(foto Ansa)

il racconto

Nonino, un miracolo matriarcale

Marianna Rizzini

Come il patriarca Benito ha creato l’impero della nuova grappa con una moglie, tre figlie e una nipote, sempre fidandosi del suo intuito e delle loro grandi capacità imprenditoriali, tra il borgo e il mondo

Non finisce purtroppo come una favola, con l’immortalità del protagonista, questa storia, ché l’altra notte Benito Nonino, anche detto “signore della grappa” (la grappa raffinata che porta il suo nome), si è spento nello stesso luogo dov’è nato: a Percoto, Friuli, un borgo-stabilimento sospeso nel tempo (l’azienda di famiglia, poi diventata marchio internazionale ed eccellenza del made in Italy, ha compiuto 127 anni) e forse anche nello spazio, vicino e lontano com’è alla città di Udine, tra il bosco, il frutteto, le piccole luci che la sera incorniciano le finestre e le cantine dove chi va in visita, magari fermandosi per caso in un viaggio al Nord, racconta, rapito, di una meravigliosa “sala degli alambicchi”. Eppure della favola ha tutte le caratteristiche, la storia in cui lui, il patriarca Benito (“il principale”, per dipendenti, amici e familiari), nato nel 1934 in una famiglia che da decenni produceva la bevanda allora considerata soltanto da guerra o da osteria, è protagonista al pari della metamorfosi della materia – è infatti del 1973 la produzione della prima grappa monovitigno Picolit, l’inizio del successo mondiale – e al pari della sua “signora”, come la chiamano a Percoto, ovvero di sua moglie Giannola, perno attorno a cui tutto gira, principessa di un castello ideale fatto di cantine, uva, distilleria, figlie (Antonella, Cristina ed Elisabetta) e nipoti anche loro stregate dalla magia della bevanda reinventata dal padre (e nonno) e dalla madre (e nonna). E non basta: ci sono, in questa storia, mariti contadini distratti e mogli contadine che, in un giorno lontano, vengono convinte da Giannola a separare la vinaccia giusta e darla a lei, pagate più dei mariti, dopo aver preso una decisione segreta d’istinto senza consultarli. Ed è una favola che da Benito parte e a Benito torna, quella che ora, mentre la notizia della scomparsa raggiunge gli altri continenti, fa sì che la grappa Nonino viaggi da sola, nelle bottiglie non da osteria che da cinquant’anni accompagnano il suo scatto di qualità, fin da quando, nell’inverno del 1973, la prima fornitura omaggio pilota (per vedere l’effetto che faceva), fu inviata a imprenditori, attori, attrici e presidenti che, apprezzandola e ordinandola (Gianni Agnelli, per esempio, decise di regalare per Natale una bottiglietta di Nonino agli amici meritevoli), fecero per passaparola il miracolo che oggi fanno i post governati dalla nipote di Benito, Francesca, figlia di Cristina. Ragazza che, come la madre, la nonna e le sorelle, appare bella ed elegante in qualsiasi foto che compaia sotto il nome Nonino, in abito nero o in jeans scuri, quasi la divisa di famiglia


L’antenato con la distilleria ambulante su ruote, l’incontro con Giannola e la scoperta della singola vinaccia


Partendo dalla fine, la favola di Benito vede la grappa Nonino espandersi per le Americhe: al Nord, dove Francesca, influencer e sommelier, d’estate gira letteralmente con un carico di bottiglie per degustazioni e conferenze, e al Sud, fino al Messico dove, esercitando a turno il ruolo di amministratore delegato, Elisabetta (moglie di Giulio Giustiniani, vicedirettore del Corriere della Sera scomparso nel 2022), Cristina e Antonella –  stanno pensando di aprire altre cantine, vista la grande domanda, anche grazie alla febbre da cocktail che alcuni noti bartender hanno fatto crescere attorno alla bevanda artigianale di qualità, un marchio insignito del riconoscimento di “migliore distilleria del mondo” secondo Wine Enthusiast, nel 2019, e un marchio forte di 19,2 milioni di ricavi nel 2022, con potenzialità di crescita e vendite in 85 paesi, ma sempre con capitale concentrato in famiglia. E se tutto riporta a Benito, in questa storia, è anche perché Benito, con le sue intuizioni, si è sempre fidato di sua moglie, colei che ha avuto la testardaggine e la costanza che sono state alla base della metamorfosi del 1973, e si è fidato anche delle figlie e della nipote, le quali, a loro volta, si sono sempre fidate di lui, nonostante le molti liti al vertice in cui volavano a volte piatti e bicchieri, come raccontava divertita Giannola al Corriere della Sera, nelle interviste in cui, nel 2018 e nel 2019, continuava a volersi definire “ragazza del 1938”, e non donna arrivata, pur senza dimostrarlo nell’aspetto, nella forza, nel lessico e nell’energia, alla soglia degli ottant’anni. Per carità, diceva Giannola a chi provava a fare i conti; a me gli ottantenni sono sempre parsi dei vecchi, visti dalle altre età, diceva, ma poi quando ci arrivi, aggiungeva, ti accorgi che è tutta un’altra cosa. E lui, Benito, appariva in filigrana dietro alle parole di lei, anche se raramente in prima persona: era Giannola a raccontare, o erano le figlie e la nipote a raccontarsi, e sempre nelle loro frasi aleggiava la presenza discreta ma ferma dell’uomo che dal bisnonno, dal nonno e dal padre aveva ereditato un’azienda e una passione.


