, dalla parte opposta restano i nostalgici con i loro riti non tanto folkloristici, che sembrano tollerati. E non solo restano, ma raccolgono consensi crescenti. Gli ebrei europei stanno provando un grande disagio per queste ondate parallele e convulse, apparentemente di senso opposto, ma entrambe figlie di una stessa matrice intollerante, di insicurezza, di ricerca di soluzioni forti. C’è la famosa immagine del canarino portato in miniera dai minatori, primo a soccomberere per la presenza di gas velenosi, che lancia l’allarme. È questa la posizione in cui si sentono gli ebrei europei.  E dargli un po’ di attenzione, come è stato fatto ad Aachen, sarebbe utile per tutti.

Riccardo Di Segni è Rabbino capo di Roma