Lo "scivolamento nel trauma"

Non sopportate più la fila neanche per un caffè? Se la risposta è sì, questo articolo è per voi

Ester Viola

Siamo nel mondo del dopo: non è più questione di abituarsi al progresso, è questione di abituarsi alle cose che vanno esattamente al contrario rispetto a come andavano prima. Cioè l’altroieri

Concentriamoci su quanto stiamo male. L’ultima è che – dati Istat – un terzo di chi studia all’università soffre di ansia o di depressione. Non solo difficoltà personali, ma una questione più ampia di nessun futuro all’orizzonte. Che è diverso dal precedente essere demotivati che ha impegnato la vecchia generazione, ovvero gli anziani che oggi hanno 28 anni. Sfiducia massima e trauma. Comincia ad allungarsi l’ombra del sospetto che ormai sia diventato una tragedia quello che nel passato era avere una vita difficile. Studiare è brutto: prima non ci pioveva, ora ci piove. I posteri diranno se valeva la pena, trattarsi da sempre-deboli a questa maniera. Quello che stiamo vedendo, secondo lo psicologo Nick Haslam, professore all’Università di Melbourne, è uno “scivolamento nel trauma” – succede quando il linguaggio simil-medico è usato per un insieme sempre più ampio di esperienze quotidiane.

 

E che sarà mai? Niente. E’ solo il mondo di dopo. Dopo cosa, non si è capito bene. Dopo internet, dopo i social, dopo il Covid, dopotutto. E’ il mondo di dopo, comunque. Che somiglia parecchio al mondo di prima ma su certe curve abbiamo preso l’accelerata. Ci piace la casetta nostra. Più tempo ci lasciate a casa meglio è. E’ ormai chiaro a tutta la macchina capitalista. La prima domanda ai colloqui è: quanti giorni ho di lavoro da casa? E la risposta è furbamente diventata: Quanti ne vuoi, basta che non vieni a chiedere promozioni o aumenti. Sul fronte svago è lo stesso: prendiamo il cinema. Chi ci va più al cinema? Ma io perché mi devo muovere? Siccome non ci bastava il danno, è arrivata la tutela morbosa delle fragilità, qualunque cosa voglia dire fragilità. Poi il culto della velocità. Fate le cose veloci e facili. Fretta frenetica ché il pesce rosso (io) non può stare troppo attento. Non sopporto più una fila neanche per il caffè. La percezione precisa di una lentezza insopportabile nelle cose del quotidiano offline. La libertà dell’internet si sta rivelando quello che si sospettava nel ’98 quando le mogli cominciavano a telefonare ai mariti con l’amante, ora reperibili al cellulare a tutte l’ore.

Dice bene Byung-chul Han: La costante raggiungibilità non si differenzia sostanzialmente dalla servitù. Ma più di tutto, per capire il mondo nuovo, vale un altro esempio. Si pensi al modello di impresa moderno. La start up: funziona in modo opposto rispetto alle aziende modello solito. Invece di seguirla, curarla, sentirla orgogliosamente tua, devi preoccuparti perché la tua creatura – la start up – andrà presto di rancido, passerà di moda. Vendere! Proseguo con l’ultima tara, la più insopportabile della classifica. Prendiamo ancora loro, Ferragni e Fedez. Sono in prima pagina tutti i giorni, ancora. Apparentemente insensibili al problema della saturazione. E’ andata alle ortiche una legge dell’economia, l’utilità marginale decrescente, i.e.: cerchi una cosa per questioni di rarità. Così arriva come un lampo questa osservazione di Falcinelli: Il designer più potente non è per forza il più bello, ma quello che è ovunque. Filosofia del graphic design (Einaudi). E la risposta allora è sì, sottrarsi e farsi preziosi non funziona più. Ma com’è possibile? Qual è questa nuova legge psicoeconomica? Qualcuno può rispondere? “Più ne vedo più ne voglio” è del tutto innaturale. Se azioni e reazioni sono così sovvertite, che è successo al congresso umano? Si ha l’impressione che l’ultimo mondo nuovo chieda uno sforzo diverso rispetto a tutti i mondi nuovi che abbiamo visto già: non è più questione di abituarsi al progresso, è questione di abituarsi alle cose che vanno esattamente al contrario rispetto a come andavano prima. Cioè l’altroieri.