Il 1973, anno della svolta. Il 1977, e la creazione del premio che anticipa i Nobel. Il 2024, e la conquista delle Americhe


Passione che se non ce l’hai non puoi inventarla, ma neanche trasmetterla. E Benito l’ha trasmessa a tutte: a Giannola che si è sempre considerata, un po’ scherzando e un po’ no, una mamma e una nonna un po’ sui generis, forse non sempre presente ma forse anche sempre sorprendente, come quando, con le tre figlie piccole, è salita su un enorme camion che mai aveva guidato, pur avendo preso per un caso assurdo della vita la patente C, e con l’abilità di chi non si fa scoraggiare da nulla aveva trovato modo per cambiare marcia e per andare in giro per le strade attorno a Percoto, ossessionata dalla vinaccia giusta più che dall’orario della cena. E l’ha trasmessa, la passione, Benito, anche alle figlie, tre sorelle abituate fin da piccole a fare squadra, vista la forte personalità dei genitori, ex ragazzi del secondo Dopoguerra, innamoratisi l’uno dell’altra proprio attorno a quel progetto: rendere grande la bevanda che un tempo le signore bene friulane nascondevano a lato del lavabo.“La vita vera si respira a pieni polmoni dopo i 48 anni”, diceva Giannola alle sue ragazze dai capelli in gradazione (una bionda, una mora, una castana), avvenenti e creative future imprenditrici che oggi, superati i quarantacinque anni, mai tornerebbero alla prima giovinezza, soddisfatte come sono dalla sensazione di poter inventare l’ignoto dal già noto, grazie all’esperienza sul campo, tra il verde di Percoto e le strade del mondo dove periodicamente si recano per promuovere il frutto degli alambicchi di famiglia. E il mondo arriva in Friuli, in nome del Premio letterario Nonino che a volte ha anticipato il premio Nobel.


Tre sorelle che fanno squadra, tra figli e mariti. Un’azienda-casa, i viaggi e la passione che guida tutto


Storia nella storia: nel 1975 Benito scopre che era stata proibita la coltivazione di alcuni antichi vitigni autoctoni friulani, da cui aveva pensato di distillare vinacce utili alla causa della rinnovata grappa. Decide così, per far riconoscere ufficialmente gli antichi vitigni, di istituire il Premio Nonino Risit d’Aur, con borsa di studio da assegnare annualmente alla migliore ricerca di carattere tecnico e storico. E nel 1977, per omaggiare parallelamente l’attualità della civiltà contadina, con Giannola affianca al precedente premio il Premio Nonino di Letteratura, arricchito di una sezione internazionale a partire dal 1984. E se Benito viene chiamato visionario per l’intuizione sulla grappa, anche in nome del capostipite dei Nonino, l’ottocentesco antenato Orazio, che per distilleria aveva un alambicco montato sulle ruote, il premio internazionale, con Giannola mattatrice sul palco, è stato considerato profetico per la capacità di vedere in anticipo il talento per le parole e per le opere: nel 1988 riceve infatti il Nonino internazionale, prima di ricevere il Nobel per la Pace, la contadina guatemalteca Rigoberta Menchù, come nel 1993 lo riceve V.S. Naipaul (Nobel per la Letteratura 2001), nel 2004 Tomas Tranströmer (Nobel per la Letteratura 2011), nel 2005 Mo Yan (Nobel per la Letteratura 2012), nel 2013 Peter Higgs (Nobel per la Fisica 2013) e sempre nel 2005 Giorgio Parisi (Nobel per la Fisica 2021). Per tutti questi motivi, e per il fascino di questa favola locale che si proietta nel mondo, oggi il Friuli si stringe attorno a una famiglia-simbolo, sia nei messaggi di cordoglio dei tanti conterranei sia nei discorsi bipartisan del sindaco di centrosinistra di Udine Alberto Felice De Toni (“Nonino, figura straordinaria dell’imprenditoria friulana, ambasciatore e punto di riferimento per le generazioni del presente”) e del governatore leghista Massimiliano Fedriga (“Nonino, grande innovatore, fulgido esempio di impegno, sacrificio, caparbietà e creatività nel lavoro e nell’impresa”). 


Le liti creative tra coniugi, il camion di Giannola, Agnelli cliente-test,  la rivincita della bevanda “da guerra e  osteria”  


Sul bosco che circonda la distilleria cala ora un silenzio innaturale, in morte del “principale”. Ma chi conosce i Nonino pensa sia soltanto un attimo di immobilità prima della nuova luce: “Benito taceva e osservava, Giannola osservava e parlava, così hanno creato un piccolo impero”, dice un amico, convinto che continuerà a parlare, da oggi, da domani, da subito, per le vie del borgo, la voce femminile di una famiglia non retoricamente matriarcale. 

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.