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Ecofanatici

Dimenticare Heidi e la natura bucolica per affrontare la realtà

Antonio Pascale

Appunti per l’ecologismo oltranzista che distrugge i campi di riso Tea: la natura ci condanna alla fame, la tecnologia ci salva

Io non capisco che succede agli ecologisti. I piccoli e grandi gruppi ecologisti, attentissimi all’ambiente, con ottimi uffici stampa che ti propongono di prendere la tessera  come paladino green contro gli sporchi vetero inquinatori, bravi ad allevare registi che in un attimo ti mettono in piedi show sì carnevaleschi ma molto efficaci nel dividere il mondo in buoni e cattivi (tanto che quando uno scienziato con la pistola della scienza incontra un ecologista col fucile di un ufficio stampa, lo scienziato è morto), insomma questa galassia ecologista è anche quella meno attenta, meno logica quando si tratta di valutare alcuni strumenti che l’ingegno umano – nonché un decennale lavoro di ricerca – ci ha messo a disposizione. Davvero non capisco che succede. Anni di battaglie ecologiste che finiscono tutte con la distruzione degli strumenti che qualcuno ha messo a punto per rendere concrete quelle battaglie. Perché distruggere un campo pubblico (frutto della ricerca pubblica, notificato dopo un lungo iter burocratico che se lo raccontiamo non basta il monografico del Foglio del lunedì) seminato con riso ottenuto grazie alle tecniche di evoluzione assistita (l’acronimo è Tea)? Attenzione, la distruzione del campo è opera di pochi ignoti, chiamiamoli come vi pare, e non certo il risultato di un programma stilato e confezionato dalle lobby green. Ma ci fosse stata una dichiarazione da parte dell’estesa galassia green per richiamare i suoi figli e nipoti, l’album di famiglia insomma, al grido di “ma che cavolo fate?”. No, è chiaro che l’acronimo Tea, seppur pensato a scopo pubblicitario per distinguere questa biotecnologia dai famigerati Ogm, non emoziona. Ma quelli dell’album di famiglia hanno capito o no che queste piante potrebbero resistere al brusone che è un fungo molto seccante e contro il quale le solite dichiarazioni, il biologico, l’agricoltura di una volta, il riso di un tempo ecc., non funzionano?

 

Tea, tecniche di evoluzione assistita. Un campo così coltivato distrutto da ignoti, non una parola di condanna da parte della galassia green

 


 
Non funzionano neppure le preghiere, le astruse ipotesi biodinamiche (che purtroppo funzionano invece nella testa di quelli che confezionano apprezzati documentari contro l’agricoltura industriale e che si propongono di cambiare il mondo al grido di “cornoletame forever”). Contro il brusone funzionano solo (e male) i fungicidi. E potrebbero funzionare anche queste piante di riso. Perché? Perché con il sistema CRISPR/Cas9 (e mannaggia agli acronimi) sono stati silenziati tre geni che permettono l’ingresso delle ife del fungo. Per usare la classica metafora, abbiamo cambiato la serratura, dunque il fungo resta fuori casa. Sapete quanto ci è voluto per capire come funziona il sistema CRISPR/Cas9? Decenni. Certo finiti bene, con un Nobel per la chimica alle due scopritrici, Jennifer Doudna e Emmanuelle Charpentier, nonché un applauso al biochimico sino americano Feng Zhang che ha capito come sfruttare la scoperta a fin di bene. E tutte queste esperienze sono andate perdute come le piante di riso devastate da ignoti. Tutto questo perché? Perché non si distruggono vivai e semenzai dove ogni mese vengono fatte crescere piante modificate con le varie tecniche: ibridazione, mutagenesi, fusione dei protoplasti, selezione assistita ecc.? La risposta è banale e dunque sconcertante: quelle tecniche vengono percepite come naturali. Si dice: l’uomo ha sempre fatto gli incroci, gli innesti, cose naturali, mentre queste diavolerie vengono fuori dai laboratori – secondo me i ricercatori farebbero bene ad aprire i laboratori agli ecologisti, altrimenti si corre il rischio di dividere il mondo tra quelli buoni che fanno gli incroci e quelli cattivi che fanno il mostro di Frankenstein (che poi pensate all’ironia: un racconto venuto fuori per esorcizzare le paure della nascente elettricità e che ora leggiamo nonché pubblicizziamo sui social grazie all’elettricità). 

 

Perché non si distruggono i vivai di piante modificate con ibridazione, mutagenesi, selezione assistita ecc.? Tecniche percepite come naturali


Ecologisti, naturalisti (non nel senso di nudisti): dobbiamo temere le cose naturali, non sostenerle! Ne va della nostra sopravvivenza! L’avete capito, sì: o siete troppo sazi per pensarci? Tutte le evidenze scientifiche, nonché certe analisi sopraffine di alcuni grandi filosofi asistematici, ci dicono che la natura non pensa a noi. Convinciamocene. Recitiamo questo mantra nei momenti di dubbio: il melo non fa le mele per noi, al massimo per gli uccelli o per gli orsi affinché mangiando il frutto ne disperdano i semi. Le meravigliose mele, pere, tutto quel ben di Dio propagandato come prodotto della natura è in realtà prodotto degli uomini, non di Dio. Convinciamocene! Usciamo da questo incubo della natura. Se poi avete voglia di vivere secondo natura, se volete  limitarvi a raccogliere i frutti, o servirvi di quelli caduti a terra, sappiate che si può fare. La buona notizia è questa. L’abbiamo fatto, come genere homo, per milioni di anni. Ma eravamo pochi, 4/5 milioni di persone in tutto il mondo. Questa è la cattiva notizia: se volete tornare alla natura di una volta dobbiamo candidarci al suicidio di massa e affidare l’arca di Noè, cioè il pianeta, ai 4/5 milioni di persone che rimarrebbero. Ecco, quelli godrebbero dei frutti degli alberi tornati selvatici, ma che, ci scommetto, prima o poi uno di loro, vista la dimensione ridotta dei frutti, farà un innesto, un’operazione culturale e tecnologica, e metterà in atto una tecnica di modifica genetica. E tutto ripartirà. 

Sono passati milioni di anni dalla separazione dalle grandi scimmie, ma quando ancora ci vuole a capirlo che come tutti gli esseri viventi modifichiamo la natura? Guardate che anche i lepidotteri modificano le piante. I cavoli vi piacciono? Forse no, ma lo zolfo con quel caratteristico odore altro non è che lo strumento di lotta della pianta contro i lepidotteri. Non era così il cavolo una volta, milioni di anni fa, prima che arrivassero certi lepidotteri che giocano a fare Dio. Se leggete il genoma del cavolo e di alcune specie di lepidotteri potete vedere il momento in cui si sono modificati alcuni geni, in cui la brassicacea ha cominciato a produrre zolfo e i lepidotteri a sviluppare a loro volta armi di difesa. Lotta per gli armamenti, la fanno i lepidotteri e lo facciamo pure noi. Liberiamoci dell’idea di natura, dai. E’ il miglior modo per esaminare il nostro impatto, perdonarci e soprattutto trovare soluzioni efficaci. Se il nostro proposito è ripristinare il paradiso terrestre siamo messi male. Se invece ci liberiamo dal velo  del naturale possiamo vedere il nostro percorso come una successione di sbagli, di rimedi, di nuovi scenari che poi diventano trappole e nuove soluzioni da trovare. 

 

Tutti gli esseri viventi modificano la natura. Il caratteristico odore di zolfo dei cavoli altro non è che uno strumento di lotta contro i lepidotteri


Perché la natura è antipatica. Siamo stati funestati dalla carestia, dalle malattie, e stremati dalla morte prematura dei bambini, e solo l’altro ieri abbiamo trovato le soluzioni: chimica per fertilizzare le piante e proteggerle, meccanizzazione e miglioramento genetico. Abbiamo mangiato meglio e lo sapete come funziona, no? Un bambino con una lieve malnutrizione ha il doppio delle possibilità di morire rispetto a uno con buona nutrizione, mentre un bambino con una malnutrizione grave ha otto volte la possibilità di morire rispetto a uno con buona nutrizione. Per non parlare della scolarizzazione. In alcuni stati africani dove la chimica non c’è, la meccanizzazione scarseggia, così come pure il miglioramento genetico, insomma dove tutto è naturale, non tutti i bambini mangiano. Deboli come sono non riescono a tenere il collo dritto, e a scuola si addormentano.  E se non studi, come le trovi le soluzioni per mangiare?  Ma senza tirare fuori la solita fame africana, teniamo a mente di quando l’Italia, a causa della malaria, era chiamata la Bella Addormentata? Vista la quantità di persone spossate, incapaci di far niente, buttate agli angoli di strade polverose. Alla fine, l’Africa sta crescendo perché come noi trova soluzioni e queste soluzioni poi cambiano lo scenario. Quando sono nato nel 1966 c’erano tre miliardi e passa di persone, ora sono otto. Sapete perché? Perché pochi muoiono di fame, i bambini crescono diventano grandi e fanatici dell’empowerment: Legacy Dreams, leggevo su una maglietta. Non importa se questi sogni vanno dalla creazione di un mondo migliore ad aprire un account su OnlyFans. Quello che importa sarà sia l’energia necessaria ai sogni sia i tanti modi per risparmiare e rendere sostenibili questi stessi sogni. 

Qui ci tocca trovare altre soluzioni per mitigare la nostra voglia di vita. Anche per questo stiamo perfezionando alcune tecniche di miglioramento genetico: dobbiamo abbassare le dosi di chimica, ma anche la quantità di concimi (a proposito di energia, per produrre ammoniaca e concimare i campi e mangiare bene e tenere il collo dritto ci vogliano gli idrocarburi). Che facciamo? Gridiamo al cornoletame oppure studiamo? Io sarei per studiare. Per questo si fanno i campi sperimentali, per vedere se funziona il risultato di uno studio, e misurarne l’impatto. Sembra chiaro a molti, tranne per la variegata galassia ecologista. Che tra l’altro in questi ultimi 20 anni si è data da fare per contrastare le biotecnologie, a cominciare dai poveri Ogm, creduti demoniaci quando altro non erano che piante resistenti ad alcune famiglie di insetti, piante dunque che realizzano il sogno di certi ambientalisti, un mondo senza chimica. Incredibile, no? Per questo non capisco gli ambientalisti. Non li ho capiti quando con le loro campagne hanno fatto distruggere i campi del professor Eddo Rugini, dove si testavano alberi da frutta resistenti a varie malattie: roba da ricerca pubblica, eh. Non li ho capiti quando hanno costruito una campagna stampa che ha messo paura a tutti: gli Ogm sono pericolosi. Significava dover fare un sacco di controlli, inutili e molto costosi. Sposti con le tecniche tradizionali migliaia di geni e non devi dimostrare né spendere nulla, ne sposti uno e succede il finimondo. Chi li caccia tutti questi soldi, fino a 200 milioni di euro, per dimostrare che un prodotto ottenuto con il Dna ricombinante è sano? Le multinazionali, ovvio, la ricerca pubblica a stento riesce a mettere su una serra sotto la quale far crescere le piante. 

E affrontiamo la non banale questione della precisione. Le tecniche tradizionali sono imprecise, le nuove tecniche sono molto precise. Abbiamo studiato, sappiamo qual è il gene utile, possiamo trasferirlo con precisione, senza far casini con incroci (con quelli sì che rischiamo di trasferire anche geni non utili). Le tecniche CRISPR/Cas9 sono ancora più precise, tanto che la modifica è così puntuale che nemmeno te ne accorgi. Possiamo fare tanto, dobbiamo farlo, perché cambia il clima, cambia il paesaggio, i patogeni, i tipi di stress, non possiamo coltivare colture di ieri, se non opportunamente modernizzate: provate a guidare una Fiat 500, per carità, quanti bei ricordi, ma al di fuori dei raduni, davvero la preferireste a un’auto moderna, più sicura ed ecologica? Dai, almeno i freni li fareste rivedere. Davvero vi fareste operare da un chirurgo di una volta al grido di “viva le seghe chirurgiche dell’Ottocento” e l’anestesia a botte di alcol e setticemie in agguato? Certo che no, ma in agricoltura sì. Ma non vi danno un po’ di nausea questi report che elogiano un ex manager che ha venduto tutto per realizzare un’azienda in montagna? E’ sostenibile quell’azienda? Ma lo capite sì che il nonno di Heidi ha la baita piena di mosche, veramente comprereste il formaggio lì senza temere la cacarella (se va bene)? Siete stati mai aggrediti dalle naturalissime mosche che tormentano gli animali, o Fiocco di neve vi ha così suggestionato che non vedete altro che pura lana e profumato latte bianco? 

La risposta purtroppo è sì, ci crediamo. Perché gli ecologisti, i nostalgici, i tanti intellettuali passatisti di sinistra hanno creato un immaginario agricolo vetusto che Heidi scansati. Alla fine siamo così tanto rincretiniti dalla natura bucolica che non affrontiamo l’unica cosa che andrebbe affrontata: la questione brevetti. Quella sì che fa la differenza. Non solo per le biotecnologie. Una multinazionale con una tecnica tradizionale, una semplice mutagenesi, ha brevettato un gene resistente a un erbicida. Non è la Monsanto, tranquilli, non esiste più. Ora, se vuoi usare quel gene devi pagare. Che si fa? La Comunità europea è contro la brevettazione. Notevole e nobile intento. Ma voi il frutto del vostro lavoro lo vendereste gratis? Non credo. Dall’altra parte nemmeno è possibile sfruttare da soli una posizione sul mercato così vantaggiosa. E allora? E allora ecco un argomento degno di discussione. Non se fanno bene o male le biotecnologie (fanno bene, sono utilissime e aiutano la sostenibilità), ma come sostenere e finanziare la ricerca. Ci sono anche in questo caso molte proposte interessanti per salvare le royalties e la proprietà intellettuale senza creare inutili e fastidiosi monopoli. Le sentite voi? No: siamo tutti impegnati ad abbuffarci, a bere e decantare il vino e a ricreare i monti sorridenti di Heidi. Difficile dunque mettere i piedi per terra e gestire con razionalità le nostre azioni.

 

Non affrontiamo l’unica cosa che conta: la questione brevetti. Non se fanno bene o male le biotecnologie, ma come sostenere e finanziare la ricerca

